Magazine Maternità

Di tutto un po', alla rinfusa.

Da Suster
La pupa è in catalessi. Questa cosa capita una volta su trecentocinquantamila, e quasi sempre me la sputtano facendo puttanate.
Come oggi. Sarà la pioggia? Mia sorella diceva sempre, quando lei era piccola, che quando piove i bimbi dormono che è un piacere.
Lei dorme dall'una, e inizio a temere una notte di fuoco se il letargo non si interropmperà a breve.
Per contro la mia connessione va e viene.
Tante idee da concretizzare, tanti progetti, tanti propositi da portare a termine, fuori e dentro il blog.
Quando potrei non lo faccio e quando vorrei non posso. Quando vorrei e potrei non riesco.
Vorrei per esempio parlare di lei, di come è, di come siamo diventate.
Rifletto sul passato e mi accorgo che divento deprimente, ed è l'ultima cosa che vorrei.
Ma è così: devo elaborare il mio difficile approccio alla maternità, per farlo, eviscerare il bagaglio di ansie e frustrazioni che mi porto dietro come unico ricordo nitido di quei primi faticosi mesi.
Perché poi? Non si può semplicemente andare avanti?
E a che servirebbe allora questo spazio?
Forse che ci devo scrivere solo stronzate, o bandire concorsi per accumulare record di visite?
No di certo.
Vorrei, potrei.
C'è chi lo fa splendidamente, si racconta e si analizza, per capire, tirare le somme.
Io ho diecimila post a metà e non so se finirli o cestinarli.
Ho iniziato cinque libri e di tutti ho letto solo le prime quaranta-ottanta pagine.
Troppo impegnativi i miei classici, e allora sbircio la libreria di Master e mi trovo nell'imbarazzante imbarazzo di dover scegliere tra Baricco e De Carlo, De Carlo e baricco. Ahimè. Due agonie, per me. Due torture.
Meglio Baricco: almeno è breve l'agonia. No, ma questo ha 300 pagine, altro che breve. Potrò tollerare 300 pagine di stronzate e periodare frammentario, punteggiatura arbitraria personaggi insulsi e assurdi e storie campate in aria? Poi dici perchè mi butto su internet e blog.
Tante cose rimaste nell'aria. Parlare ancora della mia città, dei miei viaggi. Ma il cielo è scuro e il tempo uggioso. Sorseggio una tazza di té beduino carico carico, al gelsomino, come il mio bagnoschiuma, regalo ancora non del tutto sfruttato del mio diventar mamma, in onore al nome della mia bambina, un piccolo fiore sbocciato in luglio, solare e prepotente come le estati più torride di quaggiù, e non le si addice il grigio di un dicembre che finalmente ci porta vento e pioggia.
A lei piace quando le canto "Nella pioggia", anche se la sbaglio sempre, e non immagina che l'anno scorso la addormentavo con quella canzone, sempre, a ripetizione nello stereo senza modalità "repeat" perché avevamo perso il telecomando, e allora correvo, ogni due minuti e mezzo, a rimettere indietro la canzone.
Ed è consolante constatare che una volta che parto funziono sempre, malgrado tanti giorni di inattività scrittoria, che non mi sono arrugginita, che basta fare andare il cervello, pure off topic. Si dice così, no? Senza una traccia predefinita, che ogni tanto funziona pure, anche se ho perso l'occasione di appuntarmi i geniali pensieri che mi balenano in testa nel corso della giornata.
E allora mentre aspetto riguardo le foto -un disastro- e le sistemo, le catalogo, penso di farci dei post, e le riunisco in cartelle, e sottocartelle, ma mi annoio, e smanetto con i programmi nuovi che ho scaricato, e che non so usare.
Dimenticavo. Che lei ora sa scendere da sola dal letto, e senza sfracellarsi la faccia. Si gira panza sotto e si lascia scivolare.
Eccola in piedi, con una risatina di soddisfazione mi chiama piano, di là dalla porta chiusa.
"Mamma! Mimi! Mamma! Mimi!" ripete. E cioè: "Mamma! Sono Mimi!" e che ridere mi fa quando crea queste sua prima frasi telegrafiche.
Ancora mi sorprendo a scoprire che formula dei pensieri tutti suoi, delle intenzioni comunicative non imitative, ma autentiche, come quando sgridava il bambolotto, ieri, perché si era messo le sue pantofole. Glie le avevo messe io, al bambolotto, per convincere lei ad infilarsele: "Se non le metti tu le metto al bebè." "No! Mimi!" e ha continuato tutto il pomeriggio a rimproverarlo: "Più! No!" (Non farlo più!")
La casa, l'inverno imminente, i gatti dentro e fuori la rubrica. La casa sempre affaccendatissima nel suo impegnativo compito di autodistruggersi, finchè non ci crollerà addosso.
Ma un giorno ve lo racconto per bene, chissà se poi vi interessa, sapere che la lavatrice non lava più, non centrifuga più, e che io porto il bucato in lavanderia tutti i lunedì, dopo il nido. Sapere che la serranda in camera è crollata e che ora dobbiamo avvolgere la cinghia ai pomelli della mia cassettiera, così che posso attingere al mio vestiario solo a serrande chiuse e quel che cojo cojo. Sapere che la lampadina si è pure fulminata e malgrado i miei immani sforzi non sono riuscita a smontare la plafoniera per cambiarla, e così viviamo a luce di abat jour dalle cinque di pomeriggio in poi.
Va be', io in caso lo dico, così magari qualcuno si impietosisce e viene a darmi una mano, che io non ci sto dietro a tutto, e mi chiedo com'è che il tempo non mi basta mai per fare nulla anche quando non faccio niente.
Ecco, ti pare che appena mi metto a fare qualcosa di costruttivo lei non si sveglia? Che ci ha il radar, lei, per queste cose.
Pazienza. Vorrà dire: vi mostro i miei favolosi collage, frutto di un pomeriggio di non-connessione, in attesa che la mia bella si ridestasse dal suo sonno tanto fuori dall'ordinario.
Di tutto un po', alla rinfusa.
Di tutto un po', alla rinfusa.Di tutto un po', alla rinfusa.
Di tutto un po', alla rinfusa.Di tutto un po', alla rinfusa.
Di tutto un po', alla rinfusa.
Di tutto un po', alla rinfusa.

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