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Essential 11: le riviste a fumetti più belle del mondo

Creato il 28 luglio 2011 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Un gioco: abbiamo chiesto a Paolo Interdonato (sparidinchiostro.wordpress.com) di elencare, secondo il suo punto di vista, le 11 più importanti riviste a fumetti provenienti da ogni parte del mondo.
Il motivo è semplice: dietro la maggior parte dei fumetti che abbiamo amato c’è stata quasi sempre una grande rivista, frutto delle intuizioni di editori illuminati e di abilissimi autori. Un formato editoriale che è andato scomparendo (con qualche doverosa eccezione) con la fine degli anni ’90. Non a caso, infatti, la scelta di Paolo si rivolge al passato prossimo e remoto.

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Le 11 riviste a fumetti più belle del mondo

Il titolo roboante serve soprattutto a tenerti in stato di allerta, caro lettore. Se avessi voluto essere più preciso (ma non per questo più onesto) avrei titolato questo elenco “Le 11 riviste a fumetti, prodotte dopo il 1945, che ho sfogliato e che mi ricordo come molto importanti vengono da Italia, Francia, USA e Giappone”.
Non è una classifica: i titoli sono in rigoroso ordine cronologico.

Mad Magazine di Harvey Kurtzman (1952 – 1956)

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Al termine del secondo conflitto mondiale, inizia la straordinaria parabola di Harvey Kurtzman. Da una collaborazione con la Timely Comics (che oggi si chiama Marvel) il fumettista porta a casa costruzione della pagina, tempi comici e anche moglie (Adele era la segretaria di Stan Lee). Subito dopo, Kurtzman trova accoglienza presso la EC Comics di William Gaines. Ha già sceneggiato e disegnato numerose storie di fantascienza e di guerra, quando l’editore gli chiede di pensare a un comic book umoristico. Kurtzman allora inventa “Mad” e fa la rivoluzione. Con 28 numeri, dimostra che su tutto si può fare satira, costruendo fumetti, articoli e illustrazioni che possono essere letti oggi, a oltre 50 anni dalla loro prima pubblicazione, senza perdere un grammo della loro bellezza. Dopo quella breve esperienza – conclusa con una rottura – il fumettista progetterà altre testate importanti: “Trump”, “Humbug” e “Help”. Leggendo e rileggendo i 28 numeri di “Mad”, numerosi autori capiranno che un altro fumetto è possibile. Due nomi tra tutti: Robert Crumb e Art Spiegelman. Ma ne riparlo tra poco.

Tutto il “Mad” in comic book (23 uscite) è raccolto in due volumi (curati male) di Planeta De Agostini. Se vuoi saperne di più su Harvey Kurtzman cerca questo libro: The Art of Harvey Kurtzman: The Mad Genius of Comics di Denis Kitchen e Paul Buhle.


Hora Cero semanal (1957 – 1959)

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Hector German Oesterheld è stato un grande sceneggiatore argentino. Scriveva, ogni settimana, decine di storie che venivano messe in pagina da disegnatori che ancora oggi dobbiamo amare (giusto per fare qualche nome: Alberto Breccia, Hugo Pratt, Arturo del Castillo, José Muñoz). La sua storia più importante, El Eternauta, è stata disegnata da Solano Lopez ed è uscita a puntate settimanali su un periodico spillato di formato orizzontale dall’aspetto poverissimo: “Hora Cero semanal” della Editorial Frontera. E’ il racconto di quello che succede all’umanità quando un fascismo voluto, letale e strisciante si impossessa della società. E’ un atto d’accusa e una disperata premonizione che, di lì a pochi anni, si paleserà in tutta la sua mostruosità. I ragazzini portegni amano quell’avventura e formano una visione etica della vita leggendola fedelmente, settimana dopo settimana. “Hora Cero semanal” è così legata all’Eternauta che, conclusa la sua serializzazione, riesce a uscire ancora per soli 10 numeri, spinta da un effimero moto inerziale.

E’ un giornale importante e, se vuoi, puoi sfogliarlo nell’emeroteca della biblioteca De Amicis di Genova (l’ultima volta che ci sono stato, stavano catalogando i materiali e non mi ci hanno fatto entrare, ma prima o poi finiranno, ne sono certo). Su Oesterheld e sul fumetto argentino c’è Historia de la Historieta: Storia e storie del fumetto argentino di Carlos Trillo e Guillermo Saccomanno.

Pilote (1959 – 1989)

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Un giornale progettato appositamente per i ragazzi. Basta infantilismo, finalmente; e molte delle cose uscite là sopra possono essere lette con gioia ancora oggi. Tra gli ideatori della rivista c’è René Goscinny, un tipo che, tornando dal Sud Africa, si era fermato a fare un po’ di gavetta alla corte di Kurtzman. Enumero alcune serie pubblicate da “Pilote” per restituirti un po’ di quel senso di ebbrezza che doveva pervadere i lettori francesi: Asterix di Goscinny e Uderzo, Blueberry di Charlier e Giraud, Philemon di Fred, Iznogoud di Goscinny e Tabary, Rubrique à brac di Gotlib, Cellulite di Bretecher, Lucky Luke di Goscinny e Morris, Valerian di Christin e Mezieres, Il Cocomero Mascherato di Mandryka, Lone Sloane di Druillet, i primi Tardi, gli alpeggi di F’murr, le storie di Christin per Bilal, l’immenso Lauzier… Tutto questo montato in un giornale con una direzione così forte da scatenare almeno due scismi. E anche di questi riparlo tra qualche riga.

In Italia “Pilote” ha perso la e. Con il titolo “Pilot” è uscito, per brevi periodi, due volte. La seconda con direzione editoriale di quel Tiziano Sclavi che pochi anni dopo avrebbe inventato Dylan Dog. Quei giornali si trovano, senza troppa fatica, sulle bancarelle e su ebay. Adesso corro a comprare questo libro: Les années Pilote : 1959-1989 di Patrick Gaumer.


Garo (1964 – 1971) dalla nascita della rivista alla fine di
Kamui den

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Manga significa “immagini stravaganti”; eppure, alcuni autori giapponesi sono convinti che nel loro lavoro non ci sia niente da ridere. In pieno contrasto con logiche editoriali che volevano che il fumetto fosse, come insegnava Osamu Tezuka, interessante (“omoshiroi”), alcuni autori hanno deciso, a partire già dagli anni Cinquanta, di sperimentarsi nel campo del fumetto storico e realistico. Nel 1957 Yoshihiro Tatsumi decide di usare, per definire i propri fumetti e quelli di alcuni suoi colleghi, il termine gekiga (immagini drammatiche). Il movimento nato dietro quella etichetta accoglie le storie brevi e minimaliste dello stesso Tatsumi e di Yoshiharu Tsuge, le mitologie nipponiche di Shigeru Mizuki e le accurate ricostruzioni storiche di Sampei Shirato. Ed è proprio esibendo in copertina un’immagine di Shirato, che nel febbraio del 1964 esordisce “Garo”, rivista esplicitamente dedicata al genere. Il fondatore è Katsuichi Nagai: la rivista è costruita con un fine puramente estetico, e filantropico. Nagai è infatti malato di tubercolosi e crede di avere ancora poco da vivere: vuole lasciare dietro di sé una rivista importante e necessaria, anche perdendoci molti quattrini. La sorte ha un gran senso dell’umorismo: il mecenate farà parte del comitato di redazione fino al ’96, anno della sua morte.

Il gekiga piace molto ai tipi di Drawn & Quarterly. Di recente, probabilmente pungolati da Adrian Tomine (che ha, senza dubbio, più gusto che capacità narrative), l’editore canadese ha pubblicato molte cose degli autori di “Garo” e, in particolare, di Tatsumi: A drifting life racconta il clima e i giorni della nascita della rivista. Oggi il ruolo di “Garo” è stato assunto da un’altra rivista, “Ax”; Top Shelf ne ha appena pubblicato una dimenticabile selezione.

Linus (1965 – 1981) dalla nascita della rivista all’uscita di OdB

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Identificare un big bang per il fumetto moderno è facile. Nell’aprile del 1965 nelle edicole italiane compare “Linus”. La strada che ha reso possibile la sua nascita è lunga e articolata. La rivista è stata inventata da Giovanni Gandini, un finissimo intellettuale milanese, che crea, con un gruppo di amici, un posto dove parlare di fumetto dando sfogo a passione, a volontà di storicizzare e anche a un po’ di sano snobismo. Nel 1971, Gandini vende il suo progetto a Rizzoli che insidia alla direzione della rivista Oreste del Buono, un altro tra i più grandi inventori di progetti editoriali che questo Paese abbia mai espresso. OdB decide di sporcare la rivista di società, accetta gli autori italiani (fino ad allora Gandini aveva ospitato solo Guido Crepax), fa largo alla satira, inizia a pubblicare articoli collegati al presente. Nello stesso tempo decide di convogliare tutte le pulsioni avventurose che “Linus” aveva fino ad allora espresso sulla nuova testata “Alterlinus”. La corsa continua fino a quando la puzza di P2 fa scappare OdB da Rizzoli. In pochi anni, “Linus” ha reso possibili le riviste di fumetto d’autore in Europa, ha consentito e a volte finanziato scismi editoriali, ha ospitato avanguardie suggerendone altre. Non ci fosse stato il meraviglioso sogno di Gandini e OdB oggi il fumetto nel mondo sarebbe un’altra cosa. Quasi sicuramente peggiore.

Purtroppo il libro che racconta la storia di “Linus” non è ancora stato scritto. C’è però un fondamentale libro di Giuseppe Peruzzo che racconta la storia delle riviste di fumetto d’autore in Italia: Persone di nuvola. Le riviste di fumetti d’autore (QPress).

Zap Comix (1967 – 2005?)

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Ho messo un punto di domanda accanto all’anno in cui l’esperienza si deve considerare conclusa, perché quel giornale è uscito alla spicciolata senza periodicità alcuna. Se fossi stato veramente onesto mi sarei messo a cercare i miei albi (che io ho rintracciato durante gli HIU al Centro Sociale Leoncavallo di Milano, ma che anche tu, sfruculiando un po’ in rete, puoi trovare facilmente ristampati da Last Gasp) e avrei guardato in quale momento ho perso interesse in questa pubblicazione. “Zap” non è la prima rivista underground, però in quei primi cinque (forse dieci, fino alla fine degli anni Settanta) numeri si evidenzia, in tutta la sua magnificenza, la grandezza di sua maestà Robert Crumb. Influenzato dal “Mad” di Kurtzman, Crumb definisce il suo mondo e attrae, catalizzandone i talenti, un po’ di tipi a modo. Li enumero, in ordine di personale preferenza: Robert Williams, Rick Griffin, Spain, Gilbert Shelton, Victor Moscoso, S. Clay Wilson.

Tutto, ma proprio tutto, quello che serve sapere di “Zap Comix” è raccontato in un libro che mi sembra indispensabile: Rebel Visions: The Underground Comix Revolution 1963-1975 di Patrick Rosenkranz.

Corriere dei Ragazzi (1972 – 1976)

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In quel tempo, il “Corriere dei Piccoli” era già riuscito a smarcarsi dalla triste dittatura del versetto. Certo: quelle poesiole in rima baciata avevano consentito ai lettori italiani di godere del genio e della leggerezza di Rubino, Mussino, Tofano e perfino di Angoletta. Ma, tutto intorno, era stata un’ecatombe di pagine, a volte bellissime, formattate per entrare a forza nel giornale. Quando, nel gennaio del 1972, il “Corriere dei Piccoli” diventa “Corriere dei Ragazzi” (qualche mese dopo, i due settimanali conquisteranno autonomia e indipendenza e potranno convivere), il balloon è stato ripristinato, Grazia Nidasio e Mino Milani stanno facendo un ottimo lavoro, dalla Francia arrivano bei fumetti e “Linus” ha trasformato lo sguardo degli europei sulle storie che mescolano parole e immagini. Sulle pagine del CdR compariranno autori grandiosi e quando Rizzoli farà atterrare il “Corriere della Sera” tra le proprietà del gruppo, tra il settimanale e “Linus” si creerà un rapporto osmotico capace di consentire la migrazione di autori e lettori.
Il felicissimo momento si infrangerà contro l’incapacità di far evolvere il progetto e contro alcune idee decisamente idiote (la prima tra tutte cambiare il titolo per costruire un giornale a misura di giovane: “Corrier Boy”).

Da qualche anno BUR fa uscire volumi che raccontano la storia di alcune testate italiane e ne antologizzano contenuti. Dopo “Cuore”, “Il Male” e “Frigidaire” è uscito anche un libro dedicato al “Corriere dei Ragazzi”: Gli anni del Corriere dei Ragazzi. Quando il Corriere dei Piccoli diventò grande. 1972-1976, a cura di Gianni Bono e Alfredo Castelli. Purtroppo non è un bel libro.

Métal Hurlant (1974 – 1987)

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La bellezza e l’importanza di “Pilote” non devono far pensare che quello fosse un posto dove lavorare era meraviglioso e gli autori avevano piena libertà. Ed è proprio all’incrocio tra il ferreo controllo – gestito soprattutto da René Goscinny e Jean-Michel Charlier – e la volontà di libertà degli autori che si sviluppano imprevedibili scismi. Dapprima, nel 1972, Gotlib, Bretecher e Mandryka, le colonne dell’umorismo di “Pilote”, decidono di marcare la propria distanza da Goscinny e fondano “L’echo des Savanes” (per gentilezza nei tuoi riguardi, caro lettore, evito di enfatizzare l’importanza di “Mad” nella creazione di quella testata: dico solo che Kurtzman realizzerà delle storielle appositamente per la rivista francese). Poi, nel 1974, Jean Giraud, il disegnatore di Blueberry, importante personaggio avventuroso sceneggiato da Charlier, si aggrega a Dionnet e Druillet per fondare “Metal Hurlant”. Un trimestrale fondamentale che raccoglie storie di fantascienza che rifiutano le sceneggiature con la forma geometrica e funzionale della casa. In Italia, quei fumetti furono pubblicati da “Alter”, la costola avventurosa di “Linus”: con quella pubblicazione certa e continua, Oreste del Buono garantiva a quell’autoproduzione di continuare a vivere.

Metal Hurlant” è uscita in italiano per un po’ e trovare quei fascicoli non è impossibile. Ti consigli due libri, uno in francese e l’altro in italiano, per conoscere bene quella storia: Métal Hurlant, La machine à rêver 1975-1987 di Poussin e Marmonnier e il catalogo di una mostra al Napoli Comicon, Les Humanos. La rivoluzione di Métal Hurlant, a cura di Curcio ed Esposito.

(À Suivre) (1978 – 1997)

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Se da un lato “Metal Hurlant” è l’espressione di un’avanguardia che vuole attaccare frontalmente le forme di un fumetto i cui ritmi sono dettati, con estrema precisione, dai dialoghi scritti dagli sceneggiatori (dando al contempo la stura a un salto quantico dell’immaginario visivo della fantascienza), c’è anche un gruppo di autori che si sente distante tanto dalla serialità e dai personaggi quanto dalle sperimentazioni visuali e grafiche. Il racconto, irrefrenabile e impetuoso, deve avere la meglio su tutto. Anche sul formato. Nasce allora “(À Suivre)” una rivista che ha una dichiarazione d’intenti pregna di uno snobismo che anticipa il graphic novel: “(À Suivre) sarà l’irruzione selvaggia del fumetto nella letteratura”, recita l’editoriale del primo numero. Storie a puntate (il titolo della rivista significa, appunto, continua) che si interrompono solo quando hanno raggiunto la propria misura; la lunghezza giusta per un fumetto sembra essere quella di un romanzo. A fumetti eccelsi se ne affiancano altri dimenticabili, ma la presenza di Tardi, Forest, Comes, Sokal, Bourgeon, Pratt, Crepax, Altan, Munoz y Sampayo, Masse, Boucq … rende quell’appuntamento immancabile per molto tempo. Poi, quando il graphic novel si appresta a diventare il formato dominante, subentra la noia e si chiude il sipario. (Fin). Pare che a gennaio vedremo riapparire quella testata.

Il libro che racconta questa rivista lo ha scritto Nicolas Finet e s’intitola: (À Suivre) 1978-1997, une aventure en bande dessinée.

Frigidaire (1980 – 1989), gli anni Ottanta

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Oreste del Buono abbandona Rizzoli e “Linus” nel 1981, dichiarando di non voler essere connivente con chi si immischia in logge e mafierie. Qualche mese prima ha ridotto il formato del mensile che dirige, trasformandolo in uno smunto tascabile, quasi a voler significare che un paese piccolo gretto e meschino deve essere ben rappresentato dalle pubblicazioni che ne raccontano l’immaginario. Il proiettile del craxo-berlusconismo è sparato verso gli italiani che hanno solo un “Linus” piccolo piccolo a far loro da scudo. Decisamente insufficiente. Per fortuna, un drappello di eroi, di sopravvissuti a “Lotta Continua”, al “Male”, al “Cannibale” e pure al riflusso, prepara un giornale nuovo: grafica meravigliosa, sguardo puntato sul presente, fumetti che puzzano di realtà anche quando hanno come protagonisti corvacci galattici e coatti cibernetici. “Frigidaire” rappresenta la sintesi e il superamento di tutto quello che in Italia, in Francia e negli Stati Uniti c’è stato fino ad allora e i cui punti nodali sono le riviste enumerate qua sopra. Ma è difficile sopravvivere agli anni Ottanta e quel manipolo di eroi ne esce decimato e mal messo. Il gruppo fondatore si disperde: Tamburini e Pazienza morti di overdose, Liberatore senza controllo rivela tutto il proprio pessimo gusto, Il sommo Mattioli si arrocca tra le pagine del “Giornalino”, Scòzzari, il più grande di tutti, invecchia malissimo. Serve qualcosa per i decenni successivi.

Vincenzo Sparagna ha dedicato un libro divertente a “Frigidaire” (rivista di cui è stato ed è fondatore e direttore): Frigidaire. L’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo. Il grande difetto di questo libro è l’insistita dichiarazione di assenza di soluzioni di continuità tra le origini e lo zombi che, ancora oggi, qualche volta fa capolino dalle edicole.

Raw Magazine (1980 – 1991)

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Una parigina e un newyorchese si innamorano e decidono di fare una rivista impossibile. Si chiama “Raw” ed è decisa, come recita uno dei sublimi sottotitoli, a sopravvalutare il gusto del pubblico americano. La progettano Françoise Mouly e Art Spiegelman e se non ci fosse stata la loro inspiegabile ostinazione molto del miglior fumetto che oggi leggiamo non esisterebbe. Di più: non fosse stato per loro, non avremmo avuto l’infatuazione per il graphic novel dei media e di un pubblico visibile ed economicamente interessante. Dovessi disegnare un grafico delle influenze che hanno investito “Raw”, mi troverei a tracciare frecce che partono da ciascuna delle riviste fin qui menzionate e atterrano su quest’ultimo oggetto inclassificabile. Nasce in formato enorme e ospita classici del fumetto, grandi autori statunitensi, e poi italiani, francesi, perfino giapponesi. Dopo un po’, Spiegelman e Mouly ridimensionano il giornale per renderlo vendibile nelle librerie e, nonostante abbia raggiunto misure inferiori anche a quelle del “Linus” degli anni Ottanta, “Raw” continua a essere gigantesco. Un giornale così importante che ancora oggi, nessuno riesce a progettare una rivista che non sia una sua, più o meno riuscita, imitazione.

I numeri di “Raw”, l’antologia Read Raw Yourself e il volume From Maus to Now to Maus to Now sono di difficilissima reperibilità. La webzine “Indy Magazine” ha dedicato un’uscita a Spiegelman e alla rivista, presentando interviste, schede e letture critiche. In mancanza d’altro, è qui: www.indyworld.com/indy. Fa’ in fretta perché quelle informazioni stanno lentamente dissolvendosi: ogni giorno c’è un broken link in più.


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