Ho recentemente visto due film che si reggono su figure di donne svogliate. “Blue Jasmine”, dove una Cate Blanchett bellissima si dispera per la fine del suo miliardario matrimonio e cerca senza successo di rifarsi una vita sulla West Coast. “Il Capitale Umano”, in cui una Valeria Bruni Tedeschi bravissima cerca di distrarsi da una pigra e ricca vita di provincia acquistando e ristrutturando un teatro -anche qui con esito negativo-.
Vorrei compatirle, vorrei pensare che le loro vite sono prive di senso, che sono improduttive e questo senso di inutilità ha irrimediabilmente avvelenato le loro vite. Che la forzata inattività ha inficiato la loro intelligenza e sono pertanto incapaci di apprendere, darsi da fare, aggredire i problemi alla radice. C’è uno stereotipo secondo il quale se non lavori e non fai nulla di economicamente remunerato, allora sei tendenzialmente condannato ad essere infelice.
Un altro per cui, se all’interno di una famiglia la donna non contribuisce economicamente al ménage pur avendo le capacità e le possibilità materiali per farlo, allora è una mantenuta. Pare che si sia legittimate e non lavorare se si ha un minimo di 3 figli in età prescolare; in caso contrario, la non-lavoratrice va guardata con sospetto. Ma quale sospetto, porco il demonio, quale sospetto???? Io provo solo invidia. E’ terribile sentirsi intimamente chiamate ad una vita pigra e lenta, ed essere condannata a dover correre come un criceto sulla ruota ed essere perennemente in ritardo su tutto, inadempiente, superficiale. “Ma come, questa iperattività non ti fa sentire viva?” “No. Mi fa sentire stanca”.
All’idea di scrivere le mie giornate da capo ogni mattina, inizio a sbavare copiosamente. Perché io non sarei affatto inutile, capite? Prima di tutto, sarei una moglie da sogno: ricevimenti, cena, tè pomeridiani, show di cake design. Io darei finalmente all’economia domestica la dignità di scienza. Ovviamente, sarei una madre presente e attenta, ma non ansiosa né -giammai- ansiogena, visti tutti i libri di pedagogia letti nel tempo libero. Diventerei colta e interessante, perché leggerei, andrei alle matinée teatrali e al cinema. Sarei più carina: andrei dal parrucchiere e dall’estetista con regolarità. Avrei un culo di marmo, perché andrei quotidianamente a nuotare, a yoga, a correre. Darei finalmente sfogo alla mia creatività: mi comprerei una Singer e tirerei fuori certi scamiciati che Jo March levati proprio. Sarei molto buona, perché insegnerei l’italiano agli stranieri e aiuterei mille enti benefici. Quale Onlus sceglierei? Ma questa, che domande idiote. Ma soprattutto riuscirei a concentrarmi e scrivere qualche post interessante dotato di senso, invece di raffazzonare quattro stupidaggini in pausa pranzo mangiando una barretta Pesoforma.
C’è qualcuno che nutra fiducia nel mio senso critico? Nessuno? Va bene, due parole sui film le metto comunque.
-Siccome normalmente trovo Virzì assai banalotto, sono stata felice di vedere un film veramente triste, dove si ride poco e comunque al solo fine di non piangere. Ad esempio, per quanto è coglione il personaggio interpretato da Bentivoglio. Non mi piace quasi mai il modo in cui il cinema italiano racconta i teenagers, ma per una volta tanto direi che il ritratto del liceale figlio di papà brianzolo è ben riuscito. Speriamo anche che l’esordiente Matilde Gioli, la prossima volta, interpreti una donna e non un’adolescente visto che ha 24 anni, è brava e soprattutto è una figa imperiale.
-Cate Blanchett è talmente bella e brava -frigida, diciamolo- che risolleva il film ma purtroppo non basta giacchè la storia langue e il tema che mi interessava -il rapporto tra sorelle- passa in cavalleria rispetto ai suoi deliri da Xanax. Inoltre, siccome si assiste ad una proposta di matrimonio che va a monte pochi secondi prima che lei si scelga l’anello, comprenderete che preferisco non parlarne, quanto meno per scaramanzia.