Nei miei progetti d’inverno avrei dovuto uscire dalla primavera abbronzata, dopo un ponte lunghissimo come quello che progettano sullo stretto, acculturata, dopo un ponte lungo tra i musei di Berlino, piena zeppa di forza creativa, dopo un corso di scrittura in un ponte normale, di quelli che iniziano il venerdi alle 18.00.
E invece eccomi qui, bianca come l’albume di un uovo alla coque, zoppicante e dipendente da un paio di stampelle grigio nutria, apatica e frignona, e parcheggiata in casa da due mesi e rotti. Per macerarmi nell’autocommiserazione non esco nemmeno sul terrazzino, altrimenti rischio di vedere il sole. E la mattina, quando mi traslano in ufficio, sono pure contenta, che almeno mi passa via il tempo.
Però la fisioterapia è cominciata, gli oleandri rosa sono fioriti ed è arrivata l’ora dei gelati. E, dato che sono ben due giorni che qui non piove, oggi sfido il tempo e metto la gonna, così per le prossime due ore tutti mi chiederanno “comemai” e “cosatièsuccesso” e dovrò ricordare loro che, secondo i canoni di abbigliamento di quest’epoca balzana, le donne, anche quelle poco avvezze, e gli scozzesi, se vogliono, possono.
Buona estate!