Breve riflessione su come riuscire ad adottare un sistema per evitare gli errori più grossolani quando si scrive. Avvertenza importante: il post NON mantiene le ambizioni denunciate nel titolo, è giusto che lo dica io all’inizio. E non ci riesce per un motivo semplice: scrivere è una faccenda solitaria e sfide e problemi alla fine pretendono soluzioni personali. Perciò difficili da “innestare” altrove.
- Anaffettivo. Spesso si cerca in maniera maldestra di fare ricorso a parole che “alzano” il livello della prosa. Ora, a meno che tu non sia dentro una trasmissione televisiva (una qualunque, tanto si somigliano tutte) è bene evitarle. In televisione funzionano, e ti becchi la nomea di intellettuale. Sulla carta provocano risate. L’errore (fatale) nasce dall’idea che la scrittura sia il mezzo per sfoggiare la propria cultura. No: serve per raccontare una storia, e nessun termine dotto riuscirà nell’impresa se non sei capace di raccontare.
Il dizionario rigurgita di termini dotti, ma nessuno si entusiasma nella lettura della definizione di “zuzzurellone”.
- Se puoi dirlo con due parole, dillo con due parole. Che cosa è meglio? Scrivere:Dobbiamo non permettereoppureDobbiamo impedire
La risposta giusta è intuibile. Davide uccise Golia con una fionda e una pietra. Non attese l’invenzione della polvere da sparo. L’efficacia non nasce dallo spreco, ma dalla scelta della parole giuste.
- Mostra l’osso, poi la polpa. Qui posso parlare per esperienza personale. Per anni ho scribacchiato e per fortuna, nulla di quella roba è mai stato pubblicato. Per arrivare al punto impiegavo interi paragrafi. Quello che alla fine ho imparato, grazie a Raymond Carver, è che al lettore devi indicare “l’osso”, e dopo puoi lavorare sulla polpa. Lo so, non è un’immagine elegante, però immagino che sia utile per far capire al volo quale genere di lavoro occorre sviluppare sulla pagina.
Il come è (mi ripeto), faccenda personale, su cui nessuno può dire davvero qualcosa di valido.
- I segni d’interpunzione sono tuoi amici. Per questo è meglio conoscerli. Non puoi distribuirli a casaccio. Punto.
- Devi scrivere, non assemblare. Non di rado capita di incrociare delle scritture che comunicano una sciattezza disarmante. Si fa persino fatica a esprimere un giudizio, uno qualunque. Però se si spegne il cervello, e si rilegge, viene alla luce qualcosa. Vale a dire l’idea che scrivere sia come costruire macchine. La Fiat per costruire le sue automobili fa produrre tergicristalli, fari, cristalli, plastiche, sedili e tutto il resto, da aziende che invieranno negli stabilimenti del costruttore torinese i pezzi per essere assemblati. Alcuni esordienti agiscono più o meno così: buttano su carta espressioni sentite in televisione, in giro e confezionano l’opera. Zero originalità.
Una piattezza di stile, di idee preoccupante: non solo per la letteratura, ma per la società. - Leggi e rileggi. Non parlo di quello che uno scrive (anche, ma non in questo caso). Bensì delle opere dei propri autori preferiti. Se non hai autori preferiti cercali e falli tuoi. E poi rileggi, osserva, penetra nella parola. Impara a prestare orecchio, occhio. Perché i personaggi sono di carne e sangue e se non riesci a rendere viva la loro presenza sulla pagina, stai perdendo tempo.
C’è molto altro naturalmente. Ma non si può certo indicare tutto…
- Mostra l’osso, poi la polpa. Qui posso parlare per esperienza personale. Per anni ho scribacchiato e per fortuna, nulla di quella roba è mai stato pubblicato. Per arrivare al punto impiegavo interi paragrafi. Quello che alla fine ho imparato, grazie a Raymond Carver, è che al lettore devi indicare “l’osso”, e dopo puoi lavorare sulla polpa. Lo so, non è un’immagine elegante, però immagino che sia utile per far capire al volo quale genere di lavoro occorre sviluppare sulla pagina.