Piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terracotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione della Montecatini:
piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandiere vittoriose:
piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:
piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:
oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele.
Il commento
Non è certo uno dei componimenti più tosti di Sanguineti questo, che appare molto semplice in tutta la sua straordinaria, amara e pungente ironia. D’altronde si tratta di un canto rivolto a un bambino; come poteva non parlare la sua stessa lingua?
Ma attraverso gli occhi (e le orecchie) di quel bambino sono svariate generazioni che osservano (e ascoltano); mi verrebbe da dire che è molto più attuale oggi che non negli anni Sessanta quando fu scritta! Il bambino che piange nel negozio perché vuole il cioccolatino è una figura molto odierna; cosa, più dell’ingenuità di un bambino è succube di fronte alle sovrastrutture del mondo e della società?
La guerra intesa in senso lato, mossa dal profitto che è capace di snaturare la natura (fatta di plastica e gommapiuma… ferro e ferraglie). La guerra delle colonie per l’indipendenza alla quale si riferisce (l’Algeria ottenne l’indipendenza nel 1962) pare un evento sintetizzante il mondo che stava nascendo in quegli anni; se considerato dalla prospettiva osservante di Sanguineti.
Bellissima la strofa di chiusura: la vita che nasce all’interno di queste dinamiche (che nasce comunque) anch’essa è comperata.