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La metropolitana di Roma, ideata assai in ritardo rispetto alle sorelle europee, fu progettata sotto il governo fascista in vista dell'Esposizione Universale del 1942 e completata successivamente nel 1955 (linea B) e nel 1980 (linea A); ampliata ulteriormente nel 2000, adesso vede in progetto un percorso secondario della linea B (cosiddetta linea B1) e altre due linee (C e D), ma è inutile spiegarvi che dati molteplici fattori (moltiplicazione dei processi burocratici, revisioni ai piani regolatori, difficoltà nei lavori date le continue scoperte archeologiche e i resti della antica romanità) essa ha subito e continua a subire uno sviluppo tutt'altro che celere. Ma non scrivo qui per trattare delle problematiche tecniche e amministrative del mezzo di trasporto più utilizzato a Roma, per le quali vi rinvio all'apposito articolo di Wikipedia che tutto sa e tutto ignora.
Quello di cui voglio parlare è di come il mondo "sotterraneo" appaia assai diverso da quello in superficie. Quando scendiamo, infatti, abbandoniamo per un po' il cielo e le nostre certezze, ritrovandoci assieme a sconosciuti coi quali condividiamo solo un mezzo di trasporto e, a volte, la meta. Il serpentone metallico che ci ospita apre a noi le sue porte, disposto a ospitarci per quel tanto che serve; subito esse si chiudono e via, verso la destinazione. Spesso l'unica voce amica ad accompagnarci è quella che ci avverte della prossima fermata e da quale lato uscire, non si sa mai qualcuno cascasse di sotto, sbattesse addosso a una porta chiusa o, a causa della confusione, dovesse pianificare il tragitto per raggiungere la porta utile più vicina per uscire. Altre volte succede che a percorrere in lungo e in largo questo grande animale metallico siano persone a lui legate da un clandestino vincolo di sangue: suonatori, cantanti, ballerini o semplicemente mendicanti alla ricerca di quel po' che basta per un pasto caldo. E' incredibile vedere quale spesso muro invisibile venga a ergersi tra essi e le altre persone sedute, solo raramente penetrato da qualche mano gentile o sensibile.
La gente, le persone. La metropolitana è utilizzata ogni giorno da persone di ogni zona ed estrazione sociale (certo, magari non dai più schizzinosi o claustrofobici), e quando scompari dentro le gallerie ti ritrovi compresso, costretto a questo involontario viaggio di gruppo. Il bello è che hai in piccolo una visuale a trecentosessanta gradi del mondo "di fuori": ci sono tutti i modelli di persone che puoi incontrare sopra. L'impiegata, l'operaio, lo studente, l'affarista in carriera, lo straniero. Alcuni passano il tempo leggendo, altri ascoltando musica; c'è chi risolve un cruciverba o un sudoku. I più arditi guardano un film su un dispositivo portatile, altri tentano di studiare la lezione del giorno o di ripassare per l'imminente esame; altri ancora chiacchierano o, più semplicemente, tacciono preoccupandosi di individuare la loro fermata e scendere in tempo, per non rischiare di rimanere ancora tra le spire bianche di questo serpente.
Li guardi, ognuno di loro ha una storia da raccontare o persone a cui donare amore, ognuno qualcosa da tener celato. Le gallerie della metropolitana non costituiscono solo l'intimità sotterranea della capitale, ma ci costringono, nel tempo in cui ci inabissiamo, a scavare nei nostri pensieri, a raggiungere la nostra, di intimità. Così un "viaggio" in metro diviene ogni volta un'occasione per riflettere e riscoprire se stessi alla luce degli altri, in un mondo perennemente temporaneo quale quello sotterraneo in cui mille altri mondi, mille altre persone a volte riescono anche a scambiarsi un saluto. E allora mi piace considerare la metro nel suo senso etimologico, derivando essa direttamente dal termine greco μητηρ, ossia come una "madre" che, anche se un po' scioperante e dispettosa, collega tutta Roma, e tutti unisce.
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