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Educazione Siberiana [Recensione]

Creato il 08 aprile 2013 da Elgraeco @HellGraeco

educazione_siberiana film

È un po’ strano parlare di questo film, in questi lidi. Ma ci sono varie ragioni, a supporto di questa decisione.
Per i neofiti specifico: non ho mai, salvo rarissime eccezioni, parlato di cinema italiano su questo blog.
Per un fatto molto semplice, che abbatte sul nascere tutte le possibili polemiche: il cinema italiano non mi interessa, perché tratta temi a me indifferenti.
Poi però c’è la Cattleya, che in questi ultimi anni ci ha regalato Romanzo Criminale, la Serie. Telefilm che, se si considera che è stato concepito, scritto e realizzato in Italia, è miracoloso.
Ma non è solo questo, è anche fottutamente spettacolare. Ne riparleremo, magari.
In Educazione Siberiana, di Gabriele Salvatores, ci sono tanti fattori di interesse:

a) la malavita russa
b) una storia a cavallo tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche e la caduta
c) i tatuaggi, che da quelle parti sono rituali. Stanno a significare tante cose.

E allora, se da un lato mi interessa proprio la questione tatuaggi, mi sto documentando infatti su di essi perché ho intenzione di utilizzarli in un racconto, e mi piaceva vederli inseriti in una storia, dall’altro, c’è sempre il fattore italianità del film.
E ancora una volta mi spiego: ci hanno, per decenni, abituato a cinepanettoni volgarissimi, psicodrammi radical-chic, e tutto il cinema che odio, a base di cazzate & luoghi comuni, o luoghi comuni & cazzate.
Assistere, per una volta, a un film che parla invece di delinquenti russi, diretto e realizzato da italiani, è un rapimento dalla realtà, in senso buono. Per cui volevo vederci chiaro.
E in ultimo, perché a questo film, in qualità di assistente al montaggio, ci ha lavorato Lucy. Sì, proprio lei.

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Tratto dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin, il film di Salvatores se ne discosta, asservendo l’intreccio a una matrice classica: infanzia, adolescenza, gioventù e età adulta di un gruppo, poi una coppia, di giovani siberiani di Fiume Basso, una regione in cui il regime comunista ha confinato interi clan di criminali russi, che fanno della loro professione e scelta di vita una religione scandita da rituali di passaggio, tatuaggi simbolici, che raccontano la vita e le imprese dei portatori, senza che siano costretti ad aprire bocca e raccontare, preghiere alla Vergine che impugna una coppia di pistole.
Salvatores quindi predilige il classicismo, laddove altrimenti il film si sarebbe trasformato, dato il carattere particolare della narrazione del romanzo, in una lunga sequenza aneddotica.
Il risultato fiacca Educazione Siberiana dal punto di vista della creazione dell’attesa. Ruoli e destini di ciascuno dei personaggi, infatti, appaiono evidenti sui loro volti, senza aspettare neppure la canonica ora. Soprattutto a causa della sovrapposizione dei piani temporali. Si parte già dal presente dei protagonisti, che attraverso i ricordi giustificano la loro attuale esistenza, scelte e azioni.

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E tuttavia, scenografia, set naturali e costumi risultano validissimi. I metodi spicci e la violenza, ai limiti del paradosso, ché spesso sfumata dalla patina di liturgia che sottende all’esistenza di questi giovani siberiani indottrinati dall’ottimo John Malkovich, è mostrata senza retorica o compiacimento eccessivo. È giusta, adatta al contesto e alle aspirazioni del film.
Manca forse la cattiveria, a quella violenza, quel cinismo che occorre a sviluppare tutte le personalità presenti su questo palcoscenico.
Si tratta di personaggi estremi, perché viventi in un contesto da paria, esiliati dalla società per scelta. Sono onesti criminali, non stiamo parlando di santi.
Quindi il contrasto avrebbe dovuto far pesare innanzitutto questa estraneità alle normali consuetudini del vivere civile.
Alla fine, il duello esistenziale che lega i protagonisti principali, Kolyma (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius) si svolge tra caratteri fin troppo puri (per quanto duri), il secondo dei quali cade per eventi per giunta non mostrati, ma raccontati, restando la narrazione, e quindi la regia di Salvatores, fissa sul punto di vista di Kolyma.

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Pur durando 110 minuti, Educazione Siberiana si perde nell’ultimo tratto, direi l’ultima mezz’ora, che espone eventi cruciali, che generano il contrasto tra Kolyma e Gagarin e sublimano nella giusta vendetta, sacrale perché voluta dalla Vergine, secondo le tradizioni siberiane.
Come già detto, la malvagità di Gagarin è data per acquisita, da una scena all’altra. La caccia di Kolyma ai suoi danni anche, e il confronto finale risolto in maniera sbrigativa.
Leggerezza che non appartiene affatto alla prima ora del film, che al contrario è intrigante. La sensazione, poi supportata dai fatti,è che si sia voluto privilegiare l’asse sentimentale dei protagonisti, a dispetto poi degli eventi che, più di tutti gli altri, sarebbero serviti a caratterizzarli. Privilegiare il cinema, anziché i facili sentimenti degli spettatori, dovrebbe essere unica direttiva, secondo me.
Un percorso narrativo può dirsi completo solo se prevede, esponendone le ragioni, facendo sì che siano condivise dal pubblico, che poi è il destinatario ultimo del messaggio, l’evoluzione del protagonista, il completamento di un ciclo. Questo ciclo in Educazione Siberiana esiste, ma non si vive.

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Altra cosa che mi sarebbe piaciuta, visto che poi costituisce anche motivo di captatio nella campagna pubblicitaria, è un approfondimento sulla teoria dei tatuaggi, che al contrario non rappresentano motivo principale, ma ornamento. Ok, nella comunità di Fiume Basso i criminali disegnano il proprio corpo coi tatuaggi, Kolyma li sa fare, si specializza, ma sul suo, di corpo, ne appare soltanto uno e si vede di sfuggita. Trattandosi di comunità fortemente superstiziosa che anche su tali disegni decide la vita e la morte di terzi, avrei voluto fossero motivo portante.
Finita la critica, finalissimo a parte, che non è fallace, specifichiamo, solo meno duro e sentito di quanto ci si aspetti, Educazione Siberiana resta una narrazione anomala, intrigante, che avrebbe meritato un maggiore sforzo produttivo, e forse maggiore coraggio e sfacciataggine.
Se lo dovete guardare? Sì, dai, la Russia è affascinante, la regia di Salvatores professionale. Sperando che non costituisca un miraggio nella cinematografia italiana, seguita da decenni di preti investigatori, marinai e Miss Italia prestate al cinema.

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