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Ernesto che guevara

Creato il 06 luglio 2011 da Speradisole

ERNESTO CHE GUEVARAUN EROE DELLA LIBERTA’

Che Guevara ha la virtù del coraggio. Un modo di essere, un modo di vivere che riempie la forma dell’azione, come l’acqua riempie la brocca.

E’ una virtù, se la virtù è un modo di operare efficace, che dà l’impronta all’azione.

Per gli antichi il coraggio aveva sede nel fegato, quell’organo vitale a cui essi si rivolgevano per leggere il destino: organo liscio e lucido “come uno specchio”, come l’immagine che rinvia dell’uomo cui appartiene, dice Platone nel Timeo, intuendo che nel coraggio c’è tutta l’individualità messa in gioco.

La moderna parola “coraggio” rimanda invece al cuore. Avere coraggio significa avere un cuore saldo.

Il coraggio ha un ruolo chiave nella scena paradigmatica della libertà. Permette di sostenere la sfida e il rischio, sconfigge la paura.

E la paura, come ben sanno tutti i tecnici della politica, è l’emozione che regge l’accettazione dell’ordine, la  nascita della politica come dominio nella modernità.

Per essere liberi bisogna non avere paura di creare disordine, mettere in questione l’ordine che c’è.

La paura, si dice a buona ragione, è un’emozione produttiva, vitale, conservativa della vita.

Ma appunto la vita vale meno della libertà per Che Guevara, per Gandhi, per Mandela, per Garibaldi, personaggi molto diversi ma tutti accumunati da questa prevalenza del sogno di libertà sulla conservazione della vita.

E’ un rovesciamento completo dell’emozione che regge la politica: non per paura si sta insieme, ma per il coraggio della verità che rende liberi.

Il Che, icona del coraggio nella lotta per la libertà, il berretto con la stella, lo sfondo rosso è forse l’immagine più diffusa dell’eroe nella seconda metà del Novecento. Complice la bellezza virile, la barba incolta, lo sguardo intrepido e complici i muovi mezzi di comunicazione: i manifesti, le magliette con la sua faccia stampata, le bandiere, le spille di metallo.

Una batteria di emblemi che lo rievocano negli anni della contestazione giovanile, invitando gli studenti ad imitarlo, le studentesse ad amarlo.

Il medico e rivoluzionario argentino che con un drappello di guerriglieri  sfida l’imperialismo americano, l’amico di Fidel, l’eroe di Cuba.

Ma, mentre la forma dittatoriale che il nuovo ordine assume oscura il mito di Fidel, durato troppo a lungo, Ernesto Che Guevara è fermato, per sempre, in quelle foto, in un’eterna giovinezza.

Non importa che le sue imprese restino misteriose, che i suoi discorsi siano assai poco noti e, quando noti, appaiano opachi e ideologici: il mito si costruisce su un altro binario.

Bastano pochi frammenti di vita vissuta: bastano i viaggi vagabondi in moto, basta il racconto di come, con la sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara, arrivando come un liberatore all’Avana; basta la resistenza che lo contrappose al gigante americano, ricco e arrogante, basta che testimoni – con la sua vita di lotta incessante e ancor più con la sua morte, quando, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana, viene trucidato nella scuola di Higueras – il coraggio di dire di no.

In aggiunta l’intensità dello sguardo.

Eroe epico di una rivoluzione riuscita, morto prima che la sclerosi lo divorasse. Eroe tragico perché appartiene al mondo dei colori netti, del bianco e del nero, dove l’oppositore, il despota, è l’altro, si sa e non si dubita.

Chiarezza e separatezza che riescono soprattutto quando il sogno di libertà riguarda i paesi coloniali, le lotte dei neri, quella degli indiani contro la corona britannica, dell’America Latina contro le figure di burattini indegni ed esosi imposti dalla Cia a guida dei paesi sotto l’influenza americana.

Lotte difficili, anche difficilissime, ma chiare, con postazioni chiare.

Le lotte postcoloniali di oggi rivendicano, non a caso, contro raffinate decostruzioni culturali, di poter utilizzare identità strategiche nette, funzionali al posizionamento nella lotta politica.

Devono ignorare la complessità delle fratture e delle contrapposizioni, per non lasciare che le loro resistenze vengano assorbite dal dominio contro cui si battono, ma che genera e che dà loro forma.

(Tratto e riassunto da “Eroi della liberta” di Laura Bazzicalupo)



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