C’è una lettera di Francis Scott Fitzgerald che inizia proprio così. Se c’è un aspetto che molti sottovalutano, mentre invece fa la differenza, è che lo scrittore pensa.
Per alcuni è un’ovvietà, ma non ne sarei così sicuro. È nella riflessione, nel dialogo silenzioso con se stesso (in realtà non è proprio così, ma facciamo finta che lo sia), che la storia si costruisce. Quello che un autore deve difendere non è la tastiera o la penna: ma la testa.
Non è difficilissimo in realtà, però prima di tutto occorre averne una. Come si coltiva una testa? Non è necessario possedere denaro o gingilli elettronici, questi sono dettagli (benché il denaro abbia una sua utilità indubbia, sarebbe sciocco negarlo). Quello che mi pare strambo è vedere come la pubblicazione (eventuale) sia considerata una specie di chiavistello che non solo apre tutte le porte. Ma che risolve ogni problema o ostacolo.
La mia ideuzza: se non dimostri di avere un poco di materia grigia non sei un autore, ma legna da ardere. Quindi trovi di certo (di certo no: forse) qualcuno che ti pubblichi. Però non basta. La materia grigia ti serve per muoverti con agio qui, adesso, in questo mondo. O finisci a fondo.
Quello che emerge in questi ultimi tempi, dimostra che la pubblicazione ormai crea solo sbadigli. Solo chi è troppo impegnato a rimirarsi l’ombelico non si è ancora accorto che:
- ogni giorno si pubblicano circa 200 libri in questo Paese;
- Il self-publishing è alla portata di chiunque, e quindi pure la pubblicazione.
Alcuni editori (quelli medio-piccoli soprattutto) si sono già resi conto che per non sparire non hanno bisogno solo di gente che scriva, e lo faccia bene. Quello è il minimo sindacale e spesso non è nemmeno richiesto, giusto?
L’autore deve essere una testa pensante perché oramai una tastiera non si nega a nessuno: nemmeno ai babbuini. Però bisogna pur tracciare una linea divisoria tra quelli, e noi. Se la testa c’è, deve funzionare, crescere, migliorarsi.
La riflessione che un autore deve (dovrebbe) portare avanti riguarda soprattutto la sua opera, il cammino che vuole fare. La protezione del suo talento (quando c’è) dovrebbe essere la sua missione.
Non è un caso se questo post inizia con una frase di Scott Fitzgerald, un autore accusato di aver sperperato il suo talento nell’alcol. Ma se adesso dovessi individuare il pericolo numero uno per chi scrive, oltre ai soliti, lo individuerei nella fretta.
Questa può uccidere qualunque talento.