DIECIPERCENTO E LA GRAN SIGNORA DEI TONTI - di Antonella Di Martino

Creato il 31 agosto 2012 da Ilibri

Titolo: Diecipercento e la gran sgnora dei tonti
Autore: Antonella Di Martino
Editore: Autodafé
Anno: 2012

Talvolta, quando leggo un romanzo, si attivano in me alcuni processi. E questo è puntualmente capitato anche con la lettura di “Diecipercento …”, il primo romanzo pubblicato con Autodafé da Antonella Di Martino, filosofa e già scrittrice di narrativa per bambini e ragazzi.

Primo processo: è di carattere mentale. Ruota intorno a un’idea che la lettura del romanzo m’ispira. Sarà un caso, ma la lettura di “Diecipercento …” mi ha ricordato uno dei primi pensatori che si studiano nella storia della filosofia. Tal Senofane di Colofone, celebre per la sua critica all’antropomorfismo religioso: “ … ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare ... i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi ...". Dunque, leggendo la storia di questo politico, soprannominato “Diecipercento” (“Dieci” per gli amici) per la sua abitudine di incassare percentuali sugli affari economici e politici, che viene ucciso mentre era a caccia con il suo cane e che aleggia – come fantasma – sulle pagine del romanzo in attesa di scoprire, con l’ausilio della nipote, il mistero nascosto dietro alla sua morte, mi sono ritrovato a decriptare l’espediente narrativo utilizzato dall’autrice: la modalità “antropomorfica” di concepire il passaggio dalla vita alla morte.

Il fantasma ragiona da uomo:

“Capì di esser l’ultimo fantasma che gli era rimasto.”

E’ dotato della sensibilità di un vivente:

“Un’esplosione, la morte istantanea e si era ritrovato a galleggiare in aria privo di materia sopra il suo corpo, a esaminare la sua faccia esplosa fin nei minimi particolari, ad assistere al pianto disperato di Sissi. Aveva provato ad avvicinarsi alla sua cagna per consolarla …”

E si riferisce ancora alle abitudini di quando era in vita:

“Da quando era morto, non era più riuscito a chiudere occhio e nemmeno a spegnere il flusso di coscienza.”

L’ectoplasma di Dieci incarna (ma si può utilizzare questo verbo per un fantasma?) le aspettative più umane sulla vita ultraterrena anche attraverso la contraddizione in re ipsa:

“Che esperienza, essere un fantasma! Vedere senza essere visti. Sentire senza essere vivi. Ammirare la propria faccia distrutta da un proiettile. Odiare la propria immagine riflessa nella mente di una nipote moralista.”

Per lo meno fintanto che si trova in una zona ancora prossima a quella terrena, una specie di limbo prima del trapasso definitivo:

“… Se non faceva attenzione, prendeva quota e si ritrovava a marciare in aria sopra i passanti.”

“La linea della morte andava tracciata con cura, prima di passare oltre.”

“L’angelo e l’ultima destinazione lo stavano aspettando.”

Il secondo processo è culturale. Sicuramente è una mia deformazione. Consiste nell’individuare, e per lo più accade in modo automatico, parallelismi con opere già lette, preferibilmente opere della letteratura classica: naturalmente, se questo è possibile. Il romanzo di Antonella mi ha evocato “Le noeud de vipères” di Mauriac. Perché l’indagine della nipote di Dieci, Margherita, analizza e demistifica i complessi e conflittuali legami di una vita familiare spesso basata su ipocrisie ed esteriorità.

“Possibile che la sua famiglia stesse complottando contro di lei, anzi contro di loro?”

E mi fermo qui, convinto di aver fornito spunti ed elementi di curiosità per la lettura di questo romanzo. Anche per decifrare chi sarà mai “La Gran Signora dei tonti”!

Bruno Elpis

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