Di più effimero ed esplosivo dell’amore di un’estate c’è solo l’amore di una salita.Quando ti capita, in una delle corsette domenicali dove vai a sfrantumarti per la gioia dei tuoi muscoli, d’incrociare sulla tua strada un cristiano che soffre al tuo pari, come nulla scatta la scintilla.Ti ritrovi ad ansimare di fianco a un tizio, fino ad allora sconosciuto, mentre t’inerpichi soffrendo l’inenarrabile su per un chilometro e mezzo di salita (sotto al chilometro non può essere vero amore!).È lì che butti una frase come un’altra “Ma si sale ancora?” o “Dai, piano piano” oppure “ ’zzo pensavo che la salita era finita” (è sconsigliable usare correttamente il congiuntivo, non sai mai con chi te la corri) e si genera questa empatia tra moribondi che avevo sperimentato solo da militare.È un ragazzone alto, lo intravedo con la coda dell’occhio, vestito più o meno di nero, di faccia non so non ci guardiamo, solo corriamo fianco a fianco, nello stesso metro quadro, uniti e solidali contro il mondo.Vorrei raccontargli di quando ho imparato ad andare in bici, o di quella volta che ho visto Napoli da Castel Sant’Elmo al tramonto, vorrei chiedergli se si era alzato di notte per vedere Alì contro Frazier o se, per lo meno, era nato, e vorrei inondarlo di parole su quanto ho amato Il favoloso mondo di Amelie, vorrei mettergli in mano la mia vita, vorrei portarlo a conoscere i miei, a vedere l’erba del mio prato e a pigliare un mojito fatto con la mia menta. Vorrei abbracciarlo.E poi vorrei che anche lo spilungone in nero mi dicesse di sé, e sento che anche lui non desidera altro che raccontarmi della gioia di quando ha preso quel pesce enorme e di come lo guardava suo babbo, e di quanto odiava il suo fratellone per le botte che gli dava, e mi vorrebbe spiegare com’è che ha lasciato gli studi e che comunque, alla fine dei salmi, è andata bene anche così. E di quella volta al mare con gli amici quando hanno combinato quel casino e sono sfuggiti ai carabinieri nascondendosi sotto a una barca. Mi vorrebbe abbracciare.Poi arriva il ristoro “Ehi, c’è il tè!” mi fermo, sorseggio, ma lui tira dritto, forse mi aspetterà, penso, magari in cima al falsopiano, o prima di iniziare a scendere.Macché, invece accelera e se ne va, ormai intruppato e complice in un nuovo gruppetto, capace che non mi manderà nemmeno una cartolina, come quella crista di Varese conosciuta a Castiglioncello un’estate di trenta cazzosi anni fa.
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Di più effimero ed esplosivo dell’amore di un’estate c’è solo l’amore di una salita.Quando ti capita, in una delle corsette domenicali dove vai a sfrantumarti per la gioia dei tuoi muscoli, d’incrociare sulla tua strada un cristiano che soffre al tuo pari, come nulla scatta la scintilla.Ti ritrovi ad ansimare di fianco a un tizio, fino ad allora sconosciuto, mentre t’inerpichi soffrendo l’inenarrabile su per un chilometro e mezzo di salita (sotto al chilometro non può essere vero amore!).È lì che butti una frase come un’altra “Ma si sale ancora?” o “Dai, piano piano” oppure “ ’zzo pensavo che la salita era finita” (è sconsigliable usare correttamente il congiuntivo, non sai mai con chi te la corri) e si genera questa empatia tra moribondi che avevo sperimentato solo da militare.È un ragazzone alto, lo intravedo con la coda dell’occhio, vestito più o meno di nero, di faccia non so non ci guardiamo, solo corriamo fianco a fianco, nello stesso metro quadro, uniti e solidali contro il mondo.Vorrei raccontargli di quando ho imparato ad andare in bici, o di quella volta che ho visto Napoli da Castel Sant’Elmo al tramonto, vorrei chiedergli se si era alzato di notte per vedere Alì contro Frazier o se, per lo meno, era nato, e vorrei inondarlo di parole su quanto ho amato Il favoloso mondo di Amelie, vorrei mettergli in mano la mia vita, vorrei portarlo a conoscere i miei, a vedere l’erba del mio prato e a pigliare un mojito fatto con la mia menta. Vorrei abbracciarlo.E poi vorrei che anche lo spilungone in nero mi dicesse di sé, e sento che anche lui non desidera altro che raccontarmi della gioia di quando ha preso quel pesce enorme e di come lo guardava suo babbo, e di quanto odiava il suo fratellone per le botte che gli dava, e mi vorrebbe spiegare com’è che ha lasciato gli studi e che comunque, alla fine dei salmi, è andata bene anche così. E di quella volta al mare con gli amici quando hanno combinato quel casino e sono sfuggiti ai carabinieri nascondendosi sotto a una barca. Mi vorrebbe abbracciare.Poi arriva il ristoro “Ehi, c’è il tè!” mi fermo, sorseggio, ma lui tira dritto, forse mi aspetterà, penso, magari in cima al falsopiano, o prima di iniziare a scendere.Macché, invece accelera e se ne va, ormai intruppato e complice in un nuovo gruppetto, capace che non mi manderà nemmeno una cartolina, come quella crista di Varese conosciuta a Castiglioncello un’estate di trenta cazzosi anni fa.
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