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Il fatto è che io l’ho incontrato veramente ed era tale e quale a come me lo sono immaginato. Ad esser sincero, io lì per lì non lo avevo neanche riconosciuto. Sì, vedevo da lontano una figura strampalata e scabra, ma come ce ne stanno tante, per cui gli stavo passando tranquillamente accanto, andando oltre per la mia strada, quando ad un tratto mi sentii appellato con un tono imperioso: “Ehi, tu, giovanotto, stamme a sentire!”.
Il modo in cui mi apostrofò e mi scrutò mi sembrò lì per lì familiare. L’uomo si presentava un poco trasandato, anche se di preciso non saprei dire come e perché. La faccia era lisa, ma era tutta bella ripulita, si vedeva che il tizio s’era appena sbarbato, e non era affatto malvestito, anzi, indossava un elegante completino in lino chiaro e scarpe lucidate, eppure, più me lo riguardavo più notavo in quell’aspetto qualcosa d’irregolare. Avvicinatomi di poco alla sua persona, prima che io fiatassi, avvertii dei miasmi provenir dal suo corpo, ed è al quel punto che mi son detto tra me e me: “Ma guarda un po’ se questo tipo non somiglia al ritratto di Buzzi di Racalmuzzi!”. Non era soltanto per l’accento - ci mancherebbe altro! -, ma era tutto il suo portamento, il modo suo di muoversi, di gesticolare, che mi portava a lui, sì, proprio a lui. Ma ciò che più m’impressionò era la sua mascella, sembrava ch’avesse davvero delle ganasce pronte tritutare ogni cosa. Pensate cosa m’è mai passato per il cervello! Le idee più strane e più bislacche m’attraversarono la mente come un lampo. Forse si trattava di un’allucinazione! Sarà che in questi giorni ho dato troppa voce e corpo a questo personaggio che ora me la ritrovo innanzi in carne e ossa quasi fosse la sua autentica incarnazione.Comunque, per stare al gioco, io risposi: “Mi dica, signore”. “Non vi pare, giovanotto, che state un pochettino esagerando a mettermi alla berlina? Qua si parla de’ fatti miei e di me si fa gran caracatura; nun capisco che abbisogna avete de discettar de le mie corporal funzioni; passi pure che v’affannate a contar di qualche mio venial peccatuccio, na’ cosa e niente a confronto di quannu accade nell’universo-mondo de li furbetti, ma che mai bisogno avete a pigliarvi spasso della mia flatulenza?”. A quel punto che si trattasse proprio del Buzzi non c’era alcun dubbio. “Veda, signor Buzzi”, risposi io cortesemente, “lei per me rappresenta l’uomo qualunque, quello che tanti anni di malgoverno sono riusciti infine a plasmare; e i sintomi di questa degenerazione io più che nel carattere li vado a ricercar nel corpo che sa manifestarli più d’ogni altra cosa”. “Ve dico subbito che sto’ discorso nun mi garba assai; ah!, e accussì, indi per voi io sarei un omo qualunque, magari senza un principio de moralitate, uno che pensa solamente a come fottere il santo prossimo, ‘na specie d’egotica inflessione de’ tempi nostri o ‘na sorta de’ pianeta che gira a sbafo dentro il firmamento dell’universo-mondo e che nun se cura de la direzione! Giovanotto, qua voi m’offendete, io sono una persona pien di dignitate, che ve credete!, e anche se vivo in un paese di favole e di frottole io resto comunque ‘na persona assai stimata e accorta, tutti mi tengono in somma considerazione, ‘i sono ‘na persona popolare amata e lusingata da galantuomini e plebaglia, nun sapete quannu valga un mio semplice consiglio o un mio detto. Potrei giovanotto dirvi ch’io nel mio piccolo sono un uomo di successo, a modo mio s’intende, e che non aggia niente a che spartire con tutti quell’inetti, con quelle figurine da fumetti che stavano a presagir che il mondo sarebbe andato stuorto o capovolto sul finir del millenovecentodiciotto; io ho capito che a voi l’unica cosa che v’inquieta è la mia sfrontatezza, il fatto di fa’ ‘na cosa senza provar un minimo biasimo; e pecché mai dovrei a pentirmi?, il corpo vuole vivere e nun conosce fantasie, e mica se nutre solamente de’ bugie, esso vuol essere sempre nutrito e nun conosce soste, perciò giovanotto fatemi il piacere, la prossima volta che volete di me affabulare fatelo con grazia, evitate, se potete, de dispiacer alla mia persona lavando in piazza i panni sporchi de la mia cucina”.
“Caro Buzzi”, rispos’io, “veda, lei per me non è un personaggio il cui busto sta, come diceva il peripatetico, già in potenza, in un blocco di cemento, il cui mio gusto sarebbe quello di sbozzarlo a poco a poco, menando un colpo qua e un altro là come fa l’abile scultore quando sbozza con pazienza e con mestiere la marmorea materia della sua scultura. Lei a me somiglia più ad un gomitolo di fili che un bimbo candido si diverte ad intrecciare senza avere un disegno in testa. Egli intreccia, intreccia, spezza, rompe e annoda, senza porsi il problema di sapere quale figurina d’uomo uscirà da quest’imbroglio. Ve lo ripeto, Buzzi, egli in testa non ha proprio niente, non ha una trama, un piano, un disegno, un qualcosa che possa far dir all’osservatore: or finalmente mi raccapezzo in tutto questo intrigo! Come il bimbo si diverte ad intrecciar le sue figurine con i fili anche l’osservator, se il gioco non lo annoia, deve prender gusto a veder come il bimbo intreccia il suo lavoro man mano ch’esso s’avviluppa. Non è al risultato che deve porre mente, ma al processo, al gioco delle mani. Perciò, caro Buzzi, io non le prometto niente, essendo anch’io ignaro di sapere dove andrà a parar tutto questo andazzo!”.
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