È in assoluto tra i presidenti che usano di più le reti sociali. Appassionato di Twitter, fruitore di Facebook, immancabile in televisione, Rafael Correa twitta e lo fa con frequenza per rispondere a chi lo critica o per annunciare i meriti del suo governo. Lo fa con esuberanza, mentre per i comuni mortali la ¨Ley de comunicación¨ si avvia al secondo anno con alcune vittime eccellenti nel paniere (l’umorista Bonil, il quotidiano El Universo, la popolare Extra) e l’obbligo per i giornalisti, non solo dell’opposizione, di fare molta attenzione a quello che viene pubblicato. In Ecuador, infatti, esiste dal giugno 2013 il reato per ‘linchamiento mediático’: è vietato, sui mezzi di comunicazione, ledere la reputazione delle persone. Il riferimento è abbastanza, e forse volutamente, generico perché siano poi i giudici a determinare i limiti dell’ambito giuridico. La legge (come altre che hanno fatto storia nell’Ecuador di Correa, come quella che regolamenta il lavoro delle Ong o quella che ha cancellato il gioco d’azzardo) è stata a lungo criticata perché non solo pone i mezzi di comunicazione strettamente sotto il controllo delle autorità dello Stato, ma avalla la censura e sanziona le opinioni. Un controllo necessario per salvaguardare la dignità degli ecuadoriani secondo il governo, una museruola alla libertà di espressione per l’opposizione. In questi venti mesi di applicazione, sono stati condannati non solo giornalisti e direttori di giornali, ma anche caricaturisti, reporter di spettacolo e di sport, commedianti.
Il rapporto dell’Ecuador con l’informazione è controverso. Mentre in casa gioca arroccato in difesa, all’estero si è guadagnato fama di paladino delle libertà individuali, proteggendo strenuamente nella propria ambasciata di Londra, il fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Proprio su questa dicotomia Correa è stato attaccato la settimana scorsa dal comico inglese John Oliver, che su ‘Last Week Tonight’ (sulla statunitense HBO) ha ironizzato sul fatto che il presidente dell’Ecuador promuova su Twitter e Facebook una campagna contro chi, invece, usa lo stesso mezzo sociale per criticarlo. Se doveva essere una competizione, Correa stavolta ha perso. Il mondo dei social sa essere molto crudele e l’appello del presidente sembra aver entusiasmato più i detrattori che i sostenitori. Basta dare un’occhiata alle due pagine in opposizione su Facebook ed il numero dei rispettivi likes: il Somos más del presidente (https://www.facebook.com/SomosMasEc?fref=ts) contro Crudo Ecuador (https://www.facebook.com/CrudoEcuador?fref=ts) che da tempo biasima, attraverso la spiccia satira dei meme, le politiche del governo.
Correa, che si scalda sulla satira, non ha però intenzione di rinunciare alla sua presenza sui social media. È presidente dei nostri tempi ed è quello che, secondo Twiplomacy, in America Latina mantiene la più stretta relazione a mezzo cinguettio con i suoi followers. In poco più di quattro anni ha pubblicato quasi 7500 messaggi sul suo @Mashirafael, quasi cinque al giorno. Una presenza che passa il conto anche in termini di insulti e minacce. Per questo il presidente ha promesso di fare piazza pulita dei mitomani, minacciandoli in diretta tivù a ¨Enlace Ciudadano¨: sputtanati via etere con nomi e cognomi, i responsabili verranno perseguiti legalmente.
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