L’ultima volta che ci avevamo provato, esattamente un anno fa, ed eravamo fuggiti su un traghetto per Ischia per celebrare i miei anni al mare non era andata benissimo. Dopo poche ore, l’allora piccolissimo Inuit aveva febbre a 40, ed era coperto da ematomi rossi su tutto il corpo, io ero nel panico, la guardia medica arrivata di notte in albergo non ci aveva capito una cippa, la nostra pediatra ci aveva urlato per telefono che non c’era tempo di tornare all’ospedale Bambin Gesù ma che dovevamo andare di corsa all’ospedale di Ischia, dove per la cronaca non ci avevano capito comunque una cippa.
Minchia, dieci volte michia.
Fiumi di lacrime e maledizioni per aver pensato di poter passare il giorno del mio compleanno su un’isola fosse anche Ischia e non il Madacascar. Quattro le volte che siamo tornati in ospedale, circa dieci le telefonate tra noi e la pediatra, due le volte che siamo andati alla farmacia notturna, tre i giorni e le notti passati chiusi in una stanza d’albergo, due i giorni di anticipo con cui abbiamo lasciato l’isola non appena la febbre ha concesso una piccola tregua.
L’arrivo allo studio della pediatra a Roma, un sospiro di sollievo perché la febbre era solo una febbre da raffreddamento e gli ematomi erano allergia alle zanzare ischiane che avevano fatto pasteggio della carne dell’Inuit, e le due cose non erano insieme e terribilmente collegate (ovvero meningite) come la prudente pediatra aveva inizialmente sospettato ma non aveva voluto dire per telefono.
Giurai e spergiurai nemmeno ricordo cosa.
Per questo quest’anno nemmeno ci avevo pensato a una partenza. Poi il giorno prima del week end il santuomo ha abbandonato le fisime e i cornetti rossi, e ha prenotato al volo un posticino a Capalbio. Ed è stato uno dei più bei week end lunghi che la nostra vita a tre ricordi. Pochi preparativi, un alberghetto piccolo e silenzioso con piscina quando il bel mare toscano era troppo affollato, la sera del gran giorno un’ottima cena nel giardino di un delizioso ristorante, con Inuit circondato da bambine incuranti delle patacche di sugo sparse sui suoi vestiti dopo un abbondante ed evidentemente ottimo piatto di pasta.
Guardavo i miei uomini e pensavo questa è la felicità. Voglio mille compleanni così.
La mezzanotte l’abbiamo passata ad una festa sulla spiagga. Due caipirinhe, e uno dei miei pezzi preferiti di Moby scattato esattamente al momento giusto. Regia perfetta. Con Inuit che guardava prima mamma e poi daddy e si muoveva a tempo di musica con gli occhi che sembravano dirci chi è che vi aveva raccontato quella sciocchezza che dopo un figlio non ci si diverte più?
P.S. C’è sempre un piccolo p.s: il piccolo Inuit ha lasciato segni (solidi) sui lettini della piscina dell’albergo e questa mattina ha creduto che il vasino o il seggiolone fossero più o meno la stessa cosa. Bravissimo nell’organizzare week end d’amore, sul togliere il pannolino il santuomo ha sentenziato ”io non lo so come si fa questa cosa, per me è scienza”. Se qualcuno avesse consigli empirici da dispensare, qui c’è una famiglia in balia di corpose cacche che ha bisogno.