Ci siamo, dopo essermi documentata molto in questo mese sono pronta per darvi spunti e news su quello che sta succedendo nel settore digital/moda mentre Twitter lancia Audience Insight e instagram i Direct response ads (ogni tanto penso di allargare la rubrica anche al settore food&beverage…).
Nella prima parte si parlerà di branded content (con alcuni miei ragionamenti a riguardo), giornalismo long-form, native advertising, poi di social video e app con tante case history.
Branded Content
La nuova parola del marketing, il nuovo modo di fare content strategy e storytelling. L’obiettivo non è vendere ma raccontare. Sarà che mi interessa molto l’argomento ma sto cercando di sviscerarlo il più possibile, cerco di sintetizzare cosa sta succedendo (una sorta di stream of consciousness).
Ogni giorno mi trovo a parlare di quanto i brand stanno virando verso progetti nativi e branded content in cui si racconta una storia e si cerca di farla digerire all’utente come storytelling e non come “marchetta”. I brand stanno diventando loro stessi editori, sono sempre di più i progetti editoriali realizzati dalle aziende stesse. Ci sono progetti editoriali in cui la pubblicità non è invasiva e il contenuto viene apprezzato come se non fosse sponsorizzato (qui si aprirebbe un dibattito sull’etica: io sono super d’accordo nel legare un brand a un progetto in target, i progetti di storytelling devono essere realistici e dare un valore aggiunto, altrimenti non sono credibili e dannosi per tutti). Un esempio di progetto editoriale sponsorizzato e ben riuscito dal mio punto di vista è The Creators Project in partnership con Intel o Swide di Dolce&Gabbana), altri casi in cui è più evidente la sponsorizzazione.
Le testate vivono la crisi e il cambiamento delle logiche pubblicitarie e puntano su sponsored post e progetti nativi (approfondimenti sponsorizzati e multimediali in cui si parla del brand in modo soft raccontando una storia senza essere invadenti) vendendo anche nei loro pacchetti la condivisione sui social media.
Multimedia storytelling. Avete presente il progetto interattivo (video, infografiche, immagini in movimento..) SnowFall del New Yotk Times (2012) e quello chiaramente sponsorizzato da Netflix per promuovere la seconda stagione di Orange is the new black, scritto da Melanie Deziel (per approfondire cliccate qui e qui)? SnowFall ha segnato un nuovo modo di fare long-form journalism (molto figo, qui alcuni esempi ben riusciti. Uno dei più belli secondo me è questo sul Guardian.). E da lì tanti hanno preso ispirazione fino ad arrivare ai branded content di oggi.
È come se la pubblicità diventasse essa stessa contenuto, un contenuto che valga la pena di esser cliccato. Mi sento di dire che oggi la pubblicità non deve “interrompere” l’esperienza dell’utente ma deve coinvolgerlo.
Dall’altra parte Facebook si sta trasformando in un publisher, in un social newspaper che cerca di stringere accordi con gli editori per far leggere gli articoli direttamente da Facebook senza passare dai siti delle testate. E qui sto aspettando di capire come si evolverà (non vedo perché mai un sito dovrebbe accettare di far leggere i propri articoli interamente su Facebook).
Uno dei casi che mi incuriosisce molto da tempo è sicuramente BuzzFeed che guadagna non dai banner ma da sponsored contents (di cui si nutrono anche i blogger di tutto il mondo) e che punta più sulla condivisione social che sul posizionamento su Google, produce video nativi su YouTube e snap video totalmente virali che fungono da traino per portare traffico al sito. E ancora, big data e interazioni sui social studiate per essere condivise.
La questione di BuzzFeed apre il discorso sui titoli e sul modo di fruire i contenuti che sta cambiando: la crescita del formato video “easy to consume”, di titoli scritti per essere condivisi sui social e per portare traffico al sito. Il tutto legato al fatto che non c’è tempo, troppa informazione fuffa, la gente non legge etc.
Non sono proprio d’accordo sul fatto che la gente non legga. Legge in modo diverso. Io faccio sia un utilizzo “veloce” delle informazioni, scorro rapidamente i titoli, guardo twitter al volo ma dall’altra parte leggo approfondimenti e long-form. C’è ancora una fetta di mercato che continua ad affiancare la lettura tradizionale e i longform alla trasformazione social che i contenuti stanno vivendo. Credo che il contenuto che informa e basta non sia così interessante, cerco articoli che approfondiscano e mi raccontino qualcosa di più (torniamo allo storytelling, quindi). Illuminatemi su cosa pensate voi.
Tornando al brande content inoltre, tra i grandi del giornalismo a fare uso di contenuti sponsorizzati segnalo anche The Guardian e la partnership con Unilever.
Altre considerazioni in ordine sparso e articoli che ho letto sull’argomento:
La discussione aperta su Mad Men e i branded content è molto interessante, a mio avviso. “While brands are very much still spending lots of money to get you to buy their products, the new hotness in the marketing game is to do advertising that isn’t actually advertising, but rather what is now being called “content marketing” or “branded content.” This branded content can be news articles or entertaining videos that look like anything else created by media company. Only instead of being made by journalists, these pieces of content are created either by a brand itself, or by a media companyon behalf of a brand that is sponsoring it.” da Motherboard. Un altro articolo sull’argomento è questo e qui trovate il tumblr di Mad Men.
Gli instant articles lanciati da Facebook sono la nuova ondata del branded content? Ne parla questo articolo.
Long form, branded content e metriche di qualità: ecco su cosa bisognerebbe lavorare ora.
Su Forbes ci si interroga su cosa sia un Native chief Officer “The biggest advantage of native ads are that they don’t look like ads. This is why they provide a much less disruptive advertising experience. There’s a common misconception that if an endorsement is paid, it can’t be genuine.”
Trovate esempi di branded content interessanti qui, “Branded content is any content associated with a brand in the eye of the beholder.”
Come diffondere i branded content? Stanno nascendo diverse piattaforme per farlo, una che mi sta incuriosendo è UpStory (mi sembra l’evoluzione di Ebuzzing e Buzz Paradise) che va a coinvolgere da un lato gli influencer e dall’altro i brand. Altre che ho scoperto e di cui sto cercando di capire il funzionamento sono DaoSquare e Textmaster.
I Millennials guardano la TV? Che comportamento hanno? Cosa deve avere un branded content per catturare la loro attenzione?
Mi piacerebbe molto trovare qualcuno che si occupi di questi temi con cui chiacchierare, sapete dove trovami in caso!
Social Video
Parto subito con un progetto video a cui ho lavorato in Attila&Co: per Baileys Shakerato è stato richiesto un progetto video che raccontasse le occasioni di utilizzo del nuovo drink per l’estate in orario pomeridiano e target femminile. Sono state scelte come protagoniste dei video – girati da NSS Factory – tre influencer appartenenti a tre mondi diversi: Patricia Manfield, Chiara Biasi e Natasha Slater. Trovate i video sulla pagina Facebook di Baileys.
Fendi punta sul video per la collezione Eyewear e sceglie Chloë Howl, cantante inglese. Qui l’articolo uscito su Dazed con un’intervista a Chloë.
Chi ha detto che i video per i social devono essere brevi? Chloè ha realizzato un long video da utilizzare sui social media: qui però non è protagonista il prodotto ma è puro storytelling. L’articolo su Luxury Daily è qui.
Dior ci porta dietro le quinte del film festival di Cannes con una video series: fa partecipare l’utente, lo porta nel suo mondo esclusivo in modo coinvolgente, rendendolo in qualche modo parte integrante delle sue attività.
Hogan Rebel ha lanciato un progetto editoriale davvero ben fatto “The Heartbreaking Tale of Laurent and Larry Bourgeois”. Ricco di immagini, video, interviste, contenuti esclusivi. Lo trovate qui.
Meraviglioso il connubio tra danza, moda e bicicletta realizzato da Hermes per promuovere un modello di bici. Il social video è stato pubblicato su Facebook, in micro video su Instagram e poi caricato sul sito dove è attivo l’acquisto direttamente dal video all’ecommerce (è uno shoppable video). Se vi interessa approfondire, qui il pezzo su Luxury Daily e qui invece il link al sito.
Montblanc ha scelto 6 influencer molto diversi come protagonisti di una campagna video. L’obiettivo è fare storytelling e raccontare il tema del viaggio spingendo prodotti come orologi e penne.
Cartier sceglie il formato video per promuovere la collezione Paris Nouvelle Vague: “In recent years, Cartier has focused and invested in the role of video in telling both brand and product stories. This video represents another addition to the collection and engages storytelling to convey the product’s essence.”
I video durano per sempre..“if a brand can create a campaign or video that is so powerful or memorable that it becomes a kind of cultural touchstone, then the brand can benefit from years of consumer engagement”. Qui tutto l’articolo.
Passiamo alle app di video sharing: SnapChat sta cercando un modo per monetizzare con i format adv e ha già iniziato a guadagnarci con i Geofilters. Il primo brand a usarli è Mc Donald’s.
Il live streaming su SnapChat o Periscope è diventato parte integrante delle strategie social dei fashion brand. Qui qualche esempio tra cui Burberry e Belstaff.
Sempre di video si parla quando si nomina il live streaming con Periscope: a utilizzarlo è stato Tag Heur durante un tennis match di fronte al negozio sugli Champs-Élysées.
Louis Vuitton ha invece iniziato a utilizzaro Snapchat: “Millennials consume experiences. Snapchat is a perfect vehicle to deliver an experience as well as give the user a chance to share the experience”
Flash news su Meerkat, Periscope e le altre app di video sharing spiegate in un articolo su Wired.
Strategie
Se vi state chiedendo quali risultati si possono raggiungere con le social campaigns su Instagram? Qui alcuni esempi riusciti.
Burberry, tra i brand moda, è sempre un passo avanti agli altri e ha utilizzato le nuove annotations di YouTube per la sfilata SS15. Gli utenti in questo modo possono vivere un’esperienza più ampia rispetto alla normale fruizione del video, muovendosi su vari livelli di contenuti in base ai box che si presentano in particolari momenti del video.
Utilizzare Instagram per creare contest non è una novità, un esempio interessante mi sembra essere Instagram Challenge #MuseoIdeale: è una call dedicata a tutti gli appassionati di arte e fotografia. #MuseoIdeale è un invito a guardare e fotografare il mondo. La call è supportata da un mini website (www.museoideale.it) che ospiterà una raccolta in progress delle immagini condivise dalla community. A partire dal 15 maggio fino al 4 settembre, tutti gli Instagrammers italiani e stranieri potranno aderire alla Challenge, commentando le proprie immagini con l’hashtag #MuseoIdeale. Ogni settimana una nuova parola chiave rilancerà l’iniziativa, in un viaggio tra oltre 100 opere dell’arte italiana.
Sono molto affezionata a Pinterest dai tempi in cui ho scritto l’ebook, non ho però mai avuto modo di testarlo su un brand e mi interrogo molto sulla sua reale efficacia. Sicuramente una delle possibili evoluzioni era a livello e-commerce e in effetti funziona bene, a dimostrazione gli ultimi a usarlo sono Neiman Marcus e Nordstrom.
Instagram come Magazine? Ci ha provato Ballantine’s con un magazine sul Whisky interattivo. Il risultato in termini estetici è molto figo, ho dei dubbi sull’engagement ma in quanto a innovative forme di fruizione contenuti è sicuramente interessante. Qui trovate un pezzo su Medium. “A new editorial experience : a combination of smart design, playful user experience and exciting stories”
Fashion App
Stavolta è Net A Porter a lanciare un’app, si chiama The Net Set: gli utenti potranno pubblicare i prodotti presenti sulla piattaforma o su altri e-shop, foto scattate personalmente e rilasciare le proprie impressioni. Una sorta di community quindi. Ne ha scritto anche Forbes.
Blocco31. Si chiama così la nuova app per lo shopping. Punta tutto su ibeacon e proximity marketing. “Con il proximity marketing è possibile portare l’online all’offline, permettendo a chiunque di accedere ad informazioni contestuali all’interno dei punti vendita, ottenendo informazioni aggiuntive su prodotti specifici o scoprendo le promozioni relative alla fascia di prodotto che stanno visionando, fino al suggerimento del prodotto correlato. In sostanza oggi è possibile trasformare l’app in un assistente alle vendite.”
Wearable Tech
Per quanto riguarda la tecnologia indossabile un tema molto caldo riguarda il settore healthcare: la rivoluzione parte dal rendere le persone autonome nell’accedere a propri dati biometrici e a monitorarli, creando uno shift positivo dalla cura alla prevenzione in cui il paziente assuma il ruolo centrale da protagonista.
Un esempio: Cycardia Health e la wearable technology iTBra, un reggiseno che permette di effettuare screening mensili sullo stato di salute del seno, in autonomia. Sarà messo sul mercato in Europa nel primo trimestre del 2016 e a seguire negli Usa. Qui e sui su Bloomberg per approfondire.
E poi, il jeans che ti avvisa se stai ingrassando nasce dall’unione tra Google e Levi’s.
Cose fighe
Succede in Cina – ovviamente – che Fan Bling Bling abbia scattato un selfie. Questo selfie ha ottenuto più di 6 milioni di like. Considerando i suoi 33k followers su Weibo ci sta.
Looking Forward: un incubatore per promuovere l’innovazione tecnologica nella moda. Attraverso questa iniziativa, Showroomprive appoggerà attivamente diversi progetti digitali con l’obiettivo di creare partnership a lungo termine e sviluppare un autentico ecosistema a favore dell’innovazione e della tecnologia per il settore della moda in Europa.
E poi vi lascio la ricerca sui digital trends 2015, 200 slide molto utili.
Ok, se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate scrivetemi!