Si è svolta nella giornata di ieri, mercoledì 11 febbraio al Campus Luigi Einaudi, un’iniziativa promossa dal CIDI Torino volta al cambiamento della scuola dal titolo “Sì, allora cambiamo la scuola (davvero!)”.
Una proposta, quella del CIDI, organizzata in modo tale da coinvolgere più punti di vista su un unico tema, quello del bisogno di rinnovare e di trasformare la scuola di oggi. Alle ore 15.30 è così iniziato un dibattito accolto da un pubblico a maggioranza femminile adulto – anche se non mancavano alcuni esponenti del sesso maschile – introdotto da Magda Ferraris, presidente del CIDI Torino, e poi moderato da altre voci, tra cui Mario Ambel, Domenico Chiesa, Mario Castoldi, Adriana Luciano, Ermanno Morello, Luigi Tremoloso, Gianna Pentenero, Nunzia Del Vento, Igor Piotto, Fabrizio Manca e Beppe Bagni.
La riflessione sulla scuola è partita poggiandosi su tre priorità rilevate come essenziali: il significato del “fare scuola”, il ruolo e le responsabilità dei soggetti adulti della scuola e il pensiero su come organizzare il tempo della scuola e dopo la scuola. Nel corso dell’incontro si è partiti dall’ultima tematica per arrivare successivamente alla prima e alla seconda, e si è discusso di questi argomenti avendo come punto di riferimento il documento, stilato dal CIDI Torino e disponibile sul sito online, nel quale si espone in maniera completa e articolata la proposta di cambiamento. Come ha sostenuto all’apertura del dibattito la signora Ferraris, la riflessione sulla scuola è nata alcuni mesi fa, ad ottobre, con l’intervento del Professor Baldacci all’apertura dell’anno CIDI. Questa considerazione nasce, spiega la Ferraris, dalla necessità del ragionare sulle sorti della scuola, dallo statuto stesso del CIDI che si occupa di migliorare la scuola che funziona ma anche, e soprattutto, quella che non funziona, e dalle critiche mosse ad alcuni nodi politici. Il CIDI, sostiene, ha un modo “strabico” di affrontare le problematiche: prendendo a modello e studiando le radici del passato – rifacendosi specialmente al Professor Gianni Di Caro e al pedagogista Bruno Ciari, che ha posto le basi del modello scolastico degli anni ’60 e ’70 – ma sempre con una proiezione verso il futuro, facendo attenzione principalmente alla formazione della scuola primaria e dell’infanzia.
Il problema principale, chiave dell’incontro, è che c’è un bisogno grande e impellente di scuola a cui non corrisponde, nella realtà, un progetto scolastico adeguato. Serve dunque una trasformazione, un cambiamento che muovono dall’opportunità di riaprire un ragionamento serio sul “fare scuola”: opportunità data dalla stessa politica con il progetto Buona Scuola di Matteo Renzi, in cui si propone di cambiare radicalmente l’istituzione scolastica in dodici mesi. Oltre all’aspetto politico, che è altresì condizione necessaria ma non sufficiente, è indispensabile che la stessa scuola si metta in moto per un cambiamento, che siano gli stessi insegnanti, alunni, dirigenti, a creare un’idea e poi un progetto di scuola che possa funzionare oggi, nel tempo presente. E proprio perchè è fondamentale rendere partecipi anche gli studenti, importante è stato l’intervento di Giorgia Pellegrino dell’Unione degli Studenti di Torino. Giorgia ha parlato di come il rilancio del processo di cambiamento, interrotto negli anni ’80, debba partire dall’accessibilità al diritto allo studio. Prima della didattica è basilare tentare di rendere la scuola davvero uguale per tutti: il costo dei libri, dei trasporti, del materiale tecnologico e scolastico non la rendono davvero paritaria, ed è necessario al contrario un intervento in questo senso. Ancora, nel corso del dibattito è venuto fuori come la scuola debba essere il punto di partenza della formazione globale dell’individuo, e luogo della cittadinanza praticata: a scuola si deve imparare ad essere cittadini ad ogni età per l’età che si ha, anche grazie al gioco.
A questo punto, interessante è la domanda posta dalla Professoressa Adriana Luciano, che si interroga sul motivo per cui queste idee di cambiamento – nuove e non – fanno così fatica poi a concretizzarsi. Gli ostacoli più duri sono le disuguaglianze che emergono alle scuole medie ma che si formano nel percorso precedente; disuguaglianze esplose dopo gli anni ’70, quando i progetti scolastici hanno smesso di essere basati sul progresso, sull’uguaglianza e sull’attivismo pedagogico di matrice deweyana. Bisogna avere il coraggio di rendersi conto che il ruolo della scuola, e dunque il suo progetto educativo, sono cambiati. Non esiste più un lavoro che include, come ad esempio faceva la grande fabbrica: univa persone diverse, alcune addirittura analfabete, permettendo di apprendere pochi gesti meccanici e ripetitivi assicurando un lavoro sicuro, con uno stipendio sicuro con cui costruirsi una famiglia, una vita sociale e la possibilità di considerare anche gli anni di pensione. Oggi nessuna scuola, nemmeno l’università, può formare un professionista completo, perchè questo genere di figura non è più richiesta dal mercato: la scuola deve fornire le capacità che permetteranno poi di imparare un mestiere, che sia un elettricista o un medico. La formazione professionale oggi è necessaria ma deve essere parte di un progetto formativo più ampio, in cui l’interazione con il mondo esterno è fondamentale.