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E se a liberarci dall'impiccio fosse di nuovo il caro vecchio Zio Sam?
Creato il 14 settembre 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlogIn principio fu WikiLeaks, con la rivelazione di giudizi non proprio lusinghieri espressi ai piani alti di Washington sul conto del nostro attempato e burlone capopolo, e sugli stessi italiani incapaci di aprire gli occhi e alzare la voce dinanzi ai suoi dirompenti vizi e capricci. Al punto che il suddetto fu costretto a farsi riprendere a reti unificate durante una improvvisata conferenza stampa, al fianco di una Hillary Clinton prodiga come non mai di materne pacche sulla spalla. Poi giunse il giorno dello sfogo penoso (nel senso di indecente), preventivamente ben congegnato ma non altrettanto ben realizzato, tenuto a favore della macchina fotografica di fiducia per spiegare a un infastidito e silenzioso Obama che "in Italia comandano i giudici comunisti".
Fin quando si tratta di pittoresche manifestazioni folcloristiche, si dirà, tutto passa e si tollera con atteggiamento indulgente misto a rassegnazione. In Italia come nei contesti internazionali che contano. Ma se poi l'esilarante cameratismo in doppiopetto finisce per minare equilibri ben più seri e importanti di quanto ormai da tempo immemorabile non lo siano le italiche faccende, allora nemmeno il più esperto fra i buffoni può riuscire a coinvolgere la combriccola nel goliardico cazzeggio.
E arriviamo a questi giorni di magra, in cui un possente refolo di fallimento soffia per i cieli d'Europa, addensando nubi cariche di cattivi presagi su Paesi in declino come la Spagna e l'Italia, potenziali emuli delle ancora brucianti disgrazie elleniche. A nulla stanno valendo le alchimie a base di scuri e legacci orchestrate dall'asse franco-tedesco, per non patire l'infamia delle altrui colpe. E nonostante una manovra economica in "multicolor", l'eco dei tuoni ancora s'avverte minaccioso all'orizzonte.
Il decennale dell'euro può quindi rivelarsi esiziale per le economie dissestate dei due Paesi latini. Ma mentre la Spagna ha appena cambiato in corsa il suo toreador, effettuando una riforma lampo della propria Costituzione, a casa nostra ci si gingilla soavemente appresso alle avventure amorose del premier e alle vicende torbide di redivivi corrotti e corruttori, in un clima di insondabile confusione politica e di vigorose contestazioni sociali.
Insomma, i cugini ispanici si sono fatti più facilmente "matare" rispetto a noi che, tra promesse disattese e pessimi sondaggi elettorali, di metterci in riga proprio non vogliamo sentir ragione. E' in questi frangenti, però, che si misura la forza e la lungimiranza di un sistema. E più si è in grado di correggere il proprio orgoglio, più una crisi diviene superabile benchè grave.
Così, il prossimo 20 novembre gli spagnoli saranno chiamati a scegliere il successore del disponibile "per forza" José Luis Rodríguez Zapatero. Non è stato certamente facile per lui farsi da parte, ma alla smania di preservare la propria immagine dalle incognite del giudizio della storia ha preferito il bene della Spagna.
E i frutti si vedono, considerato che gli iberici non sono più l'anello debole dell'Unione, sostituiti proprio da noi italiani. Noi che a dispetto dei viaggi "mordi e fuggi" del comandante supremo a Bruxelles, "parte lesa" contumace e in odore di accompagnamento coatto, ci ostiniamo a resistere al Direttorio della cancellierona e di Napo-Sarkò ricorrendo al collaudato metodo del catenaccio.
Allora sfogli i "giornali di famiglia" e apprendi che da noi è diverso, da noi non si può. L'Italia è il Paese delle aziende e imprese familiari, delle società più o meno segrete, dei diritti acquisiti. La nostra economia è più ermetica della spagnola, hanno voglia gli stranieri a tentare di scalare l'industria e le banche italiane: avranno solo gli spazi che a noi non abbisognano e per nostra gentile concessione. E che dire del nostro debito pubblico, concentrato nelle mani dei risparmiatori nazionali? Berlusconi è in declino, certo, ma nessuno può sostituirlo a breve termine.
Se la tesi dei fedeli scrivani è corretta, per cui dopo Silvio c'è solo il diluvio, come possiamo riaverci da siffatta metastasi? Gira e rigira, il circolo è sempre più vizioso. Un crollo del fragilissimo bilico italiano, avrebbe l'effetto di devastare le prospettive di crescita dell'intera Europa. I tedeschi e i francesi, ora perfino i tolleranti americani, lo sanno benissimo: l'Europa siede su una polveriera, e il suo nome è Italia.
Sì, ma il punto è sempre quello: come se ne esce? Accertato unanimemente - salvo le migliaia di persone a libro paga (tra dipendenti, avvocati, parlamentari e zoccole) e quanti ancora spontaneamente si fidano del grande pifferaio - che il problema è appunto Silvio Berlusconi, non rimane che rimuovere il tappo.
Lui, anche questo è noto, non ha alcuna intenzione di fare passi indietro o di accettare "salvacondotti". Men che meno di ascoltare i saggi consigli dei fidati Letta e Confalonieri, che gli chiedono a gran voce di accettare una exit strategy indolore. No, la sua linea è chiara: si va avanti così, costi quel che costi. Il rispetto della sovranità popolare, a meno che non si voglia essere boccaloni fino in fondo, non è nient'altro che l'ennesima cortina fumogena a base di propaganda.
Come pure è una fandonia la storia di non essere preoccupato dalle vicende giudiziarie che lo riguardano direttamente: le inchieste e le intercettazioni sono l'unica vera preoccupazione del Cavaliere. Se così non fosse, il Paese probabilmente non si ritroverebbe da tempo senza guida politica (dio salvi Napolitano!) e con una situazione economica "levantina". Non avrebbe nel ventre la più forte criminalità organizzata del mondo e milioni di giovani sarebbero occupati invece di succhiare i risparmi di famiglia fino all'ultimo centesimo. Se il presidente del consiglio avesse realmente la mente e l'animo sereni (leggasi "puliti"), avrebbe pensato a governare seriamente l'Italia in tutti questi anni, senza riempirla di ridicolo nel mondo.
Che l'ingombro si sia fatto notevole, hanno cominciato a capirlo addirittura nel partito-azienda fatto in casa, dove fino a qualche tempo fa ogni voce dissonante era un'eresia punita col fango. E chissà se la strigliata del segretario ad personam Angelino Alfano riuscirà a zittire i vari Pisanu, Biondi, Cazzola, Formigoni, Alemanno, Polverini e così via. Forse sì, forse no. Ma la slavina è destinata a trasformarsi prima o poi in valanga. Manca solo il colpetto finale, quella piccola palla di neve capace di far venire giù tutto.
Resta da capire se a crollare sarà la vittima (l'Italia) o il carnefice. Berlusconi in parlamento appare blindato, circondato da una casta (anche in questo caso ad personam) tenuta a bada a suon di prebende, protetto dai sempre in agguato peones malpancisti. Fuori dal Palazzo, invece, può godere delle guarentigie partorite dal suo stesso cilindro, che lo tengono al riparo dalle toghe malpensanti. La via politica, per ora, affidata alla buona volontà delle opposizioni, pare rassegnata ad attendere la scadenza naturale della legislatura, quando si consumerà il probabilissimo colpo di spugna nelle urne. Ma a quale prezzo?
Davvero bisogna accontentarsi della moral suasion del Capo dello Stato, e dei moniti scanditi un giorno sì e l'altro pure che più passa il tempo e più paiono buoni solo a giustificare un futuro "vi avevo avvertiti!"? Sicuri che non esistano altri strumenti per sbarazzarci di questo errore della storia nazionale, intervenuto un dì per caso a turbare il nostro corso munito di media e di quattrini e del fior fiore degli azzeccagarbugli? Eppure, forse, un'ultima speranza ancora c'è.
S'è detto di come anche gli Stati Uniti, finalmente, si sono resi conto dell'estrema pericolosità della meterora impazzita Italia sullo scacchiere occidentale. "Cosa accadrebbe a Italia e Spagna se i mercati continueranno a prendersela con questi due grandi Paesi?", si è interrogato con preoccupazione Obama intervenendo sulle vicende europee.
In realtà, solo gli ingenui possono non comprendere che quelle parole celano ben altro timore: cosa succederebbe all'economia globale, agli USA stessi, se uno dei fondatori dell'Unione Europea dichiarasse improvvisamente default? La conseguente e inevitabile crisi dell'euro finirebbe per accentuare ancor di più le difficoltà finanziarie americane, condizionando peraltro pesantemente le chances di rielezione alla Casa Bianca del primo presidente nero della storia.
Al di fuori di questo, sono solo chiacchiere inutili e passeggere. L'America ha interesse a che l'Italia non ceda, per un proprio legittimo tornaconto, ma sa pure che questo obiettivo oggi mal si concilia con la presenza del reuccio di Arcore a Palazzo Chigi. Il quale, fiutata la minaccia, sta provando a giocare la disperata carta cinese. E' infatti ormai di dominio pubblico che sono stati avviati contatti ai massimi livelli fra Roma e Pechino, per solleticare gli appetiti dell'emergente potenza asiatica su alcuni gioielli italiani (Enel, Eni?) in cambio di robuste sottoscrizioni cinesi di titoli pubblici italiani. Un motivo di più, magari, perchè Washington rizzi le antenne e intervenga.
Il New York Times ha già dato fuoco alle polveri, con l'ennesimo attacco ad alzo zero contro Silvio Berlusconi. In un'analisi intitolata "L'agonia e il bunga bunga", il magazine scrive che questo "E' stato il mese più incerto per l'Italia, col parlamento impegnato nella discussione del pacchetto austerità". Poi aggiunge: "Noi americani ci divertiamo molto a leggere dei bunga bunga e dei guai giudiziari di Berlusconi, perché è rassicurante: la nostra follia politica impallidisce di fronte a questa opera buffa a luci rosse". Tuttavia, ed è questa l'amara conclusione che sa tanto di avvertimento, "non dovremmo limitarci a restare a bocca aperta o a sorridere. Il cammino dell'Italia dalla gloria al ridicolo, favorito dalle distrazioni legali e carnali di Berlusconi, minaccia la stabilità finanziaria dell'intera Europa e non va a benificio di nessuno".
Già, di nessuno. Certamente non dell'America. E la storia insegna che quando gli States si sentono messi a repentaglio da una minaccia esterna, sono sempre pronti a entrare in gioco con piglio duro, senza curarsi del nemico da colpire. Stavolta, l'obiettivo potrebbe concidere con l'impiccio che da oltre tre lustri tiene in ostaggio la democrazia italiana, del quale da soli proprio non riusciamo a liberarci. Sarà dunque ancora una volta lo Zio Sam a levarci dai pasticci?
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