Il titolo del post è un po’ generico ma non ho trovato di meglio, spiacente.
Non ho alcuna esperienza a proposito di scrittura (nel senso nobile del termine: non ho mai pubblicato con una casa editrice, il che fa di me un imbrattacarte digitale). Però so come scrivevo un tempo. Ho riletto alcune cose che per fortuna non sono mai uscite (ma sono state lette da un’agenzia letteraria come Grandi & Associati): roba da far rizzare i capelli.
Ecco di seguito cosa ho imparato. Nulla di inaudito, ma forse servirà a qualcuno.
Il tono da intellettuale. “A mo’ di scaramanzia”, o “Consideriamo una città” per esempio. Soprattutto se si è agli inizi, esiste il rischio di voler dimostrare qualcosa. Se si ha un modesto titolo di studio si desidera mostrare agli altri che non si è secondi a nessuno. E si infarcisce la scrittura di espressioni che stridono.
Non bisogna dimostrare nulla, ma raccontare una storia. Punto.
Due aggettivi non sono una buona idea. Per esempio: gentile e silenzioso; alti e ingrigiti; alta, liscia; lunghe, esili. Quando a ogni riga o quasi si incontra la strana coppia (due aggettivi, sempre), c’è qualcosa che non va. Non basta aggiungere aggettivi o parole al bianco della carta, occorre scrivere quelle efficaci.
Spesso si aggira il problema abbondando: è come chi crede che l’automobile acquisti maggiore aderenza alla strada caricandola all’inverosimile. Alla prima curva, sbanderà e uscirà di strada.
Precisazioni inutili (e pure tra parentesi). Esempio: della cravatta (di seta blu). Per come la vedo io adesso: o togli le parentesi, oppure togli le parentesi e quello che c’è dentro. Anche questo è un errore tipico del principiante: illustrare tutto, nel dettaglio. Nemmeno se si trattasse dei mobili del catalogo Ikea. Ma accade quando non si è ancora compreso che è l’ascia la vera amica della scrittura.
Bla bla bla. Scrivere significa illustrare fatti. Precederli con una sfiancante descrizione di oggetti, ambienti, stati d’animo, invece di badare al sodo, vuol dire non sapere nemmeno l’abc. Una scrittura può avere tanti difetti, ma non deve annoiare. Lo scritto deve essere almeno interessante; lo affermava Henry James se non ricordo male. Se si fallisce anche in questo…
Cigolando (…) sballottando. Non escludo che sia una mia fisima. Ma esordire con un gerundio a parer mio è un errore. Se poi si ha pure la brillante idea di ripeterlo poco dopo, non ci siamo proprio. La frase rallenta; è come guidare con il freno a mano tirato. È impossibile non rendersene conto. Meglio rimediare il prima possibile.
Il tono indignato. Per esempio: “A scapito degli altri, certo”. Un pericolo che ho frequentato per anni è stato il tono indignato. O meglio: sottolineare con il mio giudizio i fatti. Se questi sono descritti in modo efficace, non hanno bisogno di nulla: parlano da sé. Non c’è bisogno di ribadire che le cose vanno male. Se una storia prende il tono retorico, del “Ma come va male il mondo, signora mia”, è la fine.
In quello che scrivevo allora c’era ben di peggio. Magari ne riparlerò prima o poi…