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Dormi sepolto

Creato il 19 aprile 2012 da Tnepd

Dormi sepolto

Ci piace ricordarlo così.


“Kill your idols”. Lo faremmo anche, se non ci avessero già pensato da soli. Quindi non ci resta che scavare come tombaroli per uno sputo finale. Ciao Fabrizio. Ah, quelle cinquemila lire per stavolta ce le teniamo noi.

A me Fabrizio De André piace moltissimo. Attualmente.

Cantautore di simpatie anarchiche, libertarie e pacifiste. Come tutti i miliardari.

È stato anche uno degli artisti che ha maggiormente valorizzato la lingua ligure; ha esplorato inoltre, in misura minore, il gallurese, il napoletano e il dialetto di Paperopoli.

De André è rimasto nel cuore di milioni di persone ed è molto apprezzato dalla sinistra italiana anche se amava le prostitute e si circondava di poco di buono. Allora tutto il problema è che ad Arcore non c’è il mare?

Anarchico, libertario e pacifista, De André ha saputo raccogliere in sé così tante anime da stare sul cazzo a tutti.

Ha saputo fondere sonorità mediterranee, folklore italiano, chansonnier francesi, ballate medievali dando vita ad un’originale ed irripetibile miscela musicale in grado di scassare i coglioni a chiunque.

De André, sicuramente uno dei più grandi rappresentanti della canzone italiana, una bandiera da sventolare per urlare al mondo: “Ehi, ascoltate che meraviglia la nostra musica!”, grazie a famosissimi pezzi quali “Suzanne” (traduzione di un pezzo di Leonard Cohen), “Il gorilla” (traduzione di un pezzo di George Brassens) e “Geordie” (traduzione di un pezzo di Gabry Ponte).

Conoscere la musica di De André è imprescindibile per chiunque sia sufficientemente sensibile da non voler sfigurare conversando a un cocktail party.

Nella società italiana del dopoguerra scelse di sottolineare i tratti nobili ed universali degli emarginati, affrancandoli dal ghetto degli indesiderabili e mettendo a confronto la loro dolorosa realtà umana con la cattiva coscienza dei loro accusatori. Dalla sua villa di Tempio Pausania.

Nel 1979 Fabrizio De André fu rapito insieme alla moglie Dori Ghezzi. I due furono liberati dietro un riscatto di 550 milioni e la promessa di non incidere nuove canzoni.

Inizialmente i rapitori temettero di aver sbagliato bersaglio. “Ehi, ma Wess non è negro?”

L’estenuante ricerca di testi raffinati, il rifiuto dell’omologazione, l’ossessivo desiderio di non cadere in vecchi cliché. Tutti rimpiangono De André quando sentono canzoni con rime stucchevoli ed abusate alla “Sole, cuore, amore”. Mica come Bocca di rosa, che metteva l’amore sopra ogni cosa. Mica come vorrei dirti, ora, le stesse cose, ma come fan presto, amore, ad appassire le rose. Immagino che belli devono essere stati i dialoghi tra lui e Dori Ghezzi tra una scopata e l’altra: “Rosa.” “Cosa?” “Rosa.” “Cosa?”

Il suo primogenito ha intrapreso un autonomo ed autorevole percorso musicale, ed oggi è l’apprezzato e stimato Figlio di De André.

Eppure Cristiano ce l’ha messa tutta per affrancarsi dall’ingombrante eredità paterna, come dimostra Il recente tour “De André canta De André”.

Tutti abbiamo qualcosa da imparare da una persona straordinaria come Fabrizio De André. La sensibilità del poeta, l’estro dell’artista, la nobiltà d’animo di un uomo speciale. Tutti quegli elementi che lo portavano a picchiare la moglie, uscire per sbronzarsi e tornare a casa in compagnia di una puttana per scoparla in salotto. ”Cosa?” ”Cosa?” ”Hai detto rosa?” Tutti abbiamo qualcosa da imparare da una persona straordinaria come Fabrizio De André.

Era timido e terrorizzato dal palcoscenico: prima di ogni concerto doveva bere parecchio whisky. Invece Dori Ghezzi era molto sbadata: prima di ogni concerto doveva sbattere contro uno spigolo.

A riguardo di quello che è forse il suo album più controverso, “Storia di un impiegato”, De André rimpiangeva di “aver fatto alla gente quello che mai avrei voluto”. Romperle il cazzo.

Considerando l’attuale scena musicale relativa al nostro paese, monopolizzata da neomelodici napoletani, rockers da bocciofila e giovani interpreti che vengono dalla tv scimmiottando malamente le voci d’oltreoceano, il ricordo di De André è indispensabile per renderceli più sopportabili.

È famosa la storia secondo la quale sputava letteralmente in faccia alle prime file dei suoi concerti che lo salutavano col pugno sinistro chiuso. Un precursore del PD, senza dubbio.

Nell’agosto 1998, durante la tournée del suo ultimo album Anime salve, la svolta della sua carriera: il carcinoma polmonare.

La grande popolarità e l’alto livello artistico del suo canzoniere hanno spinto alcune istituzioni a dedicargli vie, piazze, parchi, biblioteche, scuole e il panino Camogli.

Cosa ci lascia De André? Canzoni che raccontano di emarginati, un volto triste accanto ad una chitarra, un figlio incapace.

Ho conosciuto De André quando avevo 15 anni. Lui ne aveva già di più. Ero nel residence dove passavo tutte le estati, e lui alloggiava lì perché aveva un concerto in zona. Una notte eravamo nei pressi della piscina quando, sul tardi, li vedemmo scendere: lui e Dori. C’era una lunga discesa che portava alla vasca e per un paio di minuti restammo tutti col fiato sospeso. Erano giorni che non si parlava d’altro nel villaggio, ma nessuno ancora l’aveva visto di persona. Arrivarono, e tranquilli si sedettero. Un amico, più grande di me e con tendenze mao-suicide, non resistette. Era un idolo e l’occasione era irripetibile. Dopo dieci minuti eravamo tutti intorno a loro due, che non lesinarono l’offerta di alcool e canne. Mentre il mio amico continuava a parlare di questioni politiche e schieramenti e giustizia e comunismo – tutte cose a quel tempo totalmente prive di interesse per me – loro bevevano e fumavano, fumavano e bevevano. Dopo due ore circa, mentre limonavo con la ragazzina di turno, iniziammo a sentire delle urla. Io, che nel frattempo mi ero fracassato le palle di fantasie vetero-comuniste e tornavo in zona solo per bere e fare qualche tiro di canna, mi avvicinai. E li conobbi. Strafatti.
“Sei una testa di cazzo!”
“Tu sei una troia!”
“Fallito ubriacone del cazzo!”
“Non sei buona neanche per fare un pompino!”
“Coglione!”
“Puttana!”
“Vaffanculo!”
“Affanculo vacci tu!”


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