Ciascuno di noi, ripescando nei ricordi dei tempi del catechismo, ha ben in mente le immagini legate al termine “esodo”: gli ebrei, schiavi degli egiziani, vengono liberati da Mosè, grazie ad una fuga rocambolesca con tanto di acque divise del Mar Rosso e annientamento degli inseguitori.
Oggi invece quando si accenna all’esodo si parla di “esodati”.
In linea di massima, si ha un’infarinatura generale sull’argomento, ma vale la pena capirne qualcosa di più, senza avventurarsi troppo in tecnicismi o burocratese.
Gli esodati sono dei lavoratori che hanno compiuto i 50 anni d’età e che hanno lasciato il proprio lavoro trovandosi in una sorta di limbo visto che, in conseguenza di un innalzamento dell’età o dei requisiti per accedere alla pensione, non possono ancora accedervi.
Vista così si può ben dire che gli esodati sono un sottoinsieme dei disoccupati.
E’ un gruppo di ex lavoratori particolarmente debole perché, vista l’età, le difficoltà per un eventuale rientro nel mercato del lavoro sono notevoli e, a differenza dei disoccupati giovani, si tratta nella maggior parte dei casi di persone con oneri economici derivanti dalle spese familiari (giusto per citarne alcuni: il mutuo per la casa, figli minori a carico, ecc. ).
Il termine “esodato”, che imperversa da settimane su tutti i quotidiani e le televisioni, viene coniato nel 2012 e comunemente indica quei lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro dopo una ristrutturazione aziendale, un accordo sindacale o un accordo economico con il datore di lavoro, con la promessa di poter accedere in tempi ragionevoli al trattamento pensionistico e che invece hanno visto allungarsi l’attesa in conseguenza della riforma del sistema pensionistico, messa in atto dal governo tecnico di Mario Monti, e in particolare per l’opera del ministro Fornero.
“Dal 1° gennaio 2012″, si legge nel sito web del ministero del lavoro, “sono cambiate le regole per andare in pensione. Con l’art. 24 del Decreto Legge 201/2011 (c.d. Decreto “Salva Italia”), varato dal Governo il 6 dicembre 2011 e convertito dalla Legge 214 del 22 dicembre 2011, sono state poste le basi per una riforma complessiva del nostro sistema previdenziale, primo e fondamentale tassello di una riforma più ampia che riguarderà anche il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali.”
E’ la famosa riforma che ha fatto sgorgare le lacrime dagli occhi del ministro, con immagini che hanno fatto il giro del mondo e hanno irritato molti e non certo intenerito i sindacati.
Al di là delle proteste dei sindacati che, qualsiasi riforma venga varata comunque hanno motivi per protestare, e tenendo conto che nessuna riforma nel campo del lavoro può fare tutti contenti, il vero problema oggettivo della questione “esodati” è che nessuno, ad oggi, è in grado di fornire un numero esatto, o che si avvicina in modo credibile, di questi famigerati (e sfortunati) ex lavoratori.
I sindacati, forti di un’informativa venuta fuori dagli uffici dell’INPS (e per la quale il ministro ha chiesto la decapitazione dei vertici dell’istituto), parlano di 400.000 lavoratori, scatenando l’ira furibonda della lacrimosa ministra (o ministro o ministressa), che invece inizialmente ha parlato di una cifra che si aggira attorno alle 65000 unità e ieri ha aggiunto altri 55000 lavoratori “da salvaguardare“.
Quattrocentomila a fronte di centoventimila. Sembra di sentire le quote della questura contrapposte a quelle degli organizzatori il giorno dopo una manifestazione di piazza.
Possibile che, tra le tante cose che nel nostro Paese non è dato sapere da anni, non sia possibile stabilire con serietà la quota di lavoratori “esodati”?
Secondo il governo c’è una distinzione fondamentale da fare, e forse questo può aiutare a fare chiarezza, anche se introduce un nuovo termine: “i salvaguardati”.
I salvaguardati o meglio “da salvaguardare” sono coloro che tra gli esodati hanno veramente diritto ad una salvaguardia per la loro situazione critica e forse questa distinzione legata alle modalità e al diritto, oltre che squisitamente politica, è quella che ha generato la discrepanza nelle cifre.
Intanto oggi la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha rilanciato: “Gli esodati sono almeno 370 mila” e ieri il neo presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha definito la riforma del lavoro che ci si appresta ad approvare, e che è legata a doppio filo con quella delle pensioni, non solo perché proveniente dallo stesso ministero, è una “boiata”, ma che va approvata ugualmente per l’emergenza in cui si trova il nostro Paese e per salvare la faccia con l’Europa.
Insomma, al netto di questo balletto di cifre e di posizioni più o meno strumentali sulla pelle dei lavoratori, appare chiaro che quel governo tecnico che ieri si è presentato con un decreto chiamato pomposamente “Salva Italia”, oggi si stia impantanando nella stessa palude in cui era in panne il governo precedente per il quale, a questo punto, andrebbero rivalutate alcune critiche sull’atteggiamento troppo attendista.
Diciamolo chiaramente, fare riforme in Italia che non suscitino proteste e polemiche (e pasticci) è impossibile, e diciamo anche che le differenze tra la gestione precedente in mano al ministro Sacconi e quella attuale non si vedono, forse se al governo ci fosse ancora l’esecutivo precedente, i “fate presto” a caratteri cubitali sui quotidiani si sprecherebbero da giorni.
Nel frattempo ci pensano i sindacati con una Camusso sulle rive del Mar Rosso che agita il bastone per dividere le acque e condurre il suo popolo al di là del mare con i piedi all’asciutto solo che, se tutto segue il regolare svolgimento del racconto biblico, dall’altra sponda li aspetta un peregrinare nel deserto per quarant’anni prima di raggiungere la Terra Promessa, giusto il numero di anni di contributi per maturare il diritto alla pensione.
symbel (redattore)