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Di me diranno, di Luca Benassi

Creato il 11 febbraio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su febbraio 11, 2012

Di me diranno, di Luca Benassi

Le prose poetiche di Luca Benassi conservano l’atmosfera e i personaggi della tradizione religiosa cristiana: l’asino ( Di me diranno la pazienza della soma. ), il bue ( Di me diranno il fiato caldo. ), la stella (Di me ricorderanno la luce che segna la strada verso il bimbo. ), il fico ( Di me diranno sterile,…), il gallo ( Di me diranno il pianto amaro del tradimento. ), la croce (Di me diranno il segno della storia. ), il lago (Non c’è rete al dubbio se non quella / tesa al pesce, a rinnovare il mestiere del lago. Ma nel collaudato meccanismo dell’allegoria, Benassi introduce due sostanziali innovazioni: la rinuncia a qualsiasi morale spicciola e soprattutto l’elemento sorpresa. Mi viene spontaneo un riferimento a La Buona Novella di Fabrizio De André, per il quale il legame con i Vangeli Apocrifi è al contempo profondo e tenue: allo stesso modo per Benassi il ricorso alla rappresentazione tradizionale del Natale. Egli fa riferimento alla tradizione cristiana del presepe, ne usa alcuni strumenti, per poi stravolgerne lo schema statico e rituale. Attraverso immagini chi si rincorrono, si ammucchiano, ci meravigliano come fossimo bambini, e una sensibilità tenera e drammatica allo stesso tempo, offre uno spazio aperto all’incredibile, lo riempie di possibile, lo umanizza come fosse credibile, fino al tentativo di seduzione del lettore perché gioisca o soffra con lui. Ma la gioia è breve perché, essendo il corpo l’unico tramite col divino, il dolore fisico e psichico, che nell’iconografia tradizionale è totalmente assente, permea ogni verso, lo riempie di energia affettiva anche violenta che tende e musica la trama dei versi. …Fu paglia e calore di fiato, fu grido nel corpo che fioriva di dolore, l’incunearsi del tempo presente che si fa carne e sangue già pronto per essere versato, acqua di parto, liquido di croce che sudava dal corpo della donna. E poi coraggio e urla e urla sotto il peso divaricante del Dio che usciva dal ventre.

Con un volo di Pindaro, l’urgenza e la forte fisicità delle immagini, la concretezza e il colore del verso mi riportano a certe suggestioni della poesia di Sylvia Plath.

Al contempo il profondo senso religioso che pur traspare da ogni sillaba lo si comprende come si può comprendere una corsa di onde di mare agitato. Appassionato e radicale, trova una sua via speciale per dare voce alla pulsante istantaneità della vita nella poesia e nel verso. Il vivo del Tempo, l’immanenza, ciò che di misterioso e palpabile lega l’io al divino, un io che vuole superarsi, rompere le barriere della propria finitezza individuale per arrivare a una superiore conoscenza del mondo se pur attraverso il dubbio tormentato, l’angoscia gioiosa. In tal senso Benassi della stella scrive: E poi fui calore, fiato di bue nell’immensità dell’universo, nell’oceano del tempo, ribellione d’atomi, fuga, fusione, fui grande stella rossa di sangue, luce di luce, lama rossa per l’occhio, canto di un sogno. E ancora: Bruciai d’amore, conobbi la passione nucleare che genera l’esistere. / Conobbi infine il Tempo.

Dunque, la poesia di Luca Benassi si pone da un lato come forza eversiva, energia che libera energie, pratica che scardina il conformismo di ogni ordine, dall’altro come canto che celebra, che glorifica il mistero nei suoi aspetti ora solenni: il Cristo che muore,… Sentii il grido, l’ultimo fiato bruciare il nervo, squassare come vento le mie radici lese, il corpo di Dio sgretolarsi come pane secco nella notte, ora pacati e dolci: il Cristo che ritorna fra noi come vessillo di chi vuole una rigenerazione e come germe di ogni rinascita e di ogni futuro,

Di certo, mio Signore, dubitai / alla vista dell’acqua schiumante di miele / del tramonto, dubitai come la vertigine del tuffo / verso il nuovo arrivo. E tu eri sulla spiaggia ad / attendere / con il fuoco acceso, di brace, il pesce già cotto, / e il pane pronto / per essere spezzato.


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