Siamo tutti in prima linea a combattere gli episodi di omofobia e di discriminazione verso le minoranze (tutte, e non solo quelle color rosa), ma occorre opporsi anche a coloro che vogliono strumentalizzare queste tragiche vicende per arrivare ad ottenere una legislazione per i matrimoni e adozioni omosessuali.
Nel gennaio scorso, ad esempio, è stata diffusa la notizia del suicidio del giovane Andrea, studente 15enne di Roma, evento che la lobby gay ha subito cercato di strumentalizzare. «Si è ucciso perché veniva vessato in quanto omosessuale», ha subito detto Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center. La notizia è stata sui media per giorni, poi si è poi saputo che Andrea non era né omosessuale né vittima di episodi di bullismo.
In questi giorni un’altra storia molto simile: uno studente sedicenne di Roma ha tentato il suicidio gettandosi dal terzo piano dell’Istituto Tecnico Nautico “Colonna”. I giornalisti falchi si sono subito lanciati sulla nuova preda, inventandosi anche delle frasi che avrebbe scritto sulla discriminazione che riceveva in quanto gay: “Sedicenne si getta dalla finestra a scuola: «Deriso perché gay, non ce la faccio più»” scrive il “Messaggero”. “Il padre lo umilia perché gay. Sedicenne si lancia dal balcone”, si legge su “La Stampa” e lo stesso copione appare su “Repubblica”; “Il Corriere della Sera”, “Il Fatto quotidiano” ecc. Su altri quotidiani si sprecano invece interviste a genitori di omosessuali che incredibilmente si lamentano con i media perché si parlerebbe troppo poco di omosessualità!!
Come al solito il giorno dopo cambia tutto (discorso a parte per TGcom che invece insiste con la sceneggiata): gli inquirenti hanno accertato che sul ragazzo non c’è mai stato bullismo o atti di omofobia, lui stesso ha dichiarato: «Mai preso di mira per il mio orientamento sessuale». Non risulta nemmeno un’ostilità da parte del padre, dato che i due non si vedono da dieci anni, tanto che il pm Eugenio Albamonte ha escluso l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Il ragazzo ha detto: «Il bullismo non c’entra col mio gesto, è stata colpa di un malessere interiore, delle mie insicurezze. A pochi avevo confidato la mia omosessualità. Non posso far sentire sui miei compagni il peso del mio gesto. Loro non c’entrano. Semmai ci ha diviso una sorta di reciproca indifferenza. Loro con i loro interessi, moto sigarette e uscite di gruppo, e io, sempre più introverso, con i miei, internet, lo studio, i miei silenzi. Ho legato solo con due o tre compagni di classe. Con loro sì mi confidavo. Non sono stato lasciato solo insomma. Al massimo avrebbero potuto intuire la mia inquietudine». Una cosa comune a tanti ragazzi insomma, anche se la spiegazione del giovane porta alla memoria le parole di Simon Fanshawe, importante scrittore omosessuale e intellettuale inglese, secondo cui il malessere e il disagio di molti omosessuali non dipende dall’omofobia, ma dallo stile di vita gay.
Nemmeno questo allora è un caso di omofobia, rimane tuttavia la disinformazione costante dei media e la continua pressione sull’omofobia, non per reale preoccupazione verso gli omosessuali (altrimenti dovrebbero prestare la stessa attenzione maniacale anche a chi viene discriminato in quanto obeso, basso, timido, con i capelli rossi ecc., come sottolinea giustamente il sociologo Giuliano Guzzo), ma con l’unico obiettivo di arrivare al matrimonio omosessuale attraverso un ricatto sentimentale. In questa direzione vanno le finte aggressioni omofobiche orchestrate da esponenti omosessuali, come quella di Charlie Roger, Joseph Baken, Alexandra Pennell ecc. Se si analizzano gli studi sull’omofobia, inoltre, si scopre che vengono quasi sempre elaborati da attivisti omosessuali e risultano essere privi di rigore nella metodologia e analisi dei dati dell’indagine, come è accaduto recentemente in Spagna.
Eppure non c’è alcun legame vero tra l’omofobia e l’assenza di un riconoscimento giuridico delle relazioni omosessuali, come abbiamo mostrato. Chi persiste su questa strada ha evidentemente interessi ideologici. Lo ha ben spiegato Giancarlo Cerrelli, vicepresidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani: «Alcune forze culturali e politiche, che lavorano da qualche tempo, per rivoluzionare anche in Italia l’istituto familiare, hanno compreso che, per arrivare al matrimonio gay nel nostro paese, serve una procedura più articolata di quella attuata in altri stati, in quanto in Italia si riscontrano più resistenze che altrove. Il primo step è l’approvazione in tempi rapidi della legge sull’omofobia. Una tale legge appare del tutto inutile vista anche l’esiguità dei casi denunciati (si pensi che al numero verde per la segnalazione dei casi di omofobia presso l’Unar, Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali i casi segnalati nel 2012 sono stati soltanto 135); ma soprattutto una tale legge è inutile, perché il nostro codice penale prevede già, per eventuali abusi in tal senso, il reato di ingiuria e sanziona chi lede l’onore e il decoro di una persona (art. 594), la diffamazione (art. 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e, inoltre, prevede l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61)».
Il vero scopo di questa attenzione spasmodica all’omofobia è allora quella «di voler eliminare gli ostacoli posti da eventuali oppositori sulla strada dell’approvazione di una disciplina sulle unioni gay. In poche parole la legge sull’omofobia avrebbe un carattere intimidatorio nei confronti di chi osasse opporsi alla strategia che vuole portare, finalmente, all’approvazione dei matrimoni gay». Si arriva così al secondo step, una legge che riconosca i diritti civili alle unioni tra persone omosessuali che aprirebbe le porte al terzo step: «questa fase è soltanto un passaggio per giungere al vero obiettivo previsto dal terzo step: il matrimonio tra omosessuali e l’adozione dei minori da parte di questi. È successo così in Francia, con i Pacs (Patti civili di solidarietà), approvati nel 1999, per giungere, dopo qualche anno, al matrimonio tra omosessuali e al loro diritto di adottare minori».
La redazione