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Edgar Allan Poe – “La logica del verso” 4

Creato il 21 ottobre 2012 da Marvigar4

la logica del verso

Edgar Allan Poe

La logica del verso

traduzione dall’originale The rationale of verse

di Marco Vignolo Gargini

   Per illustrare quello che ho qui sostenuto, non posso far di meglio che citare una poesia:

Pease porridge hot pease  porridge  cold  
Pease porridge in the pot nine days old. [1]

   Ora, quelli fra i miei lettori che non hanno mai ascoltato questa poesia letta con il modo tradizionale usato da una balia, troveranno il suo ritmo oscuro come una nota di spiegazione; invece quelli che l’hanno ascoltata la divideranno così, la dichiareranno musicale e si stupiranno di come possa esserci qualche dubbio al riguardo.

Pease | porridge | hot | pease | porridge | cold |
Pease | porridge | in the | pot | nine | days | old. |

   L’aspetto principale in questa specie di ritmo è la necessità che impone al poeta di viaggiare sempre in compagnia con le sue composizioni, così da essere pronto, all’occorrenza, ad avvalersi di una ben nota licenza poetica — quella di leggere a voce alta i propri versi scadenti.

   Nel verso di Cranch,

Many are the | thoughts that | come to | me, |

   l’errore generale di cui parlo è, naturalmente, molto parzialmente esemplificato, e lo scopo per il quale, principalmente, lo cito sta ancora più avanti nel nostro argomento.

   Le due divisioni thoughts that e come to sono trochei ordinari. La prima divisione many are the sarebbe accentata così dalle prosodie greche: «māny ăre thĕ», e sarebbe chiamata da loro αστρόλογος (astrologos). I libri latini definirebbero il piede Paeon Primus [2], e sia i greci che i latini giurerebbero che è composto da un trocheo e da ciò che chiamano un pirrichio — vale a dire, un piede di due sillabe brevi — una cosa che non può essere, come dimostrerò ampiamente tra breve.

   Ma ora c’è una difficoltà evidente. L’astrologos, secondo le stesse prosodie, è uguale a cinque sillabe brevi, e il trocheo a tre — eppure, nel verso citato, questi due piedi sono uguali. Occupano precisamente lo stesso tempo. Infatti, tutta la musica del verso dipende dal loro far occupare lo stesso tempo. Le prosodie hanno dimostrato dunque ciò che tutti i matematici hanno stupidamente mancato di dimostrare — che tre e cinque sono la stessa cosa.

   Dopo ciò che ho tuttavia già detto sul trocheo bastardo e sul giambo bastardo, nessuno può avere alcun impedimento a capire che many are the presenta un carattere simile. È semplicemente una variazione più audace del consueto nella routine dei trochei e introduce nel trocheo bastardo una sillaba aggiuntiva. Ma questa sillaba non è breve. Cioè, non è breve nel senso di «breve» applicata alla sillaba finale del trocheo ordinario, là dove la parola significa soltanto la metà di una lunga.

   In questo caso (della sillaba aggiuntiva) «breve», se usata del tutto, dev’essere usata nel senso di un sesto di una lunga. E tutte e tre le sillabe finali possono esser chiamate brevi solo con lo stesso significato del termine. Tutte e tre insieme sono uguali solo all’unica sillaba breve (di cui prendono il posto) del trocheo ordinario. Ne consegue che non c’è alcun senso nell’accentare così ( ˘ ) queste sillabe. Dobbiamo escogitare per loro un nuovo carattere che indicherà il sesto di una lunga. Prendiamo ( ‹ ), la luna crescente con la curva a sinistra. L’intero piede (māny are the) potrebbe essere chiamato un trocheo veloce.

   Veniamo adesso alla divisione finale (me) del verso di Cranch. È chiaro che questo piede, breve all’apparenza, è del tutto uguale nel tempo a ognuno dei precedenti. È, infatti, la cesura — il piede che, all’inizio di questo saggio, ho definito il più importante in ogni verso. La sua funzione principale è quella di pausa o interruzione; e qui — alla fine di un verso — il suo uso è facile, perché non c’è pericolo di fraintendere il suo valore. Ci fermiamo su di essa, per una palese necessità, giusto quel tanto che abbiamo impiegato per pronunciare i piedi precedenti, siano essi giambi, trochei, dattili o anapesti. Essa è così un piede variabile, e, con qualche attenzione, potrebbe essere introdotta nel corpo di un verso, come in un poemetto di grande bellezza della Welby [3]:

I have | a lit | tle step | son | of on | ly three | years old. |[4]

   Qui ci soffermiamo sulla cesura, son, giusto il tempo richiesto a pronunciare i giambi precedenti o susseguenti. Il suo valore in questo verso è quindi di tre brevi sillabe. Nel verso dattilico seguente il suo valore è di quattro sillabe brevi.

Pale as a | lily was | Emily | Gray. [5]

   Ho accentato la cesura con un segno in modo da esprimere questa variabilità di valore.

   Ho testé osservato che non può esserci alcun piede di due sillabe brevi. Ciò da cui partiamo proprio all’inizio di ogni idea sull’argomento del verso, è la quantità, la lunghezza. Così quando articoliamo una sillaba indipendente essa è lunga, per abitudine. Se ne pronunciamo due, indugiando su entrambe, esprimiamo l’uguaglianza nella enunciazione, o lunghezza, e abbiamo diritto di definirle come due sillabe lunghe. Se indugiamo su una più che su un’altra, abbiamo anche il diritto di definirla come una breve, perché è breve in relazione all’altra. Ma se ci soffermiamo su entrambe ugualmente, e con voce scattante, dicendo a noi stessi che qui ci sono due sillabe brevi, potrebbe esserci posto l’interrogativo: «in relazione a cosa sono brevi?». La brevità non è altro che la negazione della lunghezza. Allora, dire che due sillabe, poste indipendentemente da ogni altra sillaba, sono brevi, vuol semplicemente dire che non hanno una lunghezza positiva, o enunciare — in altre parole, che non sono sillabe — che non esistono affatto. E se, persistendo, aggiungiamo qualcosa circa la loro uguaglianza, ci imbrogliamo soltanto nell’idea di un’equazione identica, dove x essendo uguale a x, niente è dimostrato che sia uguale a zero. In una parola, non possiamo formarci alcuna idea di un pirrichio come un piede indipendente. È una mera chimera nutrita dalla mente folle di un pedante.

   Da ciò che ho detto sull’uniformità dei diversi piedi di un verso, non bisogna dedurre che esista qualche necessità per l’uguaglianza nel tempo tra i ritmi di diversi versi. Una poesia, o persino una stanza, potrebbe iniziare con giambi nel primo verso, e proseguire con anapesti nel secondo, o anche con dattili meno accordanti, come nell’apertura di un esempio molto grazioso del verso di Mary A. S. Aldrich [6]

The wa | ter li | ly sleeps | in pride |
Dōwn ĭn thĕ | dēpths ŏf thĕ | āzūre | lake. |[7]

   Qui azure è uno spondeo, equivalente a un dattilo; lake una cesura.

   Adesso continuerò meglio citando i versi iniziali di Bride of Abydos di Byron:

Know ye the land where the cypress and myrtle

Are emblems of deeds that are done in their clime —

Where the rage of the vulture, the love of the turtle

Now melt into softness, now madden to crime?

Know ye the land of the cedar and vine,

Where the flowers ever blossom, the beams ever shine,

And the light wings of Zephyr, oppressed with perfume,

Wax faint o’er the gardens of Gul in their bloom?

Where the citron and olive are fairest of fruit

And the voice of the nightingale never is mute —

Where the virgins are soft as the roses they twine,

And all save the spirit of man is divine?

’Tis the land of the East — ‘tis the land of the Sun

Can he smile on such deeds as his children have done?

Oh, wild as the accents of lovers’ farewell

Are the hearts that they bear and the tales that they tell. [8]

   Ora, il flusso di questi versi (l’andamento dei tempi) è molto dolce e musicale. Sono stati spesso ammirati, e a ragione — più passa il tempo — perché c’è da dire che è raro trovare una versificazione migliore di tal genere. E quando il verso è gradevole all’orecchio, è sciocco trovarvi dei difetti perché si rifiuta d’essere scandito. Eppure ho sentito degli uomini, che si professavano studiosi, non farsi scrupolo di maltrattare questi versi di Byron sostenendo che fossero musicali a dispetto di ogni legge. Altri signori, non studiosi, maltrattavano ogni legge per lo stesso motivo — e non è venuto in mente né da una parte né dall’altra che la legge sulla quale disputavano potesse probabilmente non essere affatto una legge — un asino di legge con la pelle di leone.

   Le grammatiche no dicevano niente sui versi dattilici, e si vide facilmente che questi versi erano almeno intesi come dattilici. Quindi, il primo fu diviso così:

Knōw yĕ thĕ | lānd whĕre thĕ | cyprĕss ănd | myrtle [[myrtlĕ]]. |

   Il piede conclusivo era un mistero; ma le Prosodie dicevano qualcosa sulla «misura» dattilica facendo appello ogni tanto una doppia rima; e il tribunale d’inchiesta fu contento di fermarsi alla doppia rima, senza intendere esattamente che cosa un a doppia rima avesse a che fare con la questione di un piede irregolare. Lasciando il primo verso, il secondo era così scandito:

Arē ĕmblĕms | ōf deĕds thăt | āre dŏne ĭn | thēir clĭme. |

   Tuttavia, si vide immediatamente che questo non andava — era in contrasto aperto con l’intera enfasi della lettura. Non si poteva supporre che Byron, o chiunque che sia in sé, avesse inteso porre l’accento su monosillabi come «are», «of» e «their», né che «their clime», in corrispondenza con il verso successivo, potesse piuttosto essere piegato in qualcosa come una «doppia rima», così da portare tutto entro la categoria delle grammatiche. Ma di più queste grammatiche non dicevano. Perciò, gli inquisitori, a dispetto del loro senso di armonia nei versi, se considerato senza riferimento alla scansione, si attaccarono all’idea che «Are» fosse un errore — un eccesso per il quale il poeta doveva essere mandato a Coventry — e, accantonato, scandivano il resto del verso come segue:

—— ēmblĕms ŏf | deĕds thăt ăre | dōne ĭn thĕir | clĭme. |

   Questo andava piuttosto bene, ma le grammatiche non ammettevano un piede con una sillaba; e inoltre, il ritmo era dattilico. Nella disperazione, si setacciano bene i libri, tuttavia, all’ultimo gli esploratori sono gratificati da una piena soluzione dell’indovinello nella profonda «Osservazione» citata all’inizio di questo saggio:— «Quando manca una sillaba il verso si dice catalettico; quando la misura è esatta, il verso è acatalettico; quando c’è una sillaba in più forma un ipermetro». Questo è sufficiente. Si precisa che il verso anomalo è catalettico al principio e forma un ipermetro alla fine — e così via, e così via; dal momento che si scopre presto che quasi tutti i versi restanti si trovano in una situazione simile, che ciò che scorre così agevolmente all’orecchio, anche se così rozzamente all’occhio, è, dopo tutto, un semplice cumulo di catalettici, acatalettici e ipermetri — per non dire di peggio.

   Ora, se questo tribunale d’inchiesta fosse stato in possesso anche solo dell’ombra della filosofia del Verso, non avrebbe avuto difficoltà a riconciliare quest’olio e quest’acqua dell’occhio e dell’orecchio, scandendo semplicemente il passo senza riferimento ai versi e ininterrottamente così:

Know ye the | land where the | cypress and | myrtle Are | emblems of | deeds that are | done in their | clime Where the | rage of the | vulture the | love of the | turtle Now | melt into | softness now | madden to | crime | Know ye the | land of the | cedar and | vine Where the | flowers ever | blossom the | beams ever | shine Where [[And]] the | light wings of | Zephyr op | pressed by per | fume Wax | faint o’er the | gardens of | Gul in their | bloom Where the | citron and | olive are | fairest of | fruit And the | voice of the | nightingale | never is | mute Where the | virgins are | soft as the | roses they | twine And | all save the | spirit of | man is di | vine. ’Tis the | land of the | East ’tis the | clime [[land]] of the | Sun Can he | smile on such | deeds as his | children have | done Oh | wild as the | accents of | lovers’ fare | well Are the | hearts that they | bear and the | tales that they | tell.

   Qui crime e tell sono cesure, ognuna con il valore di un dattilo, quattro sillabe brevi, mentre fume Wax, twine And, e done Oh sono spondei che, naturalmente, essendo composte di due sillabe lunghe, sono pure uguali a quattro brevi, e sono l’equivalente naturale del dattilo. La precisione dell’orecchio di Byron lo ha condotto a una successione di piedi che, con due banali eccezioni riguardo la melodia, sono assolutamente accurati, un evento molto raro questo nei ritmi dattilici o anapestici. Le eccezioni si trovano nello spondeo twine And, e nel dattilo smile on such. Entrambi i piedi sono falsi circa la melodia. In twine And per fare la rima dobbiamo forzare And a una lunghezza che di natura non regge. Siamo chiamati a sacrificare o la lunghezza propria della sillaba come richiesto dalla sua posizione di membro di uno spondeo, o l’abituale accentazione della parola nella conversazione. Non c’è esitazione, e non ci dovrebbe essere. Noi rinunciamo subito al suono per il senso, e il ritmo è imperfetto. In questo esempio l’imperfezione è così leggera, nemmeno una persona su diecimila potrebbe rilevare con l’orecchio l’imprecisione. Ma la perfezione del verso, riguardo la melodia, consiste nel non richiedere mai alcun sacrificio del genere come qui è richiesto. La ritmica deve accordarsi completamente con il fluire della lettura. Questa perfezione non è stata conseguita in alcun modo, ma è indiscutibilmente raggiungibile. Smile on such, un dattilo, non è corretto, perché such, visto il carattere delle due consonanti ch, non può essere facilmente pronunciato nel tempo ordinario di una sillaba breve, che la sua posizione dichiara di essere. Quasi ogni lettore sarà in grado di apprezzare la lieve difficoltà qui presente, e tuttavia l’errore non è per niente così importante come quello dell’And nello spondeo. Potremmo con destrezza pronunciare such nel tempo giusto, ma lo sforzo di rimediare alla deficienza ritmica dell’And allungandolo, aggrava soltanto l’offesa alla pronuncia naturale ponendovi l’attenzione.

   Il mio fine principale, comunque, nel citare questi versi è di dimostrare che, a dispetto delle Prosodie, la lunghezza di un verso è un argomento del tutto arbitrario. Potremmo dividere l’inizio della poesia di Byron così:

Know ye the | land where the. |

   o così:

Know ye the | land where the | cypress and. |

   o così:

Know ye the | land where the | cypress and | myrtle are. |

   o così:

Know ye the | land where the | cypress and | myrtle are | emblems of. |

   In breve, possiamo fare le divisioni come ci pare, e i versi andranno bene, a condizione di avere due piedi in un verso. Come in matematica sono richieste due unità per formare un numero, così il ritmo (dal greco αριθμος, numero) richiede per la formazione almeno due piedi. Senza dubbio, vediamo spesso versi come questi:

Know ye the —
Land where the —

versi di un piede, e le nostre prosodie li ammettono, ma impropriamente, poiché il buon senso imporrebbe che ogni divisione così ovvia di una poesia, com’è composta da un verso, dovrebbe includere in sé tutto ciò che è necessario per la sua comprensione, ma in un verso di un piede non possiamo avere apprezzamento del ritmo, che dipende dall’uguaglianza tra due o più battute. I versi falsi, consistenti talvolta di una singola cesura, che si vedono nelle parodie delle odi pindariche, sono, naturalmente, «ritmici» solo in connessione con qualche altro verso, ed è questa mancanza di un ritmo indipendente, che li adatta soltanto agli scopi della parodia. Il loro effetto è quello dell’incongruenza (il principio dell’ilarità), poiché includono l’inespressività della prosa nell’armonia del verso.

   Il mio secondo obiettivo nel citare i versi di Byron era quello di mostrare quanto sia spesso assurdo citare un singolo verso dal corpo di una poesia con lo scopo di spiegare la perfezione o l’imperfezione del ritmo dei versi. Se lo vedessimo in sé

Know ye the land where the cypress and myrtle,

potremmo giustamente condannarlo come difettoso nel piede finale, che è uguale solo a tre sillabe brevi, invece che a quattro.

   Nel piede «flowers ever» troveremmo un’ulteriore spiegazione del principio del giambo bastardo, del trocheo bastardo e del trocheo veloce, come mi sono sforzato di descriverli sopra. Tutte le Prosodie del verso inglese insisterebbero sull’elisione in «flowers», così: «flow’rs», ma questa è una sciocchezza. Nel trocheo veloce (many Are the) presente nel verso trocaico di Cranch, si dovette uniformare il tempo delle tre sillabe (ny, are, the) a quello di una sillaba breve di cui occupano il posto. Di conseguenza ognuna delle tre sillabe è uguale a un terzo di una sillaba breve, vale a dire, un sesto di una lunga. Ma nel ritmo dattilico di Byron dobbiamo uniformare il tempo delle tre sillabe (ers, ev, er) con quello di una sillaba lunga di cui prendono il posto, o (che è la stessa cosa) delle due brevi. Pertanto, il valore di ogni sillaba (ers, ev e er) è un terzo di una lunga. Le pronunciamo solo con metà della rapidità impiegata nell’enunciare le tre sillabe finali del trocheo veloce — che è un piede raro. Il «flowers ever», al contrario, è comune nel ritmo dattilico come lo è il trocheo bastardo nel trocaico, o il giambo bastardo nel giambico. Potremmo accentarlo con la mezzaluna a destra e chiamarlo dattilo bastardo. Un anapesto bastardo, di cui adesso non ho bisogno affatto di spiegare la natura, ci sarà ovviamente di tanto in tanto in un ritmo anapestico.

   Per evitare ogni possibilità di confusione, che tende ad inserirsi in un saggio di questo genere per una modifica troppo repentina e radicale delle convenzionalità a cui il lettore è stato abituato, ho pensato fosse giusto suggerire per i segni dell’accento del trocheo bastardo, giambo bastardo, etc., etc., certi caratteri che, variando soltanto la direzione del comune accento breve ( ˘ ) implicassero, com’è di fatto, che gli stessi piedi non sono piedi nuovi, in senso proprio, ma semplici modifiche dei piedi, rispettivamente, dai quali derivano i loro nomi. Così un giambo bastardo è nella sua essenza, ossia, nel suo tempo, un giambo. La variazione sta solo nella distribuzione di questo tempo. Il tempo, per esempio, occupato da una sola sillaba breve (o metà di una lunga) nel giambo comune, è, nel bastardo esteso equamente su due sillabe, che di conseguenza sono un quarto di una lunga.


[1] “Porridge caldo di piselli porridge freddo di piselli – / Porridge di piselli nel vasetto – da nove giorni.” (N.d.T.)

[2] Il peone primo è composto da una lunga e tre brevi. (N.d.T.)

[3] Amelia Welby (1819-1852).

[4] “Ho un piccolo figliastro di tre anni.” (N.d.T.)

[5] “Emily Gray era pallida come un giglio.” (N.d.T.)

[6] Poetessa americana contemporanea di Poe.

[7] “La ninfea riposa orgogliosa / nelle profondità del lago azzurro.” (N.d.T.)

[8] La sposa di Abydos, poema di George Gordon Byron (1788-1824): “Conoscete la terra dove cipressi e mirto / Sono emblemi di opere eseguite nel loro clima, / Quando la rabbia dell’avvoltoio, l’amore della tartaruga, / Ora si fondono in dolore, ora impazziscono nel crimine? / Conoscete la terra dei cedri e della vite, / Dove i fiori non sbocciano mai, i raggi non brillano mai; / E le ali di luce di Zefiro, oppresse dai profumi, / debole cera sui giardini di Gul nella sua fioritura? / Dove il cedro e le olive sono più belle della frutta, / E la voce dell’usignolo non è mai muta (…) /Dove le vergini sono tenui come le rose che intrecciano, / E tutto ciò che preserva lo spirito dell’uomo è divino? /  È la terra d’Oriente; è la terra del sole — / Può sorridere su tali fatti, come i suoi figli hanno fatto? / Oh! selvatici come gli accenti dell’addio degli innamorati / Sono i cuori che essi portano, e le storie che raccontano”, Canto Primo vv. 1-10, 14-19.



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