(by Scare82)
Cari i miei quattro elettori, sinceramente non volevo scrivere su questo argomento in quanto sono parecchio disgustato e alterato. Ma il nostro direttore mi ha chiesto di fare un pezzo sulla vicenda Di Luca e quindi non mi posso tirare indietro. Cercherò di essere il più obiettivo possibile, senza cadere in facili e sterili polemiche che non servono a questo stupendo sport.
Voglio partire cercando di inquadrare chi è stato Di Luca. Danilo Di Luca è un ciclista abruzzese, nato a Spoltore in provincia di Pescara il 2 gennaio 1976. In molti hanno visto in Di Luca l’erede naturale dell’altro grande ciclista abruzzese, Vito Taccone. In effetti Di Luca diventa nel tempo uno dei più importanti corridori italiani degli anni 2000 essendo capace di vincere fra le altre corse, una Liegi-Bastogne-Liegi, un Giro di Lombardia, un Giro d’Italia (e 8 tappe di cui 2 tolte), una Freccia Vallore, una Amstel e un Giro dell’Emilia.
Ma la carriera di Di Luca dal 2004 in poi è stata sempre macchiata dall’utilizzo del doping. Infatti nel 2004 il nome di Di Luca entra nell’indagine dei NAS Oil for Drugs che vede coinvolti a vario titolo vari atleti e medici, anche al di fuori del ciclismo. Questa inchiesta porta la procura antidoping a sospendere Di Luca per tre mesi alla fine del 2007, l’anno in cui Di Luca ha vinto il Giro d’Italia. Ma questa è solo la prima macchia. Nel 2008 la procura richiede un’ulteriore squalifica di due anni a causa di esami non proprio chiari su un campione di Di Luca risalente al Giro d’Italia vinto nell’anno precedente. Però alla fine Di Luca viene assolto da questa accusa, ma le sue vicende con l’antidoping non si esauriscono qui.
Nel 2009 Di Luca risulta positivo in due controlli al Giro d’Italia (in quella edizione si classifica secondo in classifica, vince due tappe e la maglia Ciclamino della classifica a punti, tutte queste vittorie gli sono state tolte) per CERA. Il CERA è una sostanza utilizzata per i malati di insufficienza renale che serve a stimolare l’organismo alla produzione di globuli rossi. Nell’ambito sportivo è conosciuto come EPO di terza generazione, inizialmente difficilissimo da riscontrare all’antidoping. Oltre a Di Luca, nel biennio 2009/2010 vengono trovati altri ciclisti positivi a questa sostanza. Riccò, Piepoli (protagonisti nel 2008 di “grandi” prove al Giro e al Tour), Rebellin (falso secondo alle olimpiadi di Pechino del 2008). In questa occasione Di Luca si becca due anni di squalifica, ma grazie alla sua collaborazione nelle indagini viene ridotta di 9 mesi. Così Di Luca può tornare a correre nel 2011.
Nel 2011 e 2012 Di Luca, ormai avviato sul viale del tramonto sia a causa dell’età che delle vicende doping, non ottiene grandi risultati, vince solo due corse minori. Ma questo non può bastare a Danilo, desideroso di rivivere i fasti del passato.
Così arriva il 2013. Di Luca riesce a firmare un contratto per partecipare al Giro d’Italia di quell’anno, contro il parere del direttore sportivo della squadra, Luca Scinto. Ma si sa, in periodo di crisi ogni cosa può essere utilizzata per attirare l’attenzione e quindi lo sponsor “impone” Di Luca all’interno della squadra. In quel giro Di Luca appare subito in splendida forma e attacca molto spesso. Riesce anche a piazzarsi terzo nella settima tappa, quella che arriva a Pescara. Ma l’ombra del doping aleggia. Infatti Di Luca viene beccato positivio, ancora per EPO, a un controllo effettuato un mese prima della partenza. Ancora l’iter della giustizia sportiva non è concluso, ma Di Luca non ha chiesto le controanalisi e per lui si parla di una squalifica di 12 anni, praticamente a vita.
Non voglio entrare nel merito delle scelte di vita di Di Luca. Mi limito a dire che il doping è una piaga per lo sport, professionistico e non. Soprattutto nel ciclismo,ma anche nell’atletica e in altri sport in cui la componente fisica è predominante, l’uso di sostanze dopanti e la, per certi versi, nebulosa normativa antidoping mondiale (vedi il caso dello spagnolo Valverde, impossibilitato a correre in Italia per un certo periodo ma libero di gareggiare in patria e in altri paesi) fanno perdere di credibilità a questo sport. Una seconda occasione dovrebbe essere offerta a tutti, ma siamo arrivati veramente al limite. A questo punto mi domando se non sia il caso di introdurre una squalifica a vita al primo grande sgarro, e non più la squalifica di due anni come previsto ora. Almeno per un periodp transitorio di qualche anno in modo da far capire, in prima battuta ai numerosissimi tifosi che ancora si emozionano e si esantano con questo sport, che la volontà di avere corse pulite c’è.