L’11 Novembre del 1992 la Chiesa Anglicana ha concesso il sacerdozio alle donne. La decisione pose in essere diverse questioni di ordine morale e pratico nelle diocesi europee e comportò un significativo cambiamento anche all’interno della stessa Chiesa d’Inghilterra. Nell’ultimo ventennio il sacerdozio femminile ha raggiunto numeri di rilevante entità, con il risultato del verificarsi una presenza non più paritaria di uomini e donne ma di una maggioranza da parte di queste ultime: 290 donne e 273 uomini.
Questo sconvolgimento degli equilibri interni è stato oggetto di dibattito a causa di discordanze di pensiero tra correnti interne, che lasciano intendere la possibilità che tali contrasti si risolvano in esodi da parte dei chierici più conservatori verso la Chiesa Cattolica, roccaforte di ideologie radicali e tradizionaliste, tra le quali il sacerdozio esclusivamente maschile. In Italia, la prima donna sacerdote è la siciliana Maria Vittoria Longhitano, che dal Maggio 2011 presiede regolarmente messa come parroco di Milano e che si definisce come un’apripista: «Senza donne la cattolicità, che vuol dire universalità, viene mutilata. Cade un pezzo di universalità perché l’altra metà del mondo non partecipa alla missione di Cristo. La domanda che mi viene posta ora non è come mai abbiamo le donne sacerdote, ma “noi cattolici romani perché non abbiamo la gioia di averle?”»
Lo scorso Luglio inoltre, in occasione del Sinodo generale della Chiesa Anglicana, avuto luogo a New York, è stata inoltre approvata l’ordinazione delle donne vescovo. Ottenuta con la maggioranza dei due terzi, la proposta è stata promossa e portata avanti da Justin Welby, Arciverscovo di Canterbury.
Il processo di inserimento delle donne all’interno della Chiesa Anglicana è iniziato alla fine degli anni ’60, quando alle donne sono state aperte le porte del diaconato e, successivamente, è stata concessa loro la possibilità di intraprendere la carriera sacerdotale in America, Canada e Australia, paesi che vedono una ormai solida presenza femminile interna al clero.
Molte epoche e diverse aree del mondo hanno visto stagliarsi sulle vette delle gerarchie sociali dei ruoli femminili, ambiti religiosi compresi. Sacerdotesse, sciamane, vestali, devadasi e leader spirituali sono state figure predominanti nella storia delle culture occidentali e orientali, che fossero matriarcali o patriarcali. La tradizione orale, come quella scritta, documentano le esistenza di donne investite di poteri straordinari e privilegi assoluti che hanno vissuto come guide e stimolo per le loro popolazioni. Nonostante le omissioni operate nei testi ufficiali di dottrine e documenti, molte donne, oggi, tentano di ristabilire un equilibrio che è in fondo arcaico, puntando non alla sovversione dell’ordine delle cose ma ad una convivenza pacifica ed eguale all’interno dell’istituzione religiosa. Le femministe islamiche, movimento attuale e coraggioso, punta all’uguaglianza di genere – nel pubblico e nel privato – di tutti i mussulmani. Le donne islamiche possono guidare congregazioni femminili, piccole congregazioni compose dai propri familiari e le preghiere opzionali durante il Ramadan. Nel 2005 si è scatenata una polemica feroce contro Amina Wadud, che ha guidato la preghiera del venerdì all’interno di una congregazione mista di New York.
La strada è però, ancora lunga e dissestata se si pensa al raggiungimento di un’uguaglianza della donna all’uomo anche e soprattutto in ambiti che non riguardano la religione, benché da essa non prescindano. Il fondamento della cultura occidentale non differisce troppo dai principi che vigono tutt’oggi in paesi che si distinguono per le politiche violente e discriminatorie con cui la donna viene vista e considerata. Pur non lasciando da parte il progresso e la diplomazia con cui l’occidente – ecclesiastico – accetta evoluzioni proiettate verso la parità di genere, promosse dalla Chiesa Anglicana, va detto che, da lasciare da parte ci sarebbe ancora tanto.
‘E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto’. Nuovo Testamento. Efesini 5, 12-33.
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