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Donne che vengono dal mare

Creato il 05 marzo 2014 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

showposterIl 2013 è stato l’anno della più grande tragedia del mare, ci ricorda TgLa7 cronache; Il naufragio del 3 ottobre, quando a largo di Lampedusa morirono circa 400 persone. C’erano tanti  bambini…C’erano tante donne…

C’è una questione femminile all’interno del fenomeno migrazione. Un flusso di donne che dall’Africa attraversa il Mediterraneo con mezzi di fortuna: barconi, zattere, gommoni. Ragazze e madri.

Donne scappate dai loro paesi d’origine. A volte sole. A volte insieme alla loro famiglia. Tutte, alla ricerca della sopravvivenza e di una nuova vita. Immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. Donne con poche p

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arole, dette in un italiano stentato, tante emozioni ed un fiume di sensazioni inespresse. A volte indicibilili. Storie di donne nel grande fiume dell’emigrazione. Problemi, esigenze, dolore, difficoltà, spesso non considerate. Ci sono le violenze subite. La promiscuità forzata. La mancanza di spazi nei centri di accoglienza. Il parto.

Nel loro paese si ha presto l’età per amare e  vengono definite donne a tutti gli effetti, solo che  donne a tutti gli effetti sono quelle che fanno all’amore, che servono i loro uomini, che li compiacciono, che ascoltano, che obbediscono, che creano nuove vite, che le accudiscono, che insegnano il rispetto, che lavorano, sì, anche che lavorano, ma senza dover troppo pensare con la propria testa. E poi c’è la guerra e la fame. La fuga.

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Il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini: “Sono soggetti maggiormente fragili. Hanno subito violenze lungo il viaggio, a volte sono incinte perchè sono state violentate. Hanno più necessità e sarebbe opportuno un supporto pscicologico e poi andrebbero accompagnate lungo la loro integrazione”.

Le donne che vengono dal mare, sono circa il 50% degli emigranti che ogni anno approdano sulle nostre coste. Qualcuna partorisce appena arrivata a terra. Partoriscono, su un’isola senza strutture sanitarie adeguate, (le donne italiane sono costrette a “migrare” per procreare). Il 3 ottobre ce n’erano decine di donne sul barcone naufragato a poche centinaia di metri dall’isola. Una di loro era in stato avanzato di gravidanza. L’hanno trovata in fondo al mare abbracciata al suo bambino partorito durante il naufragio e ancora attaccato al cordone ombelicale.

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Storie di separazione e di sofferenza. Storie ai migrazione al femminile che hanno sempre un carico maggiore di dolore e che hanno sempre la necessità di una risposta e di una accoglienza più attenta. Vittorio Alessandro, per anni a capo della Capitaneria di porto a Lampedusa, di recuperi di donne in mare, ne ha fatti molti. Ora ha deciso di impegnarsi al loro fianco. ” Il prezzo altissimo che queste donne pagano per l’attesa prima dell’imbarco. La sofferenza durante l’imbarco, su questi barconi, pieni di uomini, dove deve cadere ogni pudore. Sofferenze poi anche quando arrivano, perchè il trattamento che ricevono normalmente non è dignitoso. La mia esperienza, ricordo, è di donne con l’abito della festa che quando arrivano in banchina, hanno portamenti fieri, molto più dei maschi. Ricordo i canti…gli sguardi…”

Una fra tutte, Rose. Ha 22 anni. Viene dalla Nigeria e nell’attraversata ha perso suo marito e ora lancia un appello: “Non chiedo troppo, prego Dio che mi faccia ritrovare mio marito e che lo protegga per me. Mio figlio potrebbe nascere in qualsiasi momento, e la sola cosa di cui ho bisogno dagli italiani, dal governo italiano, è il loro aiuto. Sono certa che Dio mi prot

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eggerà, mi ha protetto attraverso il mare e niente altro può capitarmi ancora. Ma ho bisogno di aiuto per me e per mio figlio che nascerà in Italia, perché non posso più tornare a casa.”

È una storia simbolica la sua, che ci offre l’occasione di riflettere sulla quella legge Bossi-Fini, sulla solidarietà che un paese civile deve offrire, sulla nostra capacità empatica, noi che abbiamo molto di più.

Rose è l’immagine estrema di quello che non deve più accadere, che dobbiamo fare di tutto perché non accada. Per queste donne e sull’accoglienza che si dovrebbe offrire loro, il comitato del 3 ottobre, nato, dopo l’ultima tragedia del mare a Lampedusa sta mettendo in piedi una campagna di sensibilizzazione.

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È questa l’alternativa possibile, una società che sappia accogliere, che sappia apprezzare l’arricchimento che porta la diversità, che sappia integrare.


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