Spesso mi ritrovo a parlare da sola. Nella vita vera, su twitter, su facebook, su questo blog. Lo faccio fin da quando ero piccola perché sono stata una sfigata figlia unica, mentre facevo discorsi sui più disparati argomenti scrivevo al contrario sul muro bianco della mia cameretta con i pastelli a cera – quando non ero troppo impegnata a mangiarli – e interpretavo tutti i personaggi quando giocavo. Ero la maestra e anche l’alunna, la ballerina e anche il pubblico, la cantante e anche la presentatrice. Ho continuato a parlare da sola per anni, e anni, e altri anni, a farmi domande e a darmi risposte, come se porre i quesiti che hai nella tua testa a qualcuno di diverso dalla tua immagine riflessa nello specchio sia un comportamento da deboli, e poi chissà che cosa pensano di te, chissà che idea si fanno, magari lo vanno a raccontare in giro e ti deridono. Sono sempre stata troppo paranoica per chiedere un parere. Un sacco di volte ho trovato le risposte senza l’aiuto degli altri, mi bastava riflettere, pensare alle conseguenze, districare il groviglio di pensieri con calma e prendendomi tutto il tempo necessario. Qualche volta, però, ho preso l’orgoglio, l’ho piegato in quattro parti e me lo sono infilato nella tasca dei jeans neri, e ho iniziato a domandare, sempre con la testa bassa e smangiucchiandomi le unghie. Quasi mai ho seguito i consigli che mi hanno dato, scusate ma non è colpa mia, tutte le persone nate sotto il segno del toro sono testarde di natura, nascono convinte che quello che hanno nella testa sia giusto per forza, e farci cambiare idea è difficile tanto quanto darci un abbraccio. Però adesso a quanto pare non ho più otto anni, non posso più scrivere con i colori a cera sul muro bianco della mia cameretta, anche perché quella casa dove facevo finta di essere una giovane artista ormai non è più di mia proprietà, e questo posto è il mio muro bianco virtuale. Quando avevo otto anni le persone alle quali fare domande erano poche, e le domande sull’amore erano inesistenti, adesso sono un po’ di più sia le domande sia le persone, e allora facciamolo questo esperimento sociale, soffiamola via la patina polvere di che ricopre il coraggio, facciamo finta che io sia in piedi davanti a voi, dietro a un leggio e con uno di quei microfoni affusolati e snodabili davanti, come fossi Obama, e voi siate tutti seduti su delle sedie di legno pieghevoli. C’è il sole, siamo in un giardino grande, io, a piccoli passi e con la faccia di una che sta per essere mandata al patibolo, salgo sul palco. Vi guardo, uno a uno, anche se siete tanti. Voi mi guardate con la stessa faccia stanca di quelli che ai concerti urlano “suonaaaaa!” al tizio che sta facendo il predicone invece di farvi pogare. Dovete aspettare un attimo, ho i miei tempi, sto per mettermi completamente nuda di fronte a voi, sto per condividere con voi tutti i miei pensieri come se voi foste Harry Potter e io fossi il pensatoio di Albus Silente. Poi facciamo anche finta che sia il giorno del diploma di Rori Gilmore, io vi leggo tutto il discorso che ho scritto, vi pongo delle domande, vi prego in ginocchio anche se sono in piedi di dirmi cosa fareste voi, perché lo fareste, come lo fareste. Educati, uno alla volta, per alzata di mano. Apriamo un dibattito sull’educazione sentimentale, di quelli che dovresti fare con i tuoi genitori quando inizi a capire che se ti sfiori la tua farfallina il tuo corpo sussulta , ma mia madre al massimo mi diceva che gli uomini sono come i kleenex, vanno prima usati e poi gettati, e io pur di non essere mai come lei in nessuna nemmeno lieve sfumatura della mia personalità ho deciso di fare l’esatto contrario, e sono sempre stata il kleenex.
Iniziamo.
“Ciao a tutti, mi chiamo Denai, ho 25 anni, e da quanto c’è scritto sulla carta d’identità sono una donna e da quanto ne so a 25 anni dovrei aver fugato ogni dubbio su come conquistare gli uomini, essere esperta in materia dopo aver avuto molte occasioni per imparare ed essere quella che alle domande trova una risposta, non quella che le domande le pone. Il problema però è che io mi sono fatta un sacco di seghe mentali ma non ho ancora trovato le soluzioni, quando le ho trovate, poi, si sono sempre rivelate sbagliate, e allora eccomi qui, con in mano un pugno di mosche, a chiedere a voi come si vive l’amore. Quando penso all’amore penso a mio nonno e a mia nonna, che si sono conosciuti quando era tutto più facile e nonostante ci fossero gli americani a insegnare loro qualche parola straniera ancora non esistevano le definizioni che usiamo noi oggi per descrivere le moderne relazioni: friends with benefits, no strings attached, friendzone. C’erano gli americani che amavano le italiane, gli italiani che amavano un po’ tutte, mio nonno in primis si è macchiato di tradimenti e sotterfugi. Mia nonna, invece, ha sempre preferito la fedeltà assoluta. Non c’era bisogno che le donne si facessero avanti perché gli uomini conoscevano bene il loro ruolo. Sapevano che bisognava chiedere loro di ballare, comprare loro dei fiori, chiedere la mano al capo famiglia. I tempi sono cambiati e con loro sia gli uomini che le donne, e io vorrei davvero essere una di quelle donne moderne che si credono uomini e fanno tutto loro, attirano, ammaliano, buttano il sasso senza nascondere la mano. Nella testa ho una gran confusione, da dietro lo schermo di un telefono riesco ogni tanto a lasciarmi andare e a tentare il tutto per tutto, ma avere questa doppia personalità è controproducente. Io ho un sacco ma prioprio un sacco paura di perdere quello che ho e la consapevolezza che in fondo quasi ti basta, l’amicizia è comunque un sentimento molto prezioso che se poi lo perdi le capocciate sul muro bianco si sprecano e poi il sangue fa quello che un tempo facevano i colori a cera. Io la sera mi addormento pensando a cosa starà facendo, spero sempre di trovare un suo messaggio in cui mi racconti quello che ha visto e quello che ha sentito, forse sono pazza e mi sta bene che lo pensiate, ma ho questo peso sul cuore che preme un bel po’ e quindi il battito ogni tanto non ce la fa ad arrivare alla fine, e mi manca il respiro. Penso che sono una cacasotto e che basterebbe un secondo a mettere fine a questa agonia, basterebbe parlare e come va va, e chi si è visto si è visto, perché “Denai e se poi va bene?” Ok, ma io vi rispondo “e se poi va male?” Avoglia a dire “ma scrivigli di scopare”, “ma mandagli una foto zozza”, “ma digli che lo aspetterai finché capirà che sta commettendo un sacco di errori”, io sento solo zzzzz. Vale davvero la pena giocarsi il tutto per tutto? E se va bene, perché non si è fatto avanti lui? E se va male, come faccio domani mattina a guardarmi allo specchio? Anche voi uomini avete tutte queste paranoie nella testa? Siamo davvero uguali? Essere romantiche nel 2014 è un reato? O forse un pregio? Paga di più il romanticismo o la sfacciataggine un po’ spinta? E se paga di più la seconda, qualcuno mi potrebbe gentilmente passare un link per comprare un po’ di coraggio in sconto su amazon? Perché io l’amore lo voglio davvero, ma non sono sicura di essere in grado di conquistarmelo. Perché magari mi dice di sì, e io arrivo, mollo tutto e arrivo, come in un film di Nora Ephron vengo a darti un bacio lungo un quarto d’ora, mi dimentico di tutto e mi dimentico pure di quello stronzo che per troppo tempo ha riempito queste pagine. Posso chiedergli di essere il nuovo protagonista delle mie storie? Vuoi essere il nuovo protagonista delle mie storie? Vuoi urlare insieme a me sti cazzi alla luna se non abitiamo nella stessa città, se c’è troppa terra che ci divide, troppo mare, troppe ore? Che ci posso fare io se le cose accadono anche se tu non vuoi? Se solo fossi più sicura di me, se solo non avessi bisogno di fare dieci respiri profondi anche solo per far partire un cazzo di like inutile su facebook, che si perde insieme ad altre decine che non sono i miei, perché io i tuoi me li ricordo tutti, uno per uno, ma io non lo so se tu mi ricordi i miei, perché non te l’ho chiesto. Ecco, è da pazzoidi chiederlo? Glielo posso chiedere se, ogni tanto, mi pensa? Se gli interessa quello che mi succede? Se ha sognato di sfiorarmi la pelle anche almeno solo una volta? Se vorrebbe svegliarsi con me distesa al suo fianco? Ditemelo voi che c’è oltre il burrone: c’è una protezione che fino a che non mi sporgo non la vedo? Quanto lungo deve essere il passo? E se la protezione non c’è e io volo giù, poi, chi viene a riprendermi col cucchiaino?”
Donne, adesso mi rivolgo a voi ditemi: oggi sta davvero a noi? E se sì, come si fa a non farlo sentire con le spalle al muro, a non spaventarlo con la nostra sfacciataggine, a fargli credere di essere quello forte della coppia (anche se è risaputo che siamo noi a portare davvero i pantaloni)? E se no, perché no? Bisogna farsi scivolare addosso tutte le delusioni, senza nemmeno provarci? Come ci poniamo di fronte alla storia dei rimorsi e dei rimpianti? Ditemi se lo avete fatto, e se sì come è andata. Ogni storia è una storia a sè, che cazzata fare i paragoni, ma fatemi almeno fare una media, io che odio i numeri e adesso ho un profondo bisogno di loro, io che devo stilare le liste dei pro e dei contro anche per mettere un piede giù dal letto la mattina.
E uomini, adesso ditemi voi: vi sta davvero bene che una donna vi chieda di uscire a prendere una birra, di scopare, che vi baci lei per prima? E se sì, come vorreste che ve lo dimostrassimo? E se no, perché? Volete ancora essere il principe azzurro senza macchia e senza paura di qualcuno?
Io non lo so, non lo so, non lo so, ma ho cambiato tante cose della mia vita, e se mi dite che bisogna tirare fuori le palle allora cambierò anche questo aspetto di me.
Dibattiamo perché è l’unico mezzo che ho per capire. 3, 2, 1. Via.