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Emily Dickinson, 4 poesie e due frammenti

Da Vivianascarinci

Se l’anima vacilla tu rimuovi
la porta della carne –
il codardo ha bisogno d’ossigeno –
nulla di più gli occorre

*
Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana
che gracida il suo nome – tutto giugno –
ad un pantano in estasi di sé
*
L’anima sceglie i suoi compagni
e poi chiude la porta
la sua divina maggioranza
estranei non sopporta.

Impassibile, sente il cocchio che si ferma
presso il cancello esterno.
Impassibile, guarda un re protrarsi
dal suo tappeto.

So che da tutto il mondo
può scegliere uno solo:
chiudere le valve poi dell’attenzione
come se fosse pietra.
*
Date un po’ d’angoscia
e ogni vita si ribella.
Datene una valanga
e le vite si piegano,
si raddrizzano cercano prudenti
di riprendere fiato, ma non dicono sillaba –
come la morte
che mostra solamente il suo disco marmoreo:
segno sublime più della parola -
*
Troppo felice sarei stata, credo –
troppo in alto per il modesto accordo
che delimita il raggio di una vita –
Questa circonferenza nuova avrebbe
svergognato il mio piccolo circuito –
Biasimato l’angustia precedente

Troppo al sicuro sarei stata –salva –
troppo da me lontana la paura
per poter pronunciare la preghiera
che ieri conoscevo così bene –
quell’unica bruciante Sabachthani
recitata a memoria in questa vita –

La Terra sarebbe stata troppo –
e il cielo per me misera conquista -
avrei posseduto la gioia
senza il timore – per giustificarla –
la palma senza il Calvario –
E’ giusto Dio che tu mi crocefigga –

Dicono che la pena affini la vittoria –
e nel vecchio Getsemani gli scogli
raddoppiano la gioia dell’approdo!
Chi è stato mendicante apprezza il cibo –
e dall’arsura acquista i gusto del vino –
la fede piange – per poter capire!

Questa è l’ora di piombo, e chi le sopravvive
la ricorda come gli assiderati
rammentano la neve;
prima il freddo, poi lo stupore, infine
l’inerzia


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