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Dichiarazione d'amore

Da Mammacattiva

Dichiarazione d'amore

Foto di Stefano Monetti

Sono trascorsi più di 16 anni (!) da quel giorno in cui mi girai a guardare il cupolone e mi resi conto che stavo lasciando la mia città natale per una dimensione sconosciuta. Non scherzo quando dico che me ne resi conto solo in quel momento. Un attimo di ferma razionalità e stavo per raggiungere una casa nuova, lontana dalla mia famiglia e dai miei amici di sempre, insieme, tutto sommato, ad un semi-sconosciuto. Neo-laureata, neo-sposa, disoccupata, ignara di tutto quello che mi avrebbe aspettato.
"Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l'abito bianco di seta ed organza,
fiori d'arancio intorno all'altare,
aspettavo il mio sposo con devozione." 
(Carmen Consoli, Fiori d'arancio)
Flashback - Mi accompagnò mio fratello in chiesa con la sua macchina. Eravamo leggermente in anticipo e così decise di allungare il percorso. "Goditi Roma" mi disse. "Guarda se è bella".
Poi però cambiò discorso e mi disse: "Hai un'ultima possibilità. Basta che me lo dici e lo faccio. Ti porto in chiesa oppure all'aeroporto. Ti prendo un biglietto per un luogo qualsiasi e vado a spiegare io che non si fa più nulla". Rimasi di ghiaccio perché la risposta non arrivò di getto. Forse la sorpresa mista all'emozione, due minuti e dissi "ma no, dai, figurati". Eppure quando poi entrai in chiesa mi resi conto che erano tutti lì davanti alla mia promessa. Provai una stretta allo stomaco e quella non era emozione. Forse quello è stato l'unico momento di lungimiranza che non ho saputo cogliere perché la scelta era già stata fatta. "Che fai? Dici in quel momento a tutti che forse ti stai sbagliando?".
Back forward - Sedici anni dopo, lascio Bologna. Dio se ti ho amata. Ti ho amata talmente tanto che ti sono rimasta fedele anche quando potevo permettermi di lasciarti e ricominciare tutto altrove. E invece no. Sono rimasta. Sotto ai tuoi portici, con lo sguardo all'insù verso quei colori rosso aranciati dei muri e delle tegole dei palazzi del centro, nelle tue distanze a mia misura, nei locali goderecci dove le "minestre" non sono tristi pastine in brodo, ma goduriosi primi piatti impastati a mano.
Ho vissuto ogni angolo di Bologna. L'ho scandagliata nel primo anno di entrambi i figli, portandomeli nel marsupio e coprendo chilometri di depressione. Bologna è stata anche terapeutica perché nelle fughe a piedi mi rifugiavo nelle piazze, nelle chiese poco frequentate, tra le braccia delle amiche e degli amici acquisiti che ora sono parte di me.
Molti bolognesi hanno sempre commentato che conoscessi Bologna meglio di un locale. Ho imparato praticamente una nuova lingua. Non potrò mai dimenticare un "brisa" intercalato da un centralinista del mio primo posto di lavoro che mi lasciò interdetta, per scoprire poi che è un termine intraducibile, se non riconducendolo a un lontano "pas" francese: infili la parola e la frase assume il valore di una negazione.
Ci sono stati i tempi in cui mi gasavo nell'incontrare Dalla o Carboni per poi abituarmi e capire che mi abitavano vicino casa ed era normale, nulla di cui vantarsi. Morandi non era solo Gianni ma lo spirito di un vicino di casa nella mia prima dimora in Via Fondazza, un pittore, mica uno qualunque.
Bologna, Bulåggna in dialetto, era per me Parigi davanti alle vetrine di Tradii, Londra in Via San Felice, Praga negli itinerari labirintici dedicati ai misteri, le legende e le storie medievali, Venezia in Via delle Moline. Non mi mancava nulla a Bologna.
Nella vità però si deve avere il coraggio per i cambiamenti e con malinconia dico arrivederci alla mia Bologna, certa che mi apparterrà sempre, il contenitore e il contenuto.
Dedico questo post alla mia amica Nat.

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