Anna Lombroso per il Simplicissimus
Pare che la festa della mamma, sia stata pensata per la prima volta negli Usa poco dopo l’inizio del Novecento da due militanti abolizioniste e femministe. Ma si deve al presidente Woodrow Wilson la sua ufficializzazione, con una delibera del congresso che ne stabilì la ricorrenza ufficiale la seconda domenica di maggio. La sua mamma era una irlandese, sfegatata sudista, severa e autoritaria e oggi verrebbe attribuito al suo piglio tirannico qualche suo disturbo dell’adattamento, diventato poi proverbiale: la dislessia e la balbuzie. Eh la mamma, la mamma: anche in Italia la festa che sconfina sempre in un omaggio a finalità commerciali, si deve a un uomo pubblico, su scala minore, un sindaco di Bordighera, che avrà pensato di rilanciare la riviera dei fiori e i suoi prodotti con una ricorrenza “mobile” stabilita nella seconda domenica di maggio.
Gli uomini di potere, dimentichi del contributo offerto al loro successo dalle consorti, qualcuna vendicativa e sleale come dimostrano casi di cronaca leggendari, dalla signora Chiesa a Madame Poggiolini, altre incaricate di sbrigare gli affari di famiglia mentre i loro uomini si prodigavano per quelli dell’umanità, come Frau Marx o Freud, hanno invece sempre rivolto pensieri grati, devoti e deferenti alle loro mamme.
A confermare un’indole nazionale alla ricorrenza delle dittature in Italia, provvede negli ultimi avvicendamenti perfino il ripetersi del nome di due mamme storiche: Rosa Mussolini e Rosa Berlusconi. Ambedue legate, si direbbe, da un destino, quello di essere donne dedite al sacrificio domestico, ma anche al rimbrotto verso mariti inadeguati alle loro ambizioni e alle aspettative riposte nei figli maschi, che vedono già cinti d’alloro in culla, destinati a opere epiche e leggendarie. E ambedue innamorate dei loro rampolli, gratificate, compiaciute, e appagate dei loro successi, indulgenti con i loro vizi e capricci, comprensive dei loro crimini, pronte a scendere ferine fino alla crudeltà e alla vendetta in loro difesa, contro sudditi ingrati, gerarchi sleali, federali inetti, nuore poco amorose.
Nel paese proverbialmente così familista e mammone, da suscitare condanna di studiosi ma anche di ministre, critiche ad intermittenza, capaci di biasimo per i figli altrui e abnegazione nepotistica coi propri, la festa mobile suona oltraggiosa. Perché ancora più mobile e precario è il lavoro delle donne, che se sono madri sono soggette a ricatti infami, a minacce e arbitri implacabili, alla condanna a dequalificazioni e marginalità. Perché essere madri non si insegna, ci si deve improvvisare come per una cultura tramandata. Ma ci si deve improvvisare anche a svolgere tutte le altre “professioni” del caso, imposte da nuove miserie e da nuove necessità imposte come ineluttabili: assistenza, istruzione, sostegno a portatori di handicap, terapeute per disturbi della personalità e disordini della mente, cura di bambini, anziani.
Si suona come un dileggio, ma ha anche il sapore dolciastro dell’ipocrisia, questa ricorrenza di mazzolini e scatole di cioccolatini, di disegni fatti con la mano guidata dalla maestra e di adolescenti col muso obbligati al pranzo in famiglia, gingillandosi con il cellulare.
Perché la fervente cattolica signora Rosa Mussolini avrà preferito non sapere chi era il mandante che si nascondeva dietro alla mano assassina di Matteotti, avrà trovato una logica spiegazione per i ragazzi mandati a morire in Russia, per i poveri morti ammazzati da Graziani e per la promulgazione delle leggi razziali. E se non allora, quando? alla Signora Rosa Berlusconi sarà venuto in mente di aver sbagliato qualcosa nell’educazione del suo primogenito, a proposito dell’onestà, del rispetto per la cosa pubblica e per le donne, a proposito dell’osservanza delle leggi e del primato della giustizia, uguale per tutti.
Per carità, l’ambiente interagisce, l’ambiente condiziona, la cultura imperante segna il cammino degli uomini, ma maschi che picchiano e molestano, maschi che ammazzano l’oggetto di quella aberrazione che chiamano amore, maschi che sono convinti che le loro donne sono “loro” una proprietà inalienabile, beh anche loro hanno avuto delle mamme, festeggiate ugualmente oggi. Indulgenti o possessive, solerti o trasandate, oppressive o castranti. Mamme, proprio come quelle che proponevano le olgettine al satrapo, che le spingevano a farsi avanti per approfittare delle opportunità di una protezione.
Ma era mamma anche la mia, indomita, staffetta partigiana al fianco di mio padre, che mi ringraziò per aver dato consapevolezza e forma politica a qualcosa che lei aveva fatto per indole, rendendo uguali per diritti e doveri me e mio fratello. E era mamma quella del mio compagno, e lo ha reso rispettoso e attento ai bisogni e alle utopie di tutti, prima di tutti quelle delle donne, capace di accudimento e di ascolto, di generosità e dolcezza, di lacrime e sentimento, senza vergogna.
E sono mamme quelle che in questi mesi lottano per il lavoro, o a fianco dei compagni licenziati, donne spaventate e arrabbiate per il buio davanti agli occhi dei ragazzi senza futuro, donne che censurano aspettative e desideri come fossero colpe o la pena per aver sognato troppo.
E siamo mamme noi “rami secchi” che sentiamo urgere le lacrime e la rabbia per tutti i figli del mondo che non abbiamo fatto, che sentiamo nostri, frutti e fiori nati da noi e dalle nostre speranze.