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È morto Steve Jobs, e il mondo della Mela in lutto lo piange. Chiediamoci: in Italia avrebbe avuto le stesse opportunità?

Creato il 07 ottobre 2011 da Iljester

È morto Steve Jobs, e il mondo della Mela in lutto lo piange. Chiediamoci: in Italia avrebbe avuto le stesse opportunità?

Ieri pareva fosse morto un santo, o comunque qualcuno che abbia fatto grandi cose per l’umanità. Per carità, forse ha reso una sua parte (intendo dell’umanità) mela-dipendente, tanto che ormai i suoi prodotti, a prescindere dai prezzi esosi – e in primis parlo dell’I-phone – sono dei veri e propri status symbol. Da questo punto di vista, Steve Jobs è stato più che un genio: ha trasformato la fallimentare Apple in un’industria florida e capace di stare all’avanguardia della tecnologia comunicativa. Come nel caso dell’I-phone, poi, ha tracciato la strada del futuro, su cui tutti – in prima battuta Google – si sono buttati anima e corpo.
Ma, va da sé che personalmente ritengo questo lutto mondiale eccessivo. Non è morto qualcuno che ha reso dei benefici immensi all’umanità, e li ha resi gratuitamente. È morto un grande imprenditore, un genio della tecnologia digitale. Insomma, qualcuno che ha lavorato sodo e ha venduto un prodotto, facendoci i milioni di dollari. Un filantropo, dunque? Ma neanche per sogno. La cronaca ci dice che Steve Jobs non era nemmeno tanto generoso. Del resto, come ho più su detto, i suoi prodotti non sono accessibili a tutti, a patto di comprarli a rate o comunque dando fondo ai propri sudati risparmi.
Però è chiaro che merita comunque un ricordo. Non fosse altro che la sua persona dimostra come con i giusti input e il giusto ambiente economico e sociale si possano costruire grandi cose, e di riflesso si possa non solo raggiungere il proprio successo personale, ma anche favorire quello altrui: delle migliaia di dipendenti Apple, nel caso di Jobs; ma pure dei rivenditori dei prodotti dell’industria delle comunicazioni digitali, e di tutti quelli che lavorano nel settore. Perché un’azienda come Apple stimola anche la concorrenza, e dunque il progresso tecnologico e l’evoluzione.
Il che mi fa porre una più che legittima domanda: da noi, uno come Steve Jobs, sarebbe mai riuscito a costruire questo impero? Sarebbe mai riuscito a creare dal nulla (dal nulla!) una simile fortuna? Credo proprio di no. In Italia la mentalità è: «Sei bravo? Allora ti affosso». «Hai delle doti e non hai i soldi? Ecchissenefrega? Se non hai i soldi per portarla avanti, puoi anche crepare.» Già, da noi non esiste la cultura del successo, se non in chiave di affossare qualcuno. Da noi esiste solo la cultura dell’arrampicamento sociale e del posto fisso. Sia mai che si trovi qualcuno pronto a rischiare per le idee di qualcun altro. Sia mai che trovi una banca che sia disposta a bruciare i propri soldi per finanziare un progetto «folle» (per riprendere le parole di Jobs). Niente. In Italia è più facile inseguire il sogno di un posto pubblico (a costo di vivere per l’eternità nel precariato), piuttosto che investire in un’attività produttiva. Nel nostro paese la cultura del successo ha una dimensione ridotta: significa vincere un concorso pubblico, diventare un consigliere regionale, oppure entrare in qualche corpo di polizia, o insegnare in una scuola pubblica. Ecco, siamo un popolo di burocrati e funzionari, e nemmeno tanto bravi ed efficienti.
Pochi, in verità, sono coloro che sono «folli» fino al punto di dire: io non ci sto. Io voglio creare. E quei pochi, però, spesso trovano un muro di gomma davanti a loro, trovano trabocchetti e insidie, trovano persino derisione. Nelle banche, che se non offri adeguate garanzie ti ridono dietro. Nelle istituzioni che se chiedi un finanziamento per iniziare il tuo percorso imprenditoriale, ti chiedono una laurea in burocrazia. Nella giustizia, che se fai un errore, ti indaga, ti porta al fallimento e allo sputtanamento. Nello Stato impositore, che per esercitare un’attività produttiva, ti sommerge di tributi, perché la funzione economico-sociale dell’iniziativa privata è intangibile. Nei sindacati, che se non fai come vogliono loro, ti mettono l’azienda in difficoltà. E nella politica, che se gli gira male, ti mette i bastoni fra le ruote, fino al punto di farti pentire di aver creato quanto hai creato.
A conti fatti, nel Belpaese è più conveniente (e meno stressante) un lavoro impiegatizio presso l’ente pubblico di turno che avventurarsi in progetti rischiosi e folli. Lo stipendio lo paga lo Stato, il controllo disciplinare è basso, la tutela sindacale è alle stelle. Chi se ne frega del resto? Ecco perché sono convinto che Steve Jobs probabilmente in Italia non sarebbe (mai) stato nessuno. E se anche fosse riuscito a costruire qualcosa, è quasi certo che la politica delle sue aziende, al fin fine, l’avrebbero fatta i sindacati, la burocrazia, la politica e le tasse. In Italia le cose funzionano così. E alla fine, non ci resta che accontentarci di comprare il genio altrui… e di onorarlo quando non vi è più.

 

di Martino © 2011 Il Jester 


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