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Diabolik, l’ultimo padrino

Creato il 14 ottobre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

Diabolik, l’ultimo padrino

Matteo Messina Denaro è l’unico superstite del periodo d’oro di Cosa Nostra. Dell’associazione criminale in grado di controllare traffici su scala internazionale di sigarette, droga e armi, di accaparrarsi gli appalti più succulenti, di dominare la Sicilia e non solo. Dopo gli arresti di Riina e Provenzano, Diabolik è l’ultimo vero uomo d’onore, il ricercato numero uno in Italia e numero quattro al mondo, secondo Forbes. La mafia non sarà sconfitta con il suo arresto, però subirà un colpo gravissimo, soprattutto d’immagine. Non ci sono eredi credibili della ferocia dei tre super capi, quello che resta è un manipolo di affaristi e intimidatori, pronti ad arrendersi al primo arresto.

Matteo Messina Denaro è nato il 26 aprile del 1962 a Castelvetrano, nel trapanese. Figlio di Francesco, don Ciccio, storico capo del mandamento del paese, che gli ha insegnato l’arte della latitanza. Inizia a sparare a quattordici anni, il primo omicidio non appena maggiorenne gli permette di entrare in Cosa Nostra.

Celebre per la crudeltà e il sangue freddo (“Con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero” aveva confessato all’amico gioielliere Francesco Geraci che poi è diventato collaboratore di giustizia) a cui abbinava uno stile di vita elegante, fatto di Porsche, Rolex Daytona, abiti Armani e Versace. 

Il padre è morto da latitante e da lui e dagli errori degli altri boss, Matteo ha affinato la tecnica del nascondiglio. Ad esempio, limita al massimo l’uso dei pizzini che ha tradito Provenzano. In un suo bigliettino, ironizzava proprio sul fatto che il Ragioniere avesse lasciato alla Polizia un vero e proprio archivio. Si fida solo di una cellula impermeabile di familiari: il fratello Salvatore, il cognato Vincenzo Panicola, i cugini Giovanni e Matteo Filardo. Le Forze dell’Ordine sono riuscite a fargli il vuoto intorno, arrestandoli tutti.

Anche altri suoi fiancheggiatori storici sono finiti nel cappio della magistratura. Antonio d’Alì, senatore del PDL, erede di una ricca famiglia di banchieri e latifondisti di Trapani, sta per essere rinviato a giudizio per concorso esterno a causa di una fittizia compravendita di una tenuta e del tentativo di acquisire un’azienda sequestrata. Nei terreni dei D’Alì lavorava come campiere il padre di Messina Danaro.

L’altro complice è Giuseppe Grigoli, re dei supermercato Despar in Sicilia, considerati l’autentica cassaforte di Diabolik. Maurizio di Gati, ex capomafia di Agrigento, racconta:

Ricordo che Giuseppe Falsone e Giuseppe Capizzi avevano provato a chiedere il pizzo per questi supermercati in provincia di Agrigento, ma Leo Sutera si era opposto. Disse che non si potevano chiedere soldi a Messina Denaro, che era un suo amico e che tutti sapevano che gestiva di fatto i supermercati.

Sutera, vecchio padrino:

Chiedere il pizzo a Grigoli significa chiederlo a Messina Denaro. E poi che facciamo: la mattina ci guardiamo allo specchio e ci sputiamo in faccia?

Grigoli avrebbe saltato la staccionata dell’illegalità nel 1974, dopo un incendio al suo negozio di alimentari. Da lì Messina Denaro l’avrebbe accompagnato nella sua carriera da piccolo bottegaio a grande imprenditore. Grigoli è stato arrestato nel 2007 con l’accusa di associazione mafiosa per aver reinvestito i soldi di Diabolik e gli sono stati confiscati beni per oltre 250 milioni.

Messina Denaro è stato denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso nel 1989. Il 2 giugno 1993, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, mentre scoppiano le bombe, a Roma, Milano e Firenze, risulta in vacanza con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Poi il nulla.

Da tre anni il giornalista Giacomo di Girolamo, dai microfoni di RMC 101, chiede: “Dove sei, Matteo?”. Il cerchio sembra si stia stringendo intorno a Diabolik. Di sicuro, non mancano gli agenti alle sue calcagna: poliziotti, finanzieri, carabinieri, servizi segreti, reparti in missione da Palermo e da Roma, esperti in intercettazioni ambientali e pedinamenti, i fedelissimi del Capitano Ultimo (che acciuffò Riina) che pur tra le fila del Nucleo Ecologico non disdegnerebbero un’altra cattura eccellente e persino qualche cane sciolto. Tanto che è difficile per Teresa Principato, Marzia Sabella e Paolo Guido, della Procura Antimafia di Palermo, coordinare le operazioni. A ciò si aggiungono le ristrettezze economiche dovute ai tagli: ad esempio, la Catturandi sta pagando di tasca propria le trasferte. Se ci si concentra solo sul boss, poi, non si riesce a fronteggiare la criminalità comune.

In questi anni si sono moltiplicati avvistamenti, veri e presunti, e fughe all’ultimo minuti. L’ultimo covo sicuro era stato rintracciato nel 2001, in una villetta tra Aspra e Bagheria, alle porte di Palermo. Nel 2006, la Mobile confidava di trovarlo nella casa di un’amante, rimasta incinta, proprio a Castelvetrano. Si sospetta che Messina Danaro abbia fatto spola tra Europa e Sud America per curare di persona i propri interessi grazie ai documenti del falsario romano Mimmo Nardo. Di sicuro è stato nel 1994 nella clinica oculistica Barraquer di Barcellona per curarsi la miopia: si è addirittura registrato con il vero nome. Le ultime tracce risalgono al 2009, quando erano stati captati dei mafiosi che stavano allestendo una villa ricca di comfort per un ospite molto speciale in provincia di Trapani, ma anche questo si è rilevato un buco nell’acqua.

Ora le Forze dell’Ordine, dopo aver fatto accuratamente terra bruciata attorno a Diabolik, stanno seguendo una nuova strategia, segreta.

Fonte: RE


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