Andiamo proprio bene: ora ci sono quelli che per iniziare a “pensare”, nel nobile senso di “meditare”, devono entrare in ambulatorio. Che siano malati o che questa naturale facoltà si stia atrofizzando nella specie umana? Il miglior ambulatorio sulla piazza sembra essere quello di Marina Abramović, illustre santona della Performance Art, secondo la quale «non dobbiamo più sentirci in colpa quando non facciamo niente; spesso la noia può essere l’inizio di qualcosa di nuovo», affermazione che sottoscrivo senz’altro. Quando ho tempo, e anche quando non ne ho, io ci casco spessissimo: non faccio un bel nulla. Non riesco a fare nulla. I cretini combattono quest’apatia, i saggi no: sono convinti che è Dio che bussa alla loro porta. Tutto piano piano si azzera, l’occhio aperto non guarda più nulla, e l’eterna domanda – Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? – s’insedia regale nella capoccia. Ho scritto “regale” e non “tirannica” perché il suo dominio è dolce e oscillante, e vi fa sentire come un piccolo legno sulle pigre onde dell’oceano – provate ad ascoltare “Une barque sur l’océan” di Maurice Ravel – che vi portano lontano lontano sopra la vertigine degli abissi, fino all’arrivo nel solito porto, o addirittura in uno nuovo, più avanzato sulla rotta della Terra Promessa. Rinfrancati, potete rientrare nella realtà, guardandola dall’alto in basso. Gli abissi rappresentano l’angoscia esistenziale, un dolorino di fondo che sempre vi accompagna, e che un uomo appena appena serio non può fuggire; la crociera in barchetta un modo onesto e piacevole di affrontarlo, anche quando vi toccherà “sudare sangue”. Riassumendo il tutto, diciamo che son nato con la bocca aperta: questo è il mio metodo, e in questo mi sento fratello di molti colossi dell’umanità.
Poi c’è il metodo Abramović, che serve solo agli snaturati, e che non ho ancora ben capito per quale stravagante motivo rientri nel campo dell’arte. All’artista serba piace farla difficile. Sedute interminabili, alla ricerca del perfetto silenzio, e del perfetto dominio del corpo e della mente. L’artista elabora una scena piuttosto nuda e una liturgia ancor più essenziale. L’importante è che siano cose da deficienti, ma avvolte in un soggiogante silenzio, così che invece di costringervi a ridacchiare, a meno che non siate l’infame Franti, è molto probabile che catturi la vostra attenzione o che almeno vi spinga a grattarvi educatamente la testa. Però se siete discepoli della santona esse vi assorbiranno poco a poco, con esse vi compenetrerete, dimenticherete il frastuono del mondo, e incominceranno le meraviglie. E’ un’arte situazionale che dà risultati emozionali, e che ci rivela una verità antica e insieme rivoluzionaria: slow thinking is real thinking, yeah!
Poteva la Milano istituzionale dell’era Pisapia restare indifferente a queste insulsaggini? Non poteva. L’assessore alla Cultura Stefano Boeri, amico dell’artista, convinto che «un po’ di meditazione non possa fare che bene», e forse convinto che la meditazione non possa essere tale se non somiglia ad uno stato di trance che fa a pugni con la natura ma la cui ieratica seriosità abbaglia i gonzi, ha scritto una e-mail ai suoi colleghi di Palazzo Marino:
Cari colleghi, riceverete un invito a partecipare sabato 24 marzo alla performance di Marina Abramović al Pac. Come sapete, l’artista intende l’arte come esperienza diretta con il pubblico e durante le performance crea condizioni molto particolari di intensità intellettuale ed emotiva; si tratta di abbandonare per circa due ore ogni contatto con il mondo esterno e di seguirla in un’esperienza di rapporto diretto con lo spazio e con gli oggetti che compongono l’installazione.
Non ci crederete, ma ci sono andati, questi campioni della nostra classe politica, quella che non crede a nulla. Assessori e consiglieri, comunali e provinciali. Tutti in camice bianco, pronti per il grande viaggio al centro del proprio io. Sono rimasti sdraiati, poi seduti e infine in piedi. Verso le 23, Boeri, che nel corso del trip aveva oltrepassato prima le Colonne D’Ercole e poi anche l’Ultima Thule, è svenuto. I medici, poco rispettosi della potenza dell’arte della Abramović, parlano di un calo di pressione, ma che ne sanno loro? Chissà cosa ha visto Boeri! Forse cadde come corpo morto cade! Forse ci lascerà la Divina Commedia del nuovo millennio!
[pubblicato su Giornalettismo.com]
Filed under: Giornalettismo, Italia, Umorismo Tagged: Marina Abramović, Milano, Stefano Boeri