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è la terza guerra mondiale?

Creato il 13 ottobre 2014 da Gaia

Quando ho pubblicato il mio post sull’orsa Daniza, le visite sono esplose immediatamente. Dall’ultimo post sui curdi, sono crollate. Ovviamente non è solo questione di argomento: sull’orsa avevo scritto un contributo personale e approfondito, mentre sulla questione dei curdi avevo solo rimandato ad altre fonti. Al tempo stesso, questa piccola constatazione mi fa riflettere sull’importanza per una storia di ergersi a simbolo di qualcosa, magari inserendosi in una polemica in corso, e di far leva su rancori e sensi di colpa collettivi più o meno consci. Infatti, nella maggior parte dei commenti in inglese e italiano che leggo sotto agli articoli sul Medio Oriente, trovo accuse di ogni sorta al mondo occidentale, molte delle quali sicuramente fondate, che lasciano però poco spazio a un’analisi secondo me più onesta dell’enormità di problemi che il mondo arabo, il mondo musulmano e il Medio Oriente (tre entità diverse) si trovano ad affrontare e che vanno ben al di là dei pasticci causati dal recente colonialismo e dalle disastrose guerre americane. Anche nei pochi interventi veramente approfonditi che ho letto o ascoltato, spesso ad opera di persone originarie di quei luoghi, trovavo tutta una litania di “x ce l’ha con y perché si sono massacrati nell’anno tale, z finanzia w contro x che invece è vicino a k mentre y ha buoni rapporti con j”, in cui x,y,z,w,x,k e j erano tutti attori mediorientali con lunghe storie alle spalle – ma a un certo punto saltava fuori immancabilmente il solito: quindi, è tutta colpa dell’Occidente.

Io vorrei consigliarvi molto caldamente il rapporto di un curdo anarchico residente, a quanto sembra di capire, a Londra, che in un viaggio nel Kurdistan occidentale o siriano fa un resoconto onesto per quanto personale di come funziona il loro esperimento democratico e di quali sono le sue radici nella storia almeno recente e nell’intricata rete di rapporti e conflitti regionali. Merita davvero una letta, anche perché la storia offre pochi esempi di principi anarchici messi in pratica nella realtà, che solitamente tra l’altro sembrano funzionare bene e durare pochissimo, e sarebbe da chiedersi perché.

Siccome io, inevitabilmente e in quanto europea e conoscendo meglio la storia europea di altre, pecco di eurocentrismo, sto riscontrando in quel poco che riesco a vedere dell’attuale conflitto medio orientale moltissimi richiami a quello che so della guerra civile spagnola e della seconda guerra mondiale. Ovviamente ci sono anche tante differenze, ma, ad esempio, in quelle bandiere nere, in quel fanatismo necrofilo e machismo vigliacco dei combattenti dell’ISIS ritrovo molti degli atteggiamenti dei volontari fascisti e nazisti, assieme ad alcune delle stesse possibili motivazioni: una gioventù sovrabbondante, frustrata e senza prospettive, che si ribella a una società in cui non ha la sensazione di poter emergere e realizzarsi; la convinzione, parzialmente giustificata, che la propria ‘parte’ abbia subito torti storici; la semplicità e l’estremismo della retorica, abbinati a una potente e moderna macchina propagandistica, e il senso di potere, vittoria e rivalsa. Coloro che avevano appena perso diventano all’improvviso fortissimi e scatenano una violenza ben superiore a quella che avevano subito, concentrandone la crudeltà più efferata sui corpi delle vittime più indifese. Chi non obbedisce subisce punizioni esemplari e, in questo caso, anche simboliche. Un’altra somiglianza: il gruppo più estremo, forse più giovane, più “rivoluzionario” di tutti in realtà è un braccio armato di una becera reazione anti-progressista, anti-libertà, anti-uguaglianza e anti-democratica, e forse non se ne rende nemmeno conto. Una cosa che mi incuriosisce, e che vorrei veder spiegata al di là delle teorie del complotto, è che ISIS non sembra voler minacciare Israele, il più “occidentale”, “anti-islamico” ed “estraneo” tra i corpi in Medio Oriente.

Anche il ruolo degli Stati Uniti ricorda vagamente quelli precedenti: questa volta, a differenza di tante altre negli ultimi decenni, sembrava avessero veramente voglia di andarsene da lì, e sono tirati per la giacca da una serie di contentendenti che, a torto a ragione, pensano di aver diritto al loro aiuto. Come in Europa, ben due volte.

Gli esperimenti democratici curdi in Siria ricordano quelli nella guerra civile spagnola, e rischiano parimenti di venire travolti praticamente da tutti, dato che nessuno di quelli che detengono le armi ha interesse che continuino. Persino la scena di Kobane lasciata forse addirittura cadere mentre la Turchia sta a guardare, puntando piuttosto sull’ISIS, a molti ha fatto venire in mente l’Armata Rossa che si fermava alle porte di Varsavia per dare tempo ai nazisti di soffocare la rivolta e massacrare più polacchi possibile. Per quanto riguarda, ancora, l’intervento degli Stati Uniti, un altro classico è che armano non la più affidabile o la più progressista delle forze in campo, ma quella meno pericolosa ideologicamente. Anche tra i nostri partigiani, almeno in Friuli Venezia Giulia, pare che i ‘bianchi’ prendessero molte più armi dei ‘rossi’, sospetti per la loro ideologia anche se più motivati e organizzati. La ‘neutralità’ della Turchia, che di fatto consiste nel far passare l’ISIS ma non i curdi, mi ricorda quella di Italia e Germania in Spagna, che facevano grandi trattative con le altre potenze europee su come impedire che i ‘volontari’ andassero a combattere mentre armavano tranquillamente i ribelli fascisti spagnoli e mandavano i loro soldati a sostegno di Franco. Tutti lo sapevano e tutti, Inghilterra e Francia in primis, continuavano la loro frenetica attività diplomatica, completamente inutile, allo scopo di definire fin nei minimi particolari i patti di ‘neutralità’. Una differenza interessante, però, è che mentre il grosso dei volontari occidentali andò in Spagna per combattere a fianco della Repubblica, cioè per la democrazia o il comunismo, per la libertà e il progresso (nonostante tutto), i volontari che partono oggi da Europa occidentale e Stati Uniti sostengono l’ISIS, che tutto è tranne democrazia, libertà e progresso. Se davvero gli arabi, i medio orientali e i musulmani ritengono di aver subito dei torti e di volere una rivalsa, devono spiegare com’è che molti di loro si fanno manipolare dalle più ciniche potenze regionali in una guerra per procura via ISIS e Assad, anziché sostenere esperimenti democratici sinceri e più genuinamente popolari che invece prendono solo calci da tutte le parti.

E sempre a proposito di partigiani ed esperimenti democratici, quello che ho letto della rivoluzione di Rojava mi ricorda le libere repubbliche partigiane, in cui si misero in pratica ideali di democrazia, partecipazione popolare, uguaglianza sociale e parità di genere, prima che la repressione nazista le travolgesse e costringesse i partigiani a nascondersi tra le montagne per tenere viva la resistenza. Solo che la storia intanto è andata avanti e gli esperimenti curdi, che hanno avuto anche più tempo a disposizione, sembrano ancora più radicali (anche se forse, a quanto leggo, meno inclusivi politicamente e con meno separazione tra politica e unità di autodifesa).

Sicuramente le differenze sono più delle somiglianze, e non voglio assolutamente suggerire che i cittadini mediorientali non siano in grado di scrivere una propria storia originale e nuova, o che l’esito sia già deciso; i paragoni storici arrivano fino ad un certo punto e non sono assoluti. Io stessa non sono un’esperta di queste questioni, e fino a poco tempo fa non ero in grado di distinguere i peshmerga, ad esempio, dall’YPG. Se però la storia si ripete, sempre in forme nuove, forse sarebbe utile conoscerla e ricordarsela quando serve, per almeno provare ad evitare che se ne ripetano gli aspetti peggiori.

Il rapporto che ho già consigliato (forse esiste una versione italiana che però non trovo) è la migliore delle letture a questo proposito perché va veramente a fondo, si prende lo spazio e il tempo che a pochi giornalisti è concesso, e ascolta molte delle parti coinvolte, oltre ad offrire riflessioni su argomenti meno trattati come la rinuncia al sesso dei più dediti alla causa (ho detto sesso: adesso il rapporto ha maggiori possibilità di essere letto).

Invece di stare qui ad accusare i nostri governi di fare sempre le cose sbagliate, occupazione facile e gratificante e quindi molto gettonata, si potrebbe provare effettivamente a fare qualcosa noi. Da Roma, grazie a mia sorella, mi arrivano notizie di iniziative imminenti ad opera di molte associazioni tra cui la Rete italiana di solidarietà con il popolo curdo e l’UIKI.

Ho iniziato il post parlando di eventi-simbolo, che attirano l’attenzione di tutti e la cui importanza va al di là di loro stessi. La resistenza di Kobanê è un simbolo. Innanzitutto è una difesa, cioè l’unica guerra giusta possibile. È la capacità di combattere non per acquisire qualcosa, non perché si hanno buone probabilità di vincere, non perché si cerca la morte, ma semplicemente per difendere la propria gente, la propria terra e la propria libertà. Anche quando si è sfavoriti, svantaggiati, quando ci si trova davanti un nemico molto meglio armato che sta tenendo in scacco governi e potenze. È una difesa di popolo, portata avanti da uomini e donne, giovani e vecchi, con determinazione e senza odio, in uno spirito di fratellanza tra popoli e religioni diverse. È la dimostrazione che la gente di quelle zone ha un’alternativa indipendente dall’Occidente e generata da loro stessi grazie anche all’esempio di tante lotte condotte in giro per il mondo; un’alternativa al bagno di sangue e all’isteria fanatica a cui sembra condannata in perpetuo la regione in cui sono nati. Difendendo Kobanê, i curdi non agiscono solo per loro stessi ma anche come baluardo contro la follia, la violenza estrema che l’ISIS incarna; combattono invece, davvero, per la libertà e la fratellanza tra i popoli, arabi e turchi compresi.

Nessuno è perfetto e io non voglio, da un comodo computer in una stanza, idealizzare quello che non conosco di persona. Questa qui esposta, ad ogni modo, è l’idea che mi sono fatta e questo post, finora, è l’unico modo che ho di contribuire alla causa che ritengo più giusta.


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