Per vent'anni abbiamo visto la fine della storia: il cratere di Capaci, via D'Amelio a ferro e fuoco. Stragi terroristiche ad alto potenziale motivo, spettacolari come un film dell'orrore girato nella realtà . Ma quando ci chiedevamo perchè mille tonnellate di tritolo quando ne bastavano dieci, perchè prendere di mira città d'arte e sfregiare monumenti e persone, perchè bloccare il centralino di Palazzo Chigi, perchè preparare la carneficina dello Stadio Olimpico per poi bloccarla, una risposta vera non c'era. Conoscevamola fine della storia. Adesso è più chiaro l'inizio. Adesso sappiamo dove tutto cominciò. E come. E chi. Ma soprattutto, perchè. È la narrazione puntuale e tragica di come nella storia italiana il bianco e il nero non siano mai separati ma convivano in una eterna e gigantesca zona grigia. Un giorno, gli uomini dello Stato e gli uomini della mafia strinsero un patto. Il racconto può cominciare.
Dalla prefazione di Antonio Padellaro, “L'inizio della storia”.
Le ultime vicende giudiziarie (la sentenza di condanna al boss Tagliavia, le confessioni di Spatuzza sulle stragi del 1992-93, la sentenza della Cassazione su Dell'Utri), e gli ultimi fatti di cronaca (le telefonate tra Mancino e il Quirinale) hanno portato a questa specie di riedizione riveduta e aggiornata delle due videoinchieste uscite negli anni passati col Fatto Quotidiano: “19 luglio 1992. Una strage di stato” (di Marco Censtrari e Salvatore Borsellino con l'associazione delle agende rosse) e “Sotto scacco” (di Udo Gumpel e Marco Lillo) con interventi di Marco Travaglio, gli articoli del Fatto e le foto in esclusiva dell'album di famiglia di Paolo Borsellino.
Il lungo racconto parte dalla conferma del maxi processo da parte della Cassazione nel 1992, e la prima risposta di Cosa Nostra, con l'omicidio del loro referente, il DC Salvo Lima. Da qui partirebbe la prima trattativa: dal timore degli altri notabili DC dell'isola di fare la stessa fine, cadavere sul selciato. Cosa Nostra lancia un secondo segnale, un segnale mediaticamente forte: la bomba a Capaci non è il solito delito eccellente di mafia. E un atto di eversione, di terrorismo.
Dopo Falcone, tocca a Borsellino: in quei 57 giorni il giudice capisce il gioco che è in corso, con la trattativa e i contatti tra i boss e i vertici del Ros (e sicuramente qualche sponda politica). Sono i mesi del governo tecnico, del decreto Falcone che verrà approvato solo dopo la bomba in via D'Amelio. Borsellino sapeva della trattativa (lo dicono l'ex ministro Martelli e Liliana Ferraro d.g. Dell'ufficio affari penali) ed è presumibile che per questo sia stato ucciso.
Che convenienza poteva averne, direttamente Cosa Nostra?
“Sono stato tradito da un amico” confessa Paolo ai colleghi di Palermo. Un carabiniere, un uomo dello stato, lo stesso stato di cui faceva parte quel Contrada di cui il pentito Mutolo gli aveva parlato.
Che quella di Borsellino sia una strage anomala, non solo di mafia, lo si capisce anche da fatto che le rimostranze della scorta sulla mancata bonifica di via D'Amelio, dalla sparizione dell'agenda rossa (come era già avvenuto per i documenti di Dalla Chiesa, del palmare di Falcone ..). Sulla strana indagine del gruppo Falcone che portò alla pista Scarantino (e le condanne arrivate in Cassazione), oggi ribaltate dalle rivelazioni (anche queste tardive) di Gaspare Spatuzza. Rivelazioni che portano ai fratelli Graviano, alle parole dei boss che tirano in ballo Berlusconi (quello di canale 5) e il loro paesano Dell'Utri (ci avevano messo il paese in mano).
Il papello di Riina e via D'Amelio preparano la seconda trattativa: sono i mesi dell'avvicendamento al Dap di Niccolò Amato sostituito da Adalberto Capriotti, delle lettere dei familiari dei boss finiti al 41 bis che si lamentavano delle condizioni del carcere duro (lettera spedita anche al vescovo di Firenze e al papa .. Roma e Firenze, dove scoppiarono le bombe del 1993). Sono i mesi in cui, in assoluta solitudine, il ministro della giustizia Conso revoca il 41 bis a 47 detenuti (tra cui una cinquantina di boss mafiosi). È una prima risposta al papello? Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, fa intendere che dopo l'arresto del padre, tra il 1992 e il 1993, la trattativa stato-mafia viene portata avanti da “Sicilia libera” (ed è tutto un fiorire di partitini secessionisti, di contatti tra mafiosi e massoni). Anche al nord è iniziato un progetto per la costruzione di un nuovo partito, l'operazione Botticelli di cui ha parlato l'ex deputato Ezio Cartotto. Operazione che porterà a Forza Italia e alla discesa in campo del gennaio 1994. Cosa nostra alza la posta in gioco nel 1993, per dare una scossa alla trattativa: servono altre bombe, serve un'altra dose di terrorismo, di bombe e di sangue. Anche queste non sono bombe solo di mafia (Che ne sapevano Bagarella e Graviano del Velabro e dei Georgofili?). Le bombe cessano col fallito attentato allo Stadio Olimpico nel gennaio 1994: una strage che oggi sappiamo essere stata fermata proprio dai boss, come era stato fermato il tentativo di uccidere Falcone a Roma e Mannino ad Agrigento. La prima repubblica lasciava il passo alla seconda repubblica, nata con il ritornello del “miracolo italiano” e di Forza Italia. Le richieste del boss, del papello, trovavano risposta (legge sui pentiti, il giusto processo ..) e iniziava il periodo di “silenzio” della mafia. La storia della trattativa deve ancora essere scritta. Aspettiamo di vedere che strada prenderà il processo di Palermo sulla trattativa, il processo d'Appello a Marcello Dell'Utri (ricordatevi le parole di Borsellino del 1989). Vediamo se lo Stato, tutto lo Stato, ha veramente voglia di fare luce su questa storia.
Il programma della tre giorni di Palermo del 17-19 luglio 2012.
Il documentario (inedito) sull'intervista al tg1 del giugno 1992 a Paolo Borsellino:
Le leggi sembrano fatte apposta per difficultare i processi di mafia”. Lo dice Paolo Borsellino davanti alle telecamere del Tg1 il primo giugno 1992, nove giorni dopo la morte di Giovanni Falcone e meno di due mesi prima della strage di via D’Amelio. Il giudice auspica che finalmente lo Stato si svegli. In direzione esattamente opposta a quella che poi, molti anni più tardi, passerà alla cronaca come “la trattativa”. “Mi impongo di credere che la morte di Falcone sia un fatto così dirompente e drammatico che, bandendo ogni sofisma, ogni ipocrisia e ogni compromesso, il potere politico abbia la forza di prendere decisioni ordinarie, ma drastiche, perché i magistrati possano lavorare”.
Perché troppo grande è il divario “tra quello che sappiamo della mafia e quello che riusciamo a dimostrare in tribunale”, tanto che a volte viene voglia “di alzare le mani”, di arrendersi.