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È una questione politica, non tecnica. Per amore della realtà, l'economista Mario Deaglio, docente all'Università di Torino, non ha paura di far spazio a considerazioni che sembrerebbero estranee al corpus della sua disciplina. E nel dibattito sulla scelta tra stimolo e austerità apre giustamente la porta ad argomenti che non riguardano solo l'efficienza delle decisioni.
«È pericoloso - spiega Deaglio - dividere così brutalmente il campo tra fautori della restrizione e fautori delle politiche di stimolo. Il nostro paese, peraltro, non può permettersi di scegliere perché abbiamo un debito pubblico troppo alto: siamo più o meno costretti dalle circostanze a muoverci come ci stiamo muovendo. In Europa invece la scelta era possibile» e ha prevalso il partito del rigore.
È una decisione che ha un presupposto preciso e importante.
«Tutto questo - aggiunge Deaglio - fa ricadere la crisi più sul lavoro che sul capitale, se vogliamo usare vecchie categorie: c'è la fiducia, da parte dei politici che il lavoro "sopporti". Se traduciamo in italiano il solito, ossessivo richiamo a fare le riforme, sostanzialmente esse riducono le prerogative favorevoli ai lavoratori»
Deaglio non vuole giudicare se questi diritti siano o no eccessivi o se sia invece più giusto difenderli. «Il mio interrogativo principale non è se questa manovra sia economicamente sostenibile: lo è. Ma lo sarà politicamente e socialmente? Ho qualche dubbio».
Il panorama europeo alimenta le perplessità dell'economista: i governi, ricorda, sono spesso incapaci di azioni incisive, le loro maggioranze tendono a sfaldarsi di fronte alle decisioni difficili, a volte sono spazzati via come è capitato ai laburisti (o anche ai liberaldemocratici giapponesi).
«Il malcontento popolare comincia a farsi sentire», aggiunge Deaglio, riferendo sondaggi, anche italiani, che danno sempre più consenso alle forze politiche estreme, di destra e di sinistra. E ancora: Olanda e Belgio sono senza governo mentre in Francia e Germania i governi sono stati puniti dal voto locale. «Se la gente percepisce (le riforme, ndr) come "macelleria sociale", per usare un linguaggio colorito per una realtà magari non così forte, come facciamo a fargli cambiare opinione e dirgli: la ricetta è questa? Le scelte saranno allora dettate dalla politica, la politica vera».................
...........Occorrebbe dunque riflettere bene su cosa fare, dar vita a una politica alta, vera. L'Italia è in grado di creare qualcosa del genere? «In questo momento direi assolutamente no.
La politica si gioca su un orizzonte che quando va bene è di sei mesi, non è attenta a come è fatta la società, si limita a guardare i sondaggi d'opinione. Occorrerebbe un cambiamento d'atteggiamento». Non impossibile, peraltro.
«Negli anni 50 si era molto coscienti di vivere dei boom di tipo storico, c'era tutto un lavorio intellettuale. Tutte le parti politiche avevano riviste, intellettuali di riferimento, centri che lavoravano su leggi destinate a cambiare per un quarto di secolo questo o quell'aspetto del paese». Tutto questo è quasi scomparso, e quel poco che si produce, conclude Deaglio, non è ascoltato dai politici. «È da qui che occorre ripartire: se non riprendiamo in mano i discorsi di lungo periodo, saremo sempre una navicella sbattuta qua e là che non sa andare avanti».
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