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Disordina chiude, l’ultimo post: “La vita che vogliamo e non quella che ci viene”

Creato il 03 febbraio 2014 da Simodisordina @simodisordina

Fare una cosa per l’ultima volta è sempre molto doloroso. Ma questo dolore può avere sfumature differenti. Molte volte si fa una cosa per l’ultima volta senza saperlo, così ci si scansa la tristezza. In questo modo, tuttavia, non riusciamo a comprendere l’importanza di quel momento e, in un certo senso, lo si butta via per sempre. Solo poi si rimpiange di non aver saputo capire, di non aver capito che quella sarebbe stata l’ultima volta.

Questo incipit un po’ patetico è l’ incipit patetico dell’ultimo post di Disordina.it. Il blog non sparirà, sarò spostato su WordPress ma non sarò mai più aggiornato.

Perchè? Mi sono rotto le balle.

Perchè mi sono rotto le balle?

Perchè non ci sto più dietro. Perchè questo sforzo non sta più dietro alla stupidità della cronaca quotidiana, perchè questo sforzo non vale quanto la foto su Facebook di un pirla che mostra il dito medio mentre s’infila in bocca un panino in un pub, perchè la cronaca politica che cercavo di commentare vale zero per il semplice motivo che non riesce a guardare aldilà della convenienza, del viviamo giorno per giorno.

In questo paese dobbiamo ritornare a capire che ciò che conta è prenderci la vita che vogliamo e non accettare, vivere e commentare quella che ci viene. Dobbiamo capire che quello che conta è pensare e realizzare anche la felicità futura e non solo accettare la stupidità e le convenienze che ci regala questo tirchio presente. Commentare con questo blog quella babele di idiozia che è la politica italiana per me è diventato, oggi, insostenibile e quindi, semplicemente e decisamente, ho deciso di smettere.

La mia verità è che per venti anni ci hanno raccontato milioni di balle e queste balle sono diventate la realtà, sono diventate il quotidiano stupido e ignorante in cui tutti cerchiamo di sopravvivere alla meno peggio. Poi mi è capitata una cosa che, a tal proposito, vale la pena di raccontarvi. Tempo fa ho attraversato per la prima volta lo Stretto di Messina. Un’esperienza bellissima, ma quando hanno imbarcato sul vaporetto il treno sul quale viaggiavo è accaduto un fatto strano. Un ragazzo siciliano che ha scattato foto alla sua tipa per tutto il viaggio, a un certo punto, le dice: ” Ma amore…ma…ma… ma come ? Prendiamo la nave ? Ci mettono su una nave! Scusami amore, ma qua non c’era il ponte ?”. In quel momento ho capito tutto, mi sono passati dinnanzi agli occhi venti anni di storia. Ho visto nitido il punto più alto e assurdo di quella barbarie culturale che, per esorcizzarla, chiamiamo Berlusconismo. Ma il Berlusconismo è solo un vocabolo, la verità va cercata nello svuotamento completo delle anime e dell’anima di un paese, di questo, ognuno ha il suo pezzetto di colpa.

Non esiste più una realtà da raccontare, esistono solo incubi da distruggere e cancellare. Incubi che si sono fatti realtà. Incubi che si sono fatti anima. La mia, tuttavia, non è per niente una resa, è un tornare a fare esclusivamente il mio vero lavoro: scrivere libri, fare teatro e realizzare video. In questo mio lavoro, come sempre ho cercato di fare, metterò le mie idee e credo che questa sia la cosa migliore che possa fare per il mio paese anche quando andrò via. Il giorno che andrò via non dirò: “Vaffanculo, paese di merda!” Dirò: “Fanculo a te Simone che non sei riuscito a cambiarlo!” Ma un pochino, giusto un po’, devo dire che ci ho provato e non solo con questo stupido blog.

Ho cercato di non esser triste ma, come dicevo all’inizio, fare una cosa per l’ultima volta con la consapevolezza di farla non è per niente un fatto allegro. Così tra poche righe, per tirarci su il morale, vi racconto la storia di un combattimento di boxe che avrei voluto tanto raccontare e che per varie ragioni non sono mai riuscito a scrivere. Chi un po’ mi ha letto sa che Disordina.it ha avuto due frasi chiave che in un certo senso sono state il semplice manifesto spirituale di questo piccolo progetto.

La prima è di Enzo del Re: “Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo”, questo perchè il lavoro non dovrebbe essere solo un diritto o un dovere ma una lenta felicità. Io credo che un paese migliore è quello in cui ognuno, quando fa il suo lavoro, riesce a essere immensamente felice. Io sono immensamente felice quando faccio il mio lavoro e mi sento un uomo fortunato per questo.

La seconda frase chiave è di Muhammad Ali ed è il suo manifesto pugilistico ed esistenziale. Questa frase è uno degli slogan più celebri del secolo scorso e devo ammettere che non sono stato molto originale nello sceglierla. La frase in questione è ovviamente Vola come una farfalla e pungi come un’ape! Ed è di questo che vi voglio veramente parlare, perchè è nello spirito di questa frase che la mia generazione potrebbe trovare la forza di realizzare il proprio mondo e prendere in mano la vita che vogliamo e non quella che ci viene. Così il mio racconto deve tornare indietro nel tempo al 30 ottobre del 1974 e spostarsi in Africa, nello Zaire, a Kinshasa, al combattimento più grande e importante della carriera di Muhammad Ali. L’ incontro che è stato l’evento sportivo epico del secolo in cui sono nato.

Il 30 ottobre 1974 a Kinshasa, Ali aveva trentadue anni, era dato da tutti come certo perdente perchè il suo avversario, più giovane di lui di sette anni, era il pugile più aggressivo, potente e violento di ogni tempo, il grande George Foreman, il campione del mondo dei pesi massimi. Ali aveva perso il titolo nel 1967 per aver rifiutato di arruolarsi nell’esercito a combattere l’ingiusta Guerra del Vietnam. Nel 1967 Muhammad Ali aveva perso tutto e per quattro anni gli è stato impedito di boxare. Prima di quella vicenda era il pugile più talentuoso e veloce mai visto all’opera. Distruggeva con grazia i suoi avversari danzandogli intorno e colpendoli con una velocità ineguagliabile. Non si era mai visto un combattente così elegante, mai visto un talento simile. Ma non si era mai visto nemmeno un pugile diventare, dopo la morte di Malcom X, Bob Kennedy e Martin Luther King, il punto di riferimento della battaglia per la conquista dei diritti civili dei neri d’America. Ali non era solo un grande pugile, era, ed è, un uomo profondamente intelligente e coraggioso, uno di quelli che scelgono la vita che vogliono e non la vita che viene. Tuttavia quando nel 1970, dopo che gli fu riconcessa la licenza di boxeur, poté ritornare sul ring, Ali scoprì una cosa terribile: dopo quattro anni senza combattere non era quello di un tempo, non era il più forte di tutti, ma fu in quel momento che capì un’altra cosa cosa; aveva in mano l’immensa possibilità di diventare non il più forte ma…il più grande. Vincere senza essere il più forte, vincere senza avere i favori del pronostico, vincere con il cuore e con il cervello, vincere da uomo e non da pugile. Ci vollero quattro anni.

Nel 1971 fu sconfitto da Frazier che era il campione che aveva preso il titolo che a lui era stato espropriato nel ’67. Frazier, poi, fu annullato in maniera violenta da Foreman in soli due rounds. Foreman divenne così il nuovo imbattuto campione del mondo dei pesi massimi. Ali invece sfidò di nuovo Frazier, ebbe la sua rivincita e quindi non gli restava che tentare l’impossibile: sfidare l’uomo che aveva demolito il primo pugile da quale lui era stato sconfitto.

Lo fece quel 30 ottobre del ’74, in Africa, dinnanzi a un pubblico nero che era tutto per lui. L’Africa amava Ali perchè Ali aveva dato tutto per difendere l’Africa negli Stati Uniti. Il pubblico prima dell’incontro gridava: “Ali bumaye! Ali bumaye!” che significa: “Ali uccidilo!”

Uccidere Foreman, battere Foreman…impossibile. Troppo forte, troppo grosso, troppo favorito, troppo più giovane, troppo spietato. Ma Foreman, il campione del mondo in carica, quel giorno rappresentava, ignaro, molto più di un pugile; era il forte che voleva umiliare il debole, il potere che sfida un popolo. Questo lui  non lo sapeva, non sapeva che lo sport, come qualsiasi altra cosa può essere metafora di faccende più grandi. Muhammad Ali invece di ciò era pienamente cosciente.

C’è un momento chiave in questo mio racconto ed è il primo round dell’incontro. Ali in questo primo round scoprì sulla sua pelle quello che tutti sapevano: non avrebbe mai potuto battere, da pugile, un pugile più forte di lui ma allo stesso tempo scoprì anche che per vincere questa partita serviva l’uomo, gli serviva tutta la sua intelligenza e tutta la capacità di soffrire e resistere.

Nel primo round Ali volò come una farfalla e punse come un’ape per l’ultima volta in carriera, da quell’incontro il suo stile di combattimento cambiò per sempre. In quella prima ripresa Muhammad colpì Foreman abbassando la guardia più volte, lo fece diventare matto. Gli mostrò di avere più talento, più velocità, più coraggio, più grazia, più arte, nonostante fosse più debole del suo avversario. Foreman non aveva mai visto un pugile sfidare in questo modo la sua immensa potenza, nessuno aveva mai avuto il coraggio di colpire a guardia abbassata il pugile più potente di ogni epoca. A fine primo round però Ali era con il fiatone, non aveva più energie, non riusciva più a danzare, non riusciva più a pungere. Foreman lo mise all’angolo e negl’ultimi secondi di questa incredibile prima ripresa Ali si chiuse in difesa. Subì colpi durissimi, colpi a cui nessun pugile prima di lui aveva resistito. Tornò all’angolo dopo il gong e, credo che in quel momento, capì: non poteva battere quel pugile più forte di lui, poteva solo sconfiggere quell’uomo, poteva farlo con la sua intelligenza e con la sua anima e solo a costo di immani sofferenze. Si alzò per la seconda ripresa e gridò al pubblico: “Ali bumaye!” E la sua gente gli rispose “Ali bumaye!”. Tornò al centro del ring e subito fu di nuovo messo alle corde. Foreman lo colpì per 7 rounds con una ferocia incredibile, Ali sembrava finito e destinato al martirio. Mentre veniva ferocemente colpito Muhammad tuttavia trovava la forza di parlare: prendeva in giro l’uomo che aveva davanti, lo faceva arrabbiare e a ogni insulto Foreman andava a segno con pugni sempre più terribili. All’ottavo round le cose cambiarono: il campione del mondo, stanco per i mille colpi violenti inferti ad Ali, non aveva più la forza delle prime riprese, era sudato e barcollante, i suoi pugni sempre meno potenti. Fu chiaro a tutti che Ali aveva fatto l’unica cosa che può consentire a un uomo di cambiare il suo destino e di distinguersi dalle scimmie. Ali aveva avuto un’idea, aveva pensato a un progetto e lo stava realizzando dinnanzi al mondo intero. L’idea fu: devo fare stancare questo pugile più potente e forte di me, mi lascerò colpire, soffrirò come un cane bastonato ma quando lui sarà stanco…io danzerò, troverò la forza di danzare e Foreman andrà al tappeto, Foreman dovrà andare al tappeto!

Andò così. Negli ultimi venti secondi dell’ottavo round Ali uscì dalle corde e trovò la forza di colpire il campione del mondo con una raffica velocissima di sette colpi e mezzo. Il mezzo colpo è quello che Ali trattenne…lo bloccò quando si rese conto che il suo avversario era battuto e stava lentamente finendo al tappeto. Forse fece così perchè ci vuole anche compassione e stile per fare di una vittoria, una epica vittoria. Ali in questo splendido modo era ritornato campione del mondo, aveva riconquistato il titolo perso ingiustamente sette anni prima. Pochi minuti dopo l’incontro, quando i due pugili erano oramai negli spogliatoi, un nubifragio si abbatté su Kinshasa. Era cominciata la stagione delle piogge giunta a rendere questo finale decisamente più suggestivo. Ali quel giorno sconfisse l’invincibile Foreman e vinse la battaglia della sua vita grazie al coraggio di avere un’idea e di essere pronto a soffrire ogni pena pur di realizzarla.

Direte voi adesso: “Ma Simo che cazzo c’entra questa storia con questo blog mezzo comunista e con i berlusconi, i renzi, i monti di cui ci hai parlato per due anni ?”

“Be’ c’entra perchè ho capito, in due anni, che non basta avere delle buone idee, ogni tanto bisogna realizzarle, soffrire e vincere”.

Ma soprattutto qualcuno mi chiederà: “Che cazzo c’entra Simo questa faccenda di Ali con il fatto che chiudi il tuo cazzo di blog ?”

“Be’ io ho tre idee, quindi restate in qualche modo sintonizzati e, ovunque sarò, cercherò di realizzarle per il gusto di provare a prendermi come sempre la vita che voglio e non la vita che mi viene”. 


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