Se c’è una cosa evidente per il cristiano è che tutto quanto accade, di bene o di male, è un dono. L’amore, la gioia, la sofferenza e la malattia, tutto è per la sua maturazione, ogni cosa chiede di essere vissuta con questa coscienza, penetrata nel profondo, vissuta con letizia, con speranza e se possibile con gratitudine.
Ovviamente, fino a quando si parla di avvenimenti positivi è facile essere d’accordo, ma quando si tratta di dolori e malattie pochi -comprensibilmente- hanno il coraggio di affrontarli con questa concezione ultimamente positiva. Per questo è molto interessante l’aiuto di uno dei maggiori psichiatri italiani, Eugenio Borgna, il quale afferma senza mezzi termini che «anche la malattia è un dono». Borgna è oggi primario emerito di psichiatria all’Ospedale maggiore di Novara, dove è responsabile del Servizio di Psichiatria e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano.
Ilsussidiario.net lo ha intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “Di armonia risuona e di follia” (Feltrinelli 2012), dove ha parlato dei numerosi casi clinici affrontati nella sua carriera con i quali condivide il dramma della sofferenza e invita a guardarli all’interno di un ideale abbraccio di vita, reso possibile dalla sua fede cristiana.
«E’ solo accogliendo nella fede cristiana il mistero come senso definitivo dell’esistenza che sono riuscito ad andare al di là dei sintomi dell’esperienza psicotica. Possiamo capire fino in fondo l’altro solo se lo guardiamo con occhi bagnati di lacrime; segno commosso di una ipersensibilità a quella condizione finita comune a tutti gli uomini», ammette Borgna. Egli contesta fortemente l’interpretazione naturalistica delle patologie mentali che ricerca le cause della psicosi nel malfunzionamento dei centri cerebrali, e la sua cura attraverso i farmaci e l’elettroshock. Critica «l’assegnare alla ragione calcolante, astratta, alla ragione delle apparenze, il solo modo di capire cosa il paziente abbia, come questo si deve curare o se esse deve essere abbandonato al suo destino». Propone dunque, sulla scia di Guardini, Scheler, Husserl, Heiddeger, il metodo fenomenologico, «non mi fermo ai sintomi ma li trascendo, cercando di capire quali siano i sentimenti, le emozioni, la vita interiore dell’altro». Ma per farlo bisogna evitare di negare che «nella follia ci possa essere anche solo un granello di speranza e di saggezza».
La malattia, come affermato da Romano Guardini, a volte «fa sgorgare in noi motivi di riflessione, di contemplazione, di comprensione che non sarebbero altrimenti possibili. Anche la malattia è un dono». Conclude quindi lo psichiatra: «Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Questo è l’ultimo fondamento che consente di guardare l’altro dall’unico punto di vista che mai consentirà di venir meno al rispetto di una dignità, e di una libertà assediate dal male».