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Una storia, questa, diretta con cura maniacale da Koen Mortier al debutto (e ora al lavoro sulla trasposizione di Cavie by Palahniuk) che esibisce talento notevole per tutto ciò che riguarda il comparto tecnico, ma che allo stesso modo si auto-limita nell’eccedere a qualunque costo urlando ai quattro venti le torbide vicende che riprende; difetto accettabile, almeno in parte, se si pensa che questo fu per Mortier il primo passo concreto nel mondo del cinema.
Il che non è da sottovalutare, perché giusto per iniziare, si può dire di come i titoli di testa siano una fottuta genialata con la presentazione dei tre reietti in backward, che oltre ad essere meramente divertente nella sua proposizione, esprime bene a livello metaforico l’impossibilità dei componenti del gruppo di procedere in avanti, di migliorare se stessi e il mondo di merda che li circonda. Invece no, all’indietro fin dal principio, senza via d’uscita.
Altro trucchetto degno di nota è quello che vede l’inquadratura rovesciata nella casa del cantante Koen. Lì e solo lì la mdp si rovescia nell’inquadrare “il re dello stupro” che vediamo camminare coi piedi sul soffitto mentre interloquisce con lo scrittore Dries, ciò non è dovuto ad un particolare status del personaggio poiché Koen è un povero figlio di puttana come gli altri, è solo un escamotage ad effetto in cui non risiede nessun significato particolare, se non quello di stimolare il lato visivo dello spettatore. Riuscendoci, a mio parere.
E a proposito di figli e buone donne, direi che tutti i membri dei The Feminists siano ben lontani dall’essere anonime macchiette, piuttosto figure dal grottesco spessore, personalità rotolanti completamente allo sbando. Non so chi sia il più amaramente buffo del gruppo, di certo è una bella gara al ribasso. Il contorno poi è ancora più vivo: la mamma pelata, il mitico Big Dick e il padre schizzato sono più persone che personaggi, assolutamente fuori di canoni, anche irreali, ma paradossalmente più reali di Dries.
Ecco sì, Dries. L’ombra del film, cospiratore del dolore, lucra sul male altrui per i suoi scritti. A(nti)patico, decisamente e volutamente antipatico per la sua autostima, è per certi versi l’idealizzazione del regista sullo schermo: creatore coinvolto sì, in grado di staccarsi dal lerciume che lo attornia anche. Lo si evince dal bagno di sangue finale che mi ha fatto applaudire non poco dove contemporanemente Dries consuma un profumato amplesso fra coperte di seta e luci soffuse, mentre gli altri vengono ammazzati come cani esalando l’ultimo inutile ricordo (vanno sempre a ritroso) di fronte all’obiettivo.
Qualche passaggio a vuoto: più o meno tutti quelli che riguardano Big Dick, spassosi (e vorrei vedere visto che veniamo calati dal nulla nella vagina della sua donna) piuttosto anzichenò, ma si fermano lì: riempitivo adorabile. Un po’ meno la studentessa universitaria la cui presenza appare superflua e strumentalizzata al fine di sventolare alcuni frame sovrapposti di sesso nudo e crudo.
In conclusione mi sento di dire che Ex Drummer sia un film interessante perché propone soluzioni anticonvenzionali che fungono da linfa vitale per il mai troppo ammirato cinema che sta sotto, probabilmente però non è troppo interessato a voler formare e sensibilizzare coscienze sui problemi che affliggono i suoi interpreti. Scelta legittima da parte del regista, tuttavia così facendo la pellicola non si eleva, rimane arenata nella sporcizia nichilista narrata. Che è un nulla che si fa ascoltare benissimo, ma che come Koen de Geyter, Jan Verbeek e Ivan Van Dorpe non riuscirà ad avere un grande futuro, solo il ricordo di qualche infaticabile cinefilo.
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