E la Madonna
Creato il 11 giugno 2015 da Malvino
Giunge
a termine l’indagine
sulle apparizioni della Madonna a Medjugorje, che Ratzinger aveva
affidato nel 2010 ad una commissione presieduta da Ruini, e da un
passaggio di un’omelia
tenuta in Santa Marta qualche giorno fa pare che Bergoglio, cui
spetta prendere una decisione che sciolga i dubbi sull’attendibilità
dei veggenti, sia intenzionato a negar loro ogni credito. Anche se la
Madonna di Medjugorje non si è mai fatta scappare la ben che minima
affermazione che fosse discutibile sul piano teologico o su quello
dottrinario nei messaggi consegnati ai veggenti in questi ultimi
trentaquattr’anni
– la prima apparizione risale al 1981 – era prevedibile che
questa dovesse essere la più naturale conclusione della controversa
questione che a lungo ha imbarazzato la Chiesa di Roma, tra il timore
di avallare quella che potesse da un momento all’altro
rivelarsi come impostura, con catastrofica ricaduta, e la tentazione
di continuare a sfruttare quanto più possibile quella che nel tempo
è diventata una fonte di devozione mariana d’un
ordine
di grandezza inferiore solo a Lourdes e a Fatima, sorvolando
sull’indotto.
Non mancherà modo, col tempo, di costruire uno di quei deliziosi
artifici logici, in cui la Chiesa di Roma è insuperabile maestra,
che preservi a Medjugorje la dimensione di santuario, pur negandole
l’attestazione
di luogo in cui sia apparsa la Madonna (si pensi alla brillante
trovata di trasformare la Sindone da «reliquia»
a «icona»,
senza perderci né un soldo né un devoto), ma al momento occorreva
trovare una soluzione che evitasse le
rovinose conseguenze di un possibile incidente: le apparizioni
duravano da troppo tempo, non c’era modo di avere un pieno
controllo del fenomeno, i veggenti si erano trasformati in
imprenditori della filiera mistica, la soluzione più prudente era
quella di metterci una pezza, tanto meglio se della stoffa con la
quale Bergoglio si è confezionato il suo abito di prete tutto opere
e zero trasfigurazioni.
Una notiziola, tutto sommato, buona a
ricamarci sopra solo il pezzo di colore sulla rettocolite ulcerosa
che le parole di Bergoglio causeranno a Brosio e a Socci, almeno così
pare da quanto i nostri vaticanisti sono riusciti a tirar fuori dalla
faccenda, fatta eccezione per quei due o tre che si danno arie da
bignamino e che comunque non sono riusciti ad andare oltre la solita
logora solfa sulle forme della religiosità popolare rimasticando le
lezioni di Dulles, Metz, De Rosa, Di Nola, ecc. Nessun sorcio che
abbia ritenuto utile spiegare ai propri lettori quale fosse il senso
di un’apparizione
della Madonna, nel 1981, a Medjugorje. Vero è che si dovevano
ripercorrere sei secoli di storia, ma almeno si poteva fare un
tentativo. Proverò a farlo io.
Tutto prende le mosse negli ultimi
decenni del XIV secolo, quando a Gregorio XI, ultimo dei papi che
terrà sede ad Avignone, viene la brillante idea di dare all’Ordine
francescano un ruolo di peso nella regione di Mostar in Erzegovina,
allo scopo di creare nella zona una struttura diocesana che assicuri
alla Chiesa un vescovo di nomina romana che costituisca un saldo
presidio in quella turbolenta area dei Balcani. Brillante idea per
modo di dire, perché, volendo, c’era
da attendersi che un Ordine come quello francescano, teso fin dalle
origini a darsi il massimo di autonomia di struttura e di modello
pastorale, non fosse il miglior strumento per quel fine. Ad
accentuare ulteriormente questa propensione, che potremmo dire
naturale nell’Ordine
francescano, ecco che intorno alla metà del XV secolo la dominazione
ottomana arriva fino all’Erzegovina
e chiude il cordone ombelicale che ancora nutriva l’Ordine
del mandato romano. I francescani pagano l’imposta
che la Sublime Porta pretende dagli infedeli perché questi possano
continuare a vivere dove si trovano senza doversi convertire
all’islam
e fino alla caduta dell’Impero
ottomano, che ci sarà solo quattro secoli dopo, godono della
perfetta indipendenza da Roma, come incistati in una enclave. I guai
cominciano nel 1878, quando l’Erzegovina
passa sotto il controllo del cattolicissimo Impero austro-ungarico,
dal quale la Chiesa di Roma ottiene il favore di costruire una rete
diocesana che presto viene in attrito con quella che di fatto ne
diventa un duplicato. I dissapori diventano presto roventi, ma solo
nel 1923, e con un calcolo che ancora una volta rivela infelice, la
Santa Sede arriva ad una ricomposizione della controversia, con la
concessione della gestione delle parrocchie all’Ordine
francescano, che da parte sua dovrà impegnarsi al reclutamento e
alla formazione del clero diocesano. Calcolo infelice, perché per
chi era radicato in quella terra da secoli diventava fin troppo
facile coltivarsi un’ecclesiologia
tutta particolare: nazionale, anzi nazionalista, come si ebbe modo di
constatare quanto gli ustascia filonazisti di Ante Pavelic trovarono
nei francescani degli entusiastici sostenitori. Tutto era destinato a
capovolgersi con la riunificazione delle etnie balcaniche nella
Yugoslavia di Tito, che non fece troppe differenze tra preti romani e
frati erzegovini, e rese vita difficile agli uni e agli altri. Col
Concilio Vaticano II il regime divenne meno arcigno, fino ad
addivenire ad un accordo con il Vaticano che avrebbe potuto, in via
teorica, mettere fine alla contesa tra Roma e i francescani, nel
senso che Tito assicurava a Paolo VI, nel 1975, il pieno
riconoscimento dell’autorità
romana sull’equivalente
diocesano del territorio di Mostar-Duvno. In via teorica, perché
l’accordo
fece incassare a Tito le simpatie della borghesia cattolica
cittadina, ma fece incassare a Roma il risentimento della vasta
comunità di cattolici delle aree rurali, che si strinsero ancora di
più ai francescani, considerati vittime del cinico contratto tra
papisti e marxisti. Invece che sanarsi nella piena presa di potere
dell’autorità
papale su quei territori, il contrasto si accentuò fino a episodi di
franca ostilità, con qualche vampata di violenza, che ben presto
portò i preti di Roma a lasciare le parrocchie in mano ai frati
francescani. Situazione insostenibile per il Vaticano, che arrivò a
sospendere il superiore dell’Ordine
francescano della provincia, senza per questo riportare il grosso del
gregge sotto la ferula del vescovo.
È questo il clima in cui i
francescani vanno preparando la controffensiva che prende la forma di
una deriva mistica, diffondendo l’attesa
di un segno straordinario, che non potrà non mancare. Niente di
nuovo, il misticismo è sempre stata un’arma
potentissima in mano a chi volesse costringere Roma a mitigare le sue
prerogative temporali, d’altronde
cos’è
che meglio ridimensiona le decisioni del clero se non un messaggio
che Dio affida ad un bambino innocente, ad un eremita che vive di
preghiera e rinuncia, a chi nella clausura dà prova manifesta del
suo disinteresse per tutto ciò che è mondano? Se poi il mistico
riesce a far folla, e folla fervente, come gli si può negare almeno
un minimo di attenzione, fosse solo nell’attesa
di verificare se il suo seguito cresce o si disperde, dando al tempo
dell’attesa
la forma del monitoraggio di ciò che potrebbe tornare utile come
evento straordinario?
Questa è stata Medjugorje, fino a qualche
giorno fa. I veggenti, trentaquattr’anni
fa bimbetti, son diventati adulti. Se avevano una logica in una
delicata partita geopolitica, oggi l’hanno
ridotta ad un inservibile rituale del quale si può pure fare a meno,
peraltro ai francescani tornano utili solo come attrazione turistica,
che non è poco, ma neanche è tutto. È che probabilmente Medjugorje
ha fallito proprio per l’enorme fortuna che ha avuto. Nel farsi,
l’evento ha smarrito il fine per il quale gli si era dato senso,
superfetando in mezzo sempre più fine a se stesso. A spegnerlo ci
voleva poco, e non a caso sarà stato proprio per questo che a
presidente della commissione di indagine è stato messo un politico
come Ruini. A chi meglio di lui poteva tornare esatto il calcolo di
quanta utilità e di quanto rischio fosse prevedibile attendersi da
una Madonna ormai tanto anodina che al suo confronto diventava più
eloquente pure una macchia di umidità con le sembianze di Padre Pio?
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