E va bene: umanamente comprensibile - ma si deve in certe casi parlare di umanità, oppure la freddezza delle circostanze deve imporci un giudizio asettico? (Anche perché forse e nonostante tutto, lui e qualcuno con lui, quelle cose le pensa davvero - sottovalutando che la sua decadenza è prassi, diritto e dovere, legge morale per altro, soprattutto in momenti come questi: anche per dare un senso a quella politica che parafrasando il Vasco, ormai " un senso non ce l'ha").
Se d'umanità s'ha da trattare, allora è comprensibile anche il "Muoia Sansone con tutti i filistei" con il quale Berlusconi pensa di far saltare il tavolo, e sull'onda dell'assurdità o della comprensione caritatevole, si può perfino arrivare a comprendere la minaccia d'aventino, una sorta "tanto è tutto già deciso" con cui i membri Pdl diserterebbero la seduta di Giunta fissata per stasera.
Da questo lato dunque quelli che ci siamo abituati a chiamare "i falchi", i sostenitori ciechi del capo - Verdini, Capezzone, Minzolini, Santanché, per dirne alcuni - che stanno al fianco con i tamburi di guerra rullanti e sono pronti a festeggiare un'eventuale colpo di scena. E facciamo finta di capirli, questi che vorrebbero un rovesciamento contro tutto e tutti, indignazione estrema alla lesione personale dei diritti umani - si è arrivati fin là, fino alla Corte a Strasburgo, si sa - almeno per questi che ci credono. E quel colpo grosso, non è detto che non arrivi addirittura con un'intervista bomba, uno scoop storico per certi aspetti, in diretta da Sanremo dove il Giornale sta facendo la sua festa proprio in serata (lo dice Lopapa su Repubblica).
Dall'altro lato, tutti quelli che sulle larghe intese hanno risposto fiducia e speranza: "le colombe" le chiamiamo, transpolitici o postpolitici alla Alfano, e poi gli avvocati che interpretano con logica giuridica e calcoli giurisprudenziali i procedimenti processuali, e con loro i dirigenti Mediaset che con altrettanta matematica fanno scorta dei dati finanziari e sconsigliano ogni tipo di mossa azzardata. Capiamo anche questi, tutti hanno famiglia e di qualcosa devono campare, e meglio farlo tra la serenità dei cieli limpidi e le colombe in cielo.
Sopra, guarda dall'alto il Presidente Napolitano, pronto - a sentir quel che si dice anche sulla Velina Rossa - ad un duro discorso contro chi si renderà responsabile della crisi e della caduta del governo. Come fai a non comprendere pure lui: l'umanità dello stare dalla parte della ragione ultima, spirito d'universalità delle istituzioni, incarnato in un uomo che per ragioni sentimentali - oggi mia nonna compie 92 anni: auguri! - non potrei mai attaccare.
Va aggiunto che l'eventuale crisi sarebbe "al buoi", così si dice. Perché Berlusconi stesso pretende una fiducia cieca, senza indicare la direzione delle proprie mosse.
In tutto questo bailamme, forse la confusione - per quelli che la sanno lunghissima, tutto era premeditato, ma si sa e capiamo pure loro - ha tolto un po' l'attenzione da un fatto successo pochi giorni fa. È comprensibile anche questo, che non si sente il rumore delle onde, se sei su un motoscafo: romba il motore!
In data 5 settembre, infatti, sono state depositate le motivazioni della sentenza Dell'Utri, tra comprensione, umanità, pacatezza e senza troppo rumore - che quello c'era già.
Si tratta di 447 pagine con cui la terza Corte d'appello di Palermo, ha messo giù nero su bianco quelle che erano le ragioni della condanna e quello che l'ex senatore, cofondatore di Forza Italia, ha rappresentato nella storia recente di questo paese. In breve andrebbe anche qui raccontata la sua storia giudiziaria, tanto per completezza e comodità: nel '94 la procura di Palermo aprì un'inchiesta su di lui e due anni dopo lo indagò per mafia. La condanna di primo grado (9 anni) risale all'11 dicembre 2004, quella in appello (7 anni) al 29 giugno 2010. Il 9 marzo 2012 la Cassazione rinvia il processo a Palermo e la sentenza arriva lo scorso 25 marzo: sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
In quelle righe si leggono diversi passaggi interessanti:
- La genesi del rapporto che ha legato l’imprenditore (Silvio Berlusconi. ndr) e la mafia con la mediazione di Dell’Utri, fu un incontro avvenuto a maggio 1974, cui erano presenti Gaetano Cinà, Dell’Utri, Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Berlusconi.
- Incontro organizzato da lui stesso e Cina’ a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, aveva preceduto l’assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi.
- In virtù di tale patto i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Marcello Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro.
A scanso di equivoci, che magari potrebbero portare a pensare che Dell'Utri - così come e con Berlusconi - sia vittima di estersione e non pienamente attivo nella circostanza - la Corte aggiunge:
- E’ da questo incontro che l’imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso, invero, mai sfiorato) di farsi proteggere dai rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello della protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione.
- Non è possibile affermare che Marcello Dell’Utri sia stato una vittima associata in tale destino all’amico Berlusconi. Né può sostenersi che Dell’Utri, dopo avere intrattenuto così a lungo rapporti personali con boss mafiosi del calibro di Bontade, non sia stato consapevole delle finalità perseguite dall’associazione mafiosa. L’imputato aveva perfettamente chiari sia il vantaggio perseguito da Cosa nostra che l’efficacia causale della sua attività per il mantenimento e il rafforzamento di Cosa nostra.
Insomma: erano gli inizi degli anni '70 e il ruolo di Dell'Utri, amico intimo e compartecipe di gran parte del futuro destino di Berlusconi, sarebbe stato quello di trait d'union. Avrebbe fatto da mediatore nel patto tra Berlusconi e Cosa nostra. E dunque, da una lato la Mafia, che si sa che è la Mafia ed è criminale di costituzione, dall'altro Silvio Berlusconi. Ora il punto è, se Dell'Utri faceva da mediatore tra un'organizzazione criminale ed una terza figura, quella terza figura, come può essere definita?
- La personalità dell’imputato appare connotata da una naturale propensione a entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo.
E noi siamo ancora qui a cercare soluzioni, a lambiccarci il cervello, nel tentativo di trovare un'exit strategy spendibile e credibile - o quanto meno legale - per salvare Sansone e far vivere i filistei.
E il problema sono i filistei, sapete? Quelli che senza Berlusconi devono trovarsi un lavoro: e occhio, che mica stanno solo tra i falchi, parecchi sono colombelle - rosse!
Ecco, io per questi non è che abbia gran umanità: anche se #adesso ce ne sono più pochi in giro, ma fino all'altro ieri, hanno provato a convincerci che avessero ragione loro!
Nota: i corsivi riportati riguardano stralci di quelle pagine depositate dalla Corte palermitana, senza editing alcuno, tal quali. Tanto per capirci sul tenore dei fatti.