La settimana scorsa è stata ratificata la separazione tra la Fazi e il gruppo Mauri Spagnol, dopo tre anni e mezzo di convivenza travagliata. In questo periodo, la crisi del settore editoriale si è sovrapposta a quella interna alla casa editrice romana, ben più pesante, che ha portato all'azzeramento della redazione della narrativa straniera e a una drastica riduzione del personale. Allo stato dei fatti, la Fazi può contare su pochissime persone tra editor e ufficio stampa, e in alcuni casi si avvale di servizi editoriali esterni per la revisione dei testi.
La casa editrice è in attivo, ma ha subito nel corso dei tre anni una fortissima contrazione dei ricavi, dovuti a scelte editoriali infelici e alla pubblicazione di volumi che si sono rivelati poi clamorosi flop (un nome per tutti: Amanda Hocking). Accanto a pochi volumi di valore, come Tanit di Lara Manni o la serie Blackfriars di Virginia De Winter, si sono trovati testi risibili, che hanno generato disamore e una perdita di fiducia e credibilità da parte dei lettori e tra chi vi lavorava.Da parte della Gems si è sottolineata la mancanza di collaborazione e di adesione alle linee guida del gruppo, elemento fondamentale per una buona sinergia. Rumors parlano anche di una difficile compatibilità personale tra i vertici delle due aziende, che alla fine hanno scelto di proseguire la propria strada su binari diversi.
La Gems continuerà a essere una delle major del mercato mentre la Fazi, attraverso il suo blog, rivendica con decisione la propria volontà di ritornare ad essere una casa editrice indipendente.
Eppure, le perplessità rimangono, e sono molte. Nonostante le dichiarazioni ottimistiche di Alice Di Stefano, moglie del proprietario della Fazi nonché responsabile della nuova collana "Le meraviglie", (nonché editor, nonché autrice), la situazione appare confusa, se non precaria.La quota di mercato della Fazi ha subito un netto decremento (che spiegherebbe la facilità con cui la Gems ha rescisso il contratto), anche a causa dei cambiamenti di gusti del pubblico, e dunque non è più un soggetto molto appetibile da un punto di vista prettamente economico ed editoriale.

Sarà vera gloria o un’ennesima trovata pubblicitaria per solleticare il voyerismo tipico dell’ambiente editoriale italiano?






