Giuditta Naselli. Se la commedia è la punta di diamante dei generi della Hollywood classica, Ernst Lubitsch ne è il più brillante artefice. Il regista berlinese, una volta approdato a Hollywood, attraverso la rievocazione delle atmosfere europee e dell’elogiata licenza di amare del Vecchio continente, si dedica alla realizzazione di commedie e film musicali, che si distinguono per l’umorismo tagliente e audace. Indimenticabile è Ninotchka (1939), interpretato da una straordinaria Greta Garbo e dall’affascinante Melvin Douglas.
Lo humour lubitschiano allestisce un’eterna contesa tra i due sessi, il cui bisogno primario è la soddisfazione degli appetiti sessuali. Il libertinaggio, il piacere, la glorificazione dei sensi diventano soggetti di un gioco di seduzione che irretisce il pubblico. Attraverso un linguaggio comico che si fonda sulle allusioni, Lubitsch dimostra la capacità sovversiva di mostrare l’illecito, creando una suspense erotica che coinvolge anche il più timido spettatore. Mentre in Hitchcock la tentazione carnale suscita sensi di colpa e rimorsi, ciò non accade nel regista berlinese che si culla nell’ebbrezza della trasgressione, nella visione di un mondo epicureo e gaudente. Ben presto, però, il lusso dei palazzi, l’opulenza degli ambienti e la frivolezza dei rapporti umani mostrano la loro illusorietà. Dall’ambiguità di fondo, dall’ironia commista a una strana amarezza, da quella messa in scena che alterna ilarità a una profonda malinconia emerge l’articolato e complesso retroterra culturale ebraico che il regista berlinese mette al servizio del cinema. Il gusto per il divertimento e per la ricchezza diventano le armi di cui Lubitsch si serve per rivelare come quel mondo edonista sia segnato da una profonda vulnerabilità. Il ritmo binario di sesso e denaro diventa, così, il modo in cui Lubitsch denuncia che il cinema è, di per sé, sostituzione, surrogazione di immagini che sintetizzano la diffusa frustrazione dell’essere umano. Il sogno consumistico e la rivalsa sessuale si trasformano negli unici momenti di autoaffermazione dell’uomo moderno. Così al binomio sesso e denaro si oppone un ulteriore dicotomia, quella tra senso morale e bisogno consumistico. Ne è un ottimo esempio Ninotchka, in cui la protagonista viene mandata in missione a Parigi dal governo sovietico per sorvegliare tre agenti, Iranoff, Bulianoff e Kopalski, inviati nella capitale francese per conseguire la vendita di gioielli confiscati alla granduchessa Swana, esule a Parigi a seguito della Rivoluzione Russa. I tre agenti, però, con l’aiuto del conte Leon (Melvin Douglas), amante della duchessa, vengono irretiti dai piaceri della vita parigina. L’intervento dell’integerrima agente Ninotchka (Greta Garbo) non porterà alcun risultato, tanto che anche la donna cadrà nella trappola del bel mondo, sovvertendo i suoi ideali comunisti per amore di un cappellino.
È straordinaria la metamorfosi, operata dallo sceneggiatore Billy Wilder, nei confronti di Greta Garbo che, icona per eccellenza ieratica e distante, si trasforma in personaggio brillante e sorprendente, incantando pubblico e critica con le sue parole: “Compagni, la rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso”.