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Eleanor Cole – Episodio 15 – Romanzo a puntate di Alessandro Forlani

Creato il 10 settembre 2012 da Fant @fantasyitaliano

Eleanor scese nel canale essiccato, Farinelli mise in canna un altro razzo, si appostò ad una ringhiera lungo l’argine di calcestruzzo. Lei ricaricò le due pistole.
«Calzate il tricasco», Delfina le suggerì; sganciò il proprio dallo zaino, lo indossò, «fuori dall’insediamento non è possibile respirare: è il deserto, abitudine o no. E adesso correte, e sparate alle cisterne: qualunque cosa contengano, ci coprirà la ritirata. Sbrigati, robot!»
Ripresero la fuga.
Gli Ammit scivolarono nel cratere dell’esplosione, s’infilarono nella breccia, si fermarono suleleanor finale 220x300 Eleanor Cole – Episodio 15 – Romanzo a puntate di Alessandro Forlani romanzo a puntate racconti steampunk racconti horror racconti fantasy racconti fantascienza racconti fantasy italiano fantasy fantascienza alessandro forlani fossato. Agganciarono i caschi. A cenni i Capo-Scavo li divisero in tre squadre: due si sparpagliarono sul ciglio del canale, spararono qualche colpo, ripresero l’inseguimento, si arrampicarono sulle scalette dei silo e scaricarono inutilmente i centenari fucili; ricaricarono. La colonna più numerosa si gettò giù nella fossa, gli anziani minatori conducevano l’assalto.
Eleanor e Delfina crivellarono le cisterne, l’olio e le miscele scrosciarono sugli indigeni: il fiotto improvviso, puzzolente e viscoso li accecò e li rovesciò nel fossato. I caduti si aggrovigliarono nella buca, scivolarono ancora, si aggrapparono ai compagni; le pallottole che rimbalzavo sui sostegni, che stridevano sui tralicci di acciaio, appiccarono scintille che incendiarono il petrolio, molti stramazzarono bruciati.
«Questo no!», Eleanor strillò: d’istinto agguantò lo survizaino, scattò incontro alla massa inferocita, allo strazio degli ustionati che si torcevano fra le fiamme; Delfina e Farinelli la trascinarono via.
Il robot specchiò negli occhi la massa grigia degli aggressori che scavalcava e calpestava i caduti.
Tornavano all’assalto.
Eleanor, Farinelli e Delfina raggiunsero la foce e uscirono dal fossato: sotto i soli spietati di Ammit, che ormai declinavano in un crepuscolo di fornace, si estendeva per chilometri una piana di rocce gialle, ghiaia, macigni, erosi dal vento torrido extraterrestre che all’orizzonte rimescolava le dune.
E videro laggiù in fondo, fra le sabbie irrequiete, le fronde lussureggianti di un’immensa oasi.
Eleanor sospirò di sollievo, scrutò la macchia verde e boscosa che spezzava per miglia la rena ocra ed inabitata:
«Nasconderci sarà facile», tolse il faro dallo zaino, «e ormai vi prometto: siamo alle strette, l’impiegherò.»
«È un miraggio, non ci sperate», disse sprezzante l’esploratrice.
Lei guardò le lenti di Farinelli che scansionavano con raggi verdi quel giardino troppo distante, elaboravano statistiche.
L’analisi fu interrotta da un pallettone che rimbalzò sulla parrucca dell’automa.
Gli indigeni, percorso il fossato, gremivano la pianura scaricando i fucili.
«Spara a terra, robot!», Delfina ordinò.
Farinelli esplose un razzo contro il suolo, la granata affondò nell’arenaria, scoppiò con una nube di polvere che confuse i tiratori nemici.
L’esploratrice si acquattò dietro un masso, Eleanor si appiattì contro un macigno, il valletto coprì loro il fianco esposto e, ruotata la testa a 360°, riprese l’osservazione di quell’oasi all’orizzonte.
La polvere diradò.
Le raffiche di machine-pistole, il crepitio dei moschetti, l’espettorato delle canne mozze, gli schianti secchi dei fucili automatici grandinarono tutt’attorno innocue e assordanti. Le pallottole si smorzavano nella sabbia, sbreccavano qualche roccia, si perdevano nella ghiaia: Eleanor vedeva quel museo di fucileria esplodere fra le mani degli indigeni che l’impiegavano, le micce che si spegnevano e le cilecca del cane. Gli Ammit soprattutto maneggiavano quegli arnesi come fosse la prima volta che tiravano un colpo: «a intuito», osservò, «come per i bipodi che mi inseguirono quando sbarcai».
Si appiattì con la schiena a terra a speculare sul fatto.
Delfina, in ginocchio dietro la roccia che le faceva da scudo, disintegrava con i proiettili esplosivi i ripari e le postazioni dei cecchini nemici. Ad ogni colpo spezzava un masso, sbriciolava una montagnola, e gli avversari vulnerabili e scoperti si ritiravano al sicuro nel fosso:
«Vorreste darmi una mano?»
Eleanor arrossì. Tornò prona, con le pistole puntate, e ricacciò gli assalitori giù dagli argini del canale.
Gli shot-gun ammutolirono, le carabine esalarono, i mitra tossirono brevi raffiche, e tacquero.
La spianata di sassi gialli fumanti era cosparsa di cartucce e di bossoli, la canicola era gonfia di fumo bianco, l’odore di santabarbara si mescolava ad afrori alieni.
Il cielo si incupiva di porpora, e il suolo ricompensava di un fiato gelido l’atmosfera arroventata e venefica del giorno.
Delfina, in quell’ultima luce, centrò l’imboccatura del canale con un colpo impressionante:
«Finiamola qui!»
Il proiettile penetrò nella chiusa arrugginita, sfondò la paratia, esplose nel fondo secco. L’esploratrice s’erse in piedi sul masso, gridò:
«Ovvero anche acquattate là sotto non avreste avuto scampo, miserabili scimmie!»
Poi tornò al riparo della roccia, appoggiò la carabina al terreno e mostrò, di nascosto, le giberne quasi vuote:
«Speriamo che desistano. E voi, come state?»
Eleanor impallidì: la cartucciera le pendeva dai fianchi ormai alleggerita di quasi tutti i proiettili. Guardò l’indicatore sul lanciarazzi di Farinelli: del grappolo di granate che aveva avuto dai fanti, al Fondaco Orbitale, il display ne concedeva due sole.
«Un’ultima battaglia, temo.»
Gli occhi dell’automa brillarono di smeraldo:
«L’oasi è reale: otto chilometri distante da noi. Solo piante, nessun’altra forma di vita: probabilmente una sacca residua dell’antica terraformazione sopravvissuta all’inaridimento…»
«Muoviamoci», Delfina lo interruppe, «il buio ci favorisce.»


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