Non è che io voglia proprio fare quella che detesta il Natale così, tanto per essere anticonformista, l'Ebenezer Scrooge di turno, o per dispregio a chi invece si esalta per le lucine in strada e per gli stuoli di pupazzi Babbo Natale in tuta rossa a misura d'uomo intenti a scassinare finestre e a scalare balconi con una mano modello free climber che ti vedi penzolare sinistramente dalle facciate di palazzi di tutto rispetto, quasi a suggerire ad eventuali topi d'appartamento la via più accessibile ai loro loschi intenti...
Non è così.
Il Natale in sé, per la verità non mi dispiacerebbe poi tanto per partito preso, se non si portasse dietro tutta una serie di situazioni, fonte per la sottoscritta di inesauribile ansia.
I supermercati mettono in atto vere e proprie rivoluzioni esistenziali e andare a fare la spesa in un normale, poniamo, giovedì di fine novembre significa immergersi in apnea in un fiume di carrelli impazziti e traboccanti di articoli abbastanza superflui, incanalati tra scaffalature luccicose di colori e nastrini argentati, alberelli sintetici dei più svariati modelli, la collezione di vassoi in stile afro, babbi natale sempre e comunque e un reparto giocattoli che si è allargato a macchia d'olio a invadere parte del reparto fai-da-te e ferramenta, che fa sfoggio degli ultimi orrori televisivi scodellati dall'industria ludica contemporanea.
Va be', mi fermo qui. Inutile fare l'ennesima polemica al consumismo natalizio, perché, per la verità, ci sono dentro fino al collo, per quanto mi dibatta ogni anno per disinvischiarmene, e anche infischiarmene, ma non si può, no. E' quel ricatto che ci autopropiniamo ogni anno: e come faccio a non fare regali? Che è bello dare quando sai che riceverai, e in fondo in fondo, anche se lo sappiamo che non è tutto lì, è un modo per dimostrare l'affetto che ci lega alle persone che amiamo, e anche per sentirci parte di una tradizione più grande, di un tutto gioioso e festante, alla faccia della crisi, alla faccia delle manovre finanziarie e del lavoro che non c'è, e se pure sai ch'è solo una tradizione commerciale, questa dei doni, importata da un occidente prospero e remoto, come un certo Babbo Natale, caro vecchietto della nostra infanzia, pure è l'unica forma di tradizione che ancora possiamo vantare di possedere, a cui ancora possiamo aggrapparci, in un mondo senza storie attorno al camino e senza veglia natalizia per le strade del paese innevate, i bimbi con un cero in mano, i berretti di lana, il nasino arrossato all'in su. Tutte scene di un immaginario che non mi è mai appartenuto e che però continuiamo inesorabilmente ad associare al Natale.
E' un po' clasutrofobico e un po' rassicurante.
E poi dicembre, per la verità, non lo amo, come mese: così buio. Il mese più buio dell'anno, ed io sono una creatura fotosintetica; il mio umore funziona ad energia fotovoltaica, e aspetto forse solo l'arrivo dell'antica festività del Sol Invictus, per veder finalmente ricominciare il ciclo della luce diurna, allungarsi le sue giornate, posticipare le ore serali, spegnersi l'illuminazione artificiale, per romantica che possa essere.
Ma nel frattempo tiro su anche io, nella mia diroccata casetta, il mio piccolo abete da quattro soldi, e partecipo ancora, per l'ennesima volta, all'entusiasmo collettivo, all'attesa trepidante per le solite, note, rassicuranti situazioni.
Per fortuna che ultimamente ho preso la preoccupante abitudine di rileggermi spesso e volentieri i vecchi post di un anno fa, perchè così mi risparmio di rievocare per l'ennesima volta la storia di questo mio povero alberello striminzito (l'avrei fatto, eh, ma mi accorsi di averlo già fatto un anno fa! Il mio pensiero, si vede, percorre vie già battute sotto lo stimolo delle ricorrenze a lui note).
E allora mi metto di buzzo buono, che tanto di tempo ne ho in abbondanza, con la pupa a casa da una settimana che non so più che farle fare per intrattenerla, tiriamo fuori palle di polistirolo impolverate, gancetti, lucine, la nostra bella base di cemento e infine lui, e insieme, come un anno fa, ma senza marsupio, abbiam regalato qualche luce in più ai nostri cupi pomeriggi casalinghi, di cielo oscurato da fitta nuvolaglia gravida di piogge.
"P'lline!" Dice lei, mangiandosi la vocale iniziale e arrotondando la finale, con inspiegabile accento anglosassone che non riesco a giustificarmi né geneticamente né tanto meno culturalmente.
Ecco sì, dai, pupa, passami una pallina, ché l'attacchiamo... Pupa? Puupaa!
Non ha capito molto bene la funzione e il senso di quel che stavamo facendo, e diciamo che il suo aiuto è stato soprattutto morale, quando infine ho acceso le luci e ha commentato, semplicemente e meravigliosamente: "Wow!" (bambina decisamente anglosassone).
Le pacchianozze lucine multicolor acquistate a suo tempo assieme all'intero set albero-palline- nastri, in effetti quest'anno mi hanno indotto a fare un acquisto ulteriore in via del tutto eccezionale: una confezione di palline di rigorosa plastica assortite per fantasia e dimensione, ma rigorosamente sul rosso, così da renderlo il colore predominante del nostro povero abete.
Rosso perché è Natale, e perché è un colore caldo, che amo, e rosso infine perché una volta, da bambina, coinvolta da mia madre nella temeraria impresa di disegnare a mano i bigliettini di auguri destinati ai vari parenti, io disegnai una stella cometa rossa, e lei mi castrò subito, decisa, così: "Ma no! Che fai? La stella rossa è un simbolo politico, non puoi fare la stella di Natale rossa!"
E io invece la voglio fare, ecco. E ce la metto pure in cima. Tié!
Che il colore riempia la tua vita, pupetta.
Che le stelle brillino per te rosse, verdi e blu, violette e indaco, arancioni e oro, smeraldo e rubino.
Che la convenzione non sia un ostacolo alla tua espressione.
Che la gioia e non lasci mai il passo alla spenta consuetudine.
Che la varietà sia alla base della tua coerenza.
Che il contribuito altrui possa arricchire la tua personalità, ma non condizionarla.
A questo proposito, ancora due parole spenderò sul nostro eccezionale albero di Natale.
Venne un tempo in cui misi mano a un progetto ambizioso e ai limiti della moralità, natalizia o no.
Avete presente la filastrocca di Arlecchino?
Probabilmente no.
Per cui vi dirò com'è che fa. Fa così:
Arlecchino, poverino, non aveva il vestitino:
ogni bimbo gli ha portato un pezzetto colorato
e la mamma gli ha cucito un bellissimo vestito.
Ecco dunque il mio progetto: tutti gli abeti che io avrei incontrato sulla mia strada, avrebbero contribuito, col tacito consenso dei proprietari, a rendere più vario e prezioso il mio.
Non chiedevo loro poi molto: solo una pallina. Una simbolica pallina: un cinque per mille per il mio abete. In questo modo un pezzetto del loro Natale, avrebbe continuato ad animare il mio, e loro non se ne sarebbero neppure accorti.
E così feci. Nei negozi, per strada, nei condomini, negli uffici pubblici in cui mi trovavo a passare: zac! Una pallina per il mio abete. Se conoscevo i proprietari lo chiedevo, se no...
Ora voi dite che si chiama rubare. Eh, e se tutti facessero così, dove andremmo a finire!
Però sarebbe fichissimo, io credo, se lo si facesse per consuetudine, tutti, per tradizione.
Non trovate? Per Natale tutti espongono l'albero e ognuno si sente autorizzato a prendere una pallina da ogni albero che incontra, e tutti in pratica avrebbero un albero in continua evoluzione, arricchito e espoliato da contributi altrui.
E comunque ecco i cimeli di quella psicosi soggettiva, e mai collettivizzata che fu il mio privato comunismo delle palle di Natale, che non durò che un anno:
Questa invece, acquistata con la pupa al mercatino di Calci, da una signora che si svuotava la soffitta aprendo banchetti in strada.
L'ha scelta la pupa, e io glie l'ho acquistata.
Infine un contributo di un'amica: la bomboniera di laurea (rossa, vedi quanti significati associati a un unico colore?) della povera Dani, che io tratto sempre male, e non se lo merita, anche se qualche volta se lo merita pure, ma non sempre.
Allora per farmi perdonare, anche di quella volta che ero incinta e che lei venne a fare l'albero con me, e che iniziò a scassare i cabasisi con "Qui hai messo troppe palle blu"; "No, il filo argentato va messo prima delle luci" e altro simile, al che, io le risposi con "Oh, ma te lo vai a fare a casa tua l'albero, anzicché rompere le palle qui sul mio?" Ecco, anche per quella volta, scusa Dani, che lo so che volevi solo farmi compagnia, e tirarmi su il morale, che ero letargica e vittima delle nausee, ma ero gravida e covavo in me da due mesi il mio segreto, aspettando il giorno del nascente Sol Invictus per comunicarlo a casa, e la cosa mi rendeva un tantino ansiosa e nervosa, e poi l'albero, mo' te lo dico: lo faccio un po' come mi pare a me.
Ma comunque ecco qua:
E per quanti, non credo tanti, avranno avuto la pazienza di leggere fin qui, malgrado l'argomento non fosse proprio dei più interessanti, rivelerò gli arcani intenti del mio scrivere.
Con questo post io prendo i due classici piccioni con una fava:
- illumino l'oscurità invernale di questa nuova settimana entrante di fine dicembre di fiammelle e paillettes regalandovi un nostro specialissimo momento light;
- Con queste foto partecipo al giveaway di Natale di Pane, amore e creatività, il premio che desidererei vincere è offerto da Kidorable.