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«È molto probabile che domenica si vada al mare» oppure «non mi sembra probabile che tu ce la possa fare» sono frasi ricorrenti nelle quali valutiamo un evento e attribuiamo al suo verificarsi un certo grado di fiducia. Queste e altre frasi dello stesso tipo usate per esprimere forme di conoscenza incerte chiamano in causa, in forma intuitiva e forse un po’ vaga, il concetto di probabilità che, prima di essere un concetto matematico e oggetto d’indagine scientifica, fa parte della vita quotidiana dell’uomo da tempi remotissimi, forse da sempre.
"Giocatori di dadi" Georges de La Tour 1650-51
Eppure quando si parla della nascita del calcolo delle probabilità si fa sempre riferimento a problemi nati nel Seicento intorno ai giochi d’azzardo, ai nomi di Blaise Pascal e Pierre de Fermat e al loro rapporto epistolare. Possibile che un concetto così comune nella cultura e nel linguaggio dell’uomo abbia dovuto attendere così tanto per essere studiato scientificamente e che il suo ingresso ufficiale nella matematica sia così recente?
«Un problema intorno ai giuochi d’azzardo posto da un uomo di mondo a un austero giansenista è all’origine del calcolo delle probabilità». Così scriveva nel 1837 il grande matematico e fisico Denis Poisson in relazione ad un episodio che è divenuto, in molti racconti sulle origini della probabilità, l’atto fondante di questa nuova disciplina, pur condito da elementi fantasiosi e leggendari. L’«uomo di mondo» era il nobile francese Antoine Gombaud, Cavaliere di Mérè, definito spesso come accanito giocatore d’azzardo, che nel 1654 pose all’amico Pascal (l’«austero giansenista») alcuni quesiti sulle scommesse al gioco dei dadi. I tentativi di soluzione e le discussioni che ne derivarono, soprattutto con Fermat, sono convenzionalmente considerati i primi passi di quella nuova branca della matematica che studia in modo rigoroso le relazioni fra le probabilità di verificarsi di eventi casuali semplici (esito del lancio di un dado) e quelle di eventi casuali composti (esito del lancio di più dadi).
"Soldati che giocano a carte e a dadi" Valentin de Boulogne 1620/22
Il Cavaliere di Mérè, dipinto come un incallito giocatore era in effetti un nobile di una certa cultura, abituato a frequentare gli ambienti dell’alta società francese e la corte di Luigi XIV, e che di tanto in tanto si dedicava a divertimenti alla moda come quelli del gioco d’azzardo. Le questioni poste a Pascal non vertevano tanto su consigli per vincere al gioco dei dadi quanto su un contrasto rilevato fra le regole di comportamento stabilite da una lunga esperienza di giocatore e i risultati del calcolo aritmetico allora noti, a testimonianza dell’esistenza alla metà del Seicento di un patrimonio di riflessioni matematiche sull’argomento. Tra i problemi affrontati da Pascal e Fermat vi era anche quello della giusta ripartizione delle poste in gioco nel caso di interruzione della partita, problema già affrontato in precedenza per mezzo del calcolo combinatorio da matematici del calibro di Luca Pacioli, Girolamo Cardano e Niccolò Tartaglia. Quindi il carteggio tra Pascal e Fermat, qualche anno dopo riproposto in maniera più sistematica dal grande Christiaan Huygens nella sua opera De ratiociniis in ludo aleae che ebbe una profonda influenza su Jakob Bernoulli (autore del primo vero trattato di Calcolo delle probabilità, l’Ars conjectandi), non deve offuscare i tentativi anteriori di guardare ai fenomeni legati alla casualità con “occhi scientifici”.
Guardando a ritroso nel tempo troviamo, infatti, Galileo Galilei con il suo Sopra le scoperte dei dadi e soprattutto il Liber de ludo aleae di Girolamo Cardano, scritto nel 1526 ma pubblicato postumo quasi un secolo e mezzo dopo. Qui troviamo formulati in modo esplicito i concetti di simmetria del dado, di casi egualmente possibili e alcuni altri principi del calcolo delle probabilità sotto forma di calcolo delle frequenze relative. Ma la prima testimonianza in Europa di calcolo dei modi possibili in cui più dadi possono presentarsi cadendo e della loro frequenza relativa la si trova nel poema medievale De vetula, risalente alla prima metà del XIII secolo. Un’opera attribuita al poeta, astrologo e bibliofilo Riccardo di Fournival, scritta in latino e fatta circolare inizialmente sotto il nome di Ovidio (per questo detta pseudo-Ovidio).
"Achille e Aiace che giocano a dadi" anfora circa 540 a.C.
Fin qui in Europa e fino al Rinascimento (con qualche anticipazione medievale). Ma prima? E nel resto del mondo? In effetti se c’è un certo accordo tra gli storici nel guardare ai matematici rinascimentali come i precursori della matematica del probabile (almeno in relazione ai giochi d’azzardo), altrettanto non si può dire per l’allargamento degli studi ai contributi dell’antichità greca e romana e delle civiltà extraeuropee. Nel mondo greco e romano erano molto popolari i giochi con dadi e astragali (piccole ossa delle zampe posteriori di pecore e capre) e non mancano certo riferimenti a queste attività in molti autori classici, anche se si tratta sempre di passi di carattere morale che quasi mai si soffermano sulle regole dei giochi (ritenute, evidentemente, molto note) e non illustrano calcoli relativi alle aspettative di uscita delle facce. Una nozione di probabilità è sicuramente presente nella cultura greca e romana, ma si tratta di una nozione qualitativa e non quantitativa. Probabile è un attributo di un’opinione e ha lo stesso significato di credibile o plausibile. È relativo a considerazioni di natura contingente ed è lontano dalla scienza caratterizzata da universale certezza. Ha quindi a che fare più con l’incerto che non con l’aleatorio, il casuale, indispensabile per poter pensare ad una sua formalizzazione matematica. Sono invece numerose le fonti arabe, cinesi, sanscrite e soprattutto indiane che, grazie anche a notazioni aritmetiche più efficienti, ci fanno capire come quelle antiche civiltà avessero sviluppato i rudimenti di un ragionamento probabilistico legato al gioco e alle estrazioni a sorte.Margarita Philosophica di G. Reisch
Risulta comunque evidente il ritardo con il quale si sviluppano matematicamente le idee relative alla probabilità. In relazione all’Europa uno dei motivi indicati dagli storici è quello dell’uso di simboli aritmetici poco maneggevoli e inadeguati a trattare problemi di questo genere. I sistemi di numerazione greco e romano risultavano di uso complicato, anche per eseguire semplici calcoli e l’introduzione nel medioevo della numerazione e dei potenti algoritmi sviluppati dalla cultura araba furono per lungo tempo osteggiati da chi deteneva il monopolio dell’uso dell’abaco. A questo va aggiunta la mancanza di un calcolo combinatorio, anche se tracce di prime nozioni di queste tecniche le troviamo nel mondo greco, ad esempio nelle opere di Crisippo, dove però esiste una incapacità di organizzare queste intuizioni in una ricerca sistematica.Astragali
Accanto a queste motivazioni più “tecniche” ne troviamo altre legate ad aspetti diversi della vita dell’uomo. Gli astragali, antichissimi strumenti di gioco comuni a tutti i popoli indoeuropei, non venivano usati soltanto per scopi ludici. Per i greci avevano anche il valore simbolico della gioia e dei piaceri della vita, e in molti popoli venivano usati anche per interrogare gli oracoli e trarre auspici. L’uso in rituali religiosi, secondo alcuni storici, sarebbe divenuto uno dei principali ostacoli allo sviluppo di una ricerca sui fenomeni aleatori. Come non considerare sacrilego il tentativo di conoscere i meccanismi del manifestarsi della volontà divina? Una sfida alla divinità e ai suoi segreti!Ma ci sono anche argomenti lontani dai giochi d’azzardo che aiutano a spiegare il ritardo nello sviluppo di un’indagine scientifica sulla probabilità. Con il trasformarsi della società feudale e la nascita della borghesia, lo sviluppo del commercio e la crescita delle città, cominciarono a presentarsi in maniera sempre più pressante complessi problemi pratici. Da quelli relativi al sistema bancario e imprenditoriale a quelli inerenti il calcolo delle rendite vitalizie e delle distribuzioni patrimoniali. Tutti problemi che non avevano una soluzione adeguata alla complessità sociale ed economica crescente e che presentavano ai matematici una sfida allettante. Quindi non solo problemi relativi al gioco d’azzardo ma anche le trasformazioni sociali che segnano il passaggio dal medioevo al rinascimento spinsero gli studiosi a sviluppare nuovi metodi algebrici e a preparare la strada al calcolo delle probabilità. Come nel caso di qualunque scienza non sia sufficientemente matura da porre “dall’interno” problemi stimolanti e generatori di successivi sviluppi, anche il calcolo delle probabilità al suo emergere sembra prodursi come risposta a problemi che vengono posti dall’esterno. Non è un caso perciò che la Summa de arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità di Luca Pacioli, un enciclopedico trattato di matematica pubblicato nel 1494, divenne famosa soprattutto sotto l’aspetto commerciale: è il primo testo in cui compare il sistema di registrazione a partita doppia.
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pubblicato su Archeologia & Cultura