Da Comune-info di Francesco Gesualdi –
“Nutrire il pianeta” recita lo slogan di Expo 2015 e la mente corre subito al miliardo di affamati che affollano il mondo. Ma di affamati all’Expo non ce ne sarà neanche uno, perché del loro destino in realtà non importa niente a nessuno. Siamo solo di fronte all’ennesimo caso di ipocrisia, all’ennesimo caso di strumentalizzazione da parte dei potenti che usano le emergenze umanitarie per dare una connotazione buonista ai loro progetti di tutt’altro stampo. Basta scorrere la lista degli sponsor per rendersene conto. Ai primi posti spiccano nomi come Coca-Cola, Nestlè, Ferrero, Unilever, potenti multinazionali che le guide al consumo critico di tutto il mondo indicano come imprese che non brillano per responsabilità sociale e ambientale. Coca-Cola da anni è contestata per la politica antisindacale da parte dei suoi imbottigliatori che in Colombia comprende perfino l’assassinio dei delegati sindacali. Nestlé e Ferrero sono criticate perché acquistano cacao da zone dell’Africa dove le piantagioni giungono ad utilizzare lavoro minorile in schiavitù. Unilever è additata perché ottiene il tè da Kenya e India dove la legge consente di utilizzare lavoratori precari per salari indegni senza nessuna garanzia sociale.
Tutte pratiche che contribuiscono a creare la fame, non a eliminarla, perché la fame non dipende dalla scarsità di cibo, ma dall’ingiustizia. Lo dimostra il fatto cheil 75 per cento degli affamati si trovano nelle campagne. Muoiono di fame perché non dispongono di terra o perché le terre migliori se le sono prese gli stranieri che stanno tornando nel sud del mondo per produrre cibo da esportare nei paesi ricchi o addirittura per fabbricare bioetanolo. Il fenomeno è stato battezzatolandgrabbing (furto di terre) e coinvolge un’area grande come mezza Europa, principalmente in Africa.
Da uno studio che abbiamo realizzato e pubblicato on line, dal titolo “I padroni del nostro cibo”, emerge che il settore agricolo è dominato da poche multinazionali che presidiano i posti chiave della filiera, per fare del cibo nient’altro che un business secondo le più spietate logiche del profitto, dello spreco, del disprezzo umano e ambientale. Una manciata di multinazionali fra cui Monsanto, Syngenta, Dupont, Bayer, controllano il mercato di sementi e pesticidi, cercando di spingere sempre di più verso sementi Ogm, modificate per indurre gli agricoltori a utilizzare erbicidi specifici e utilizzare quote crescenti di fertilizzanti, pur sapendo che nel lungo periodo l’eccesso di sostanze chimiche conduce alla perdita di suolo agricolo. Secondo le Nazioni Unite si perdono ogni anno dai cinque ai dieci milioni di ettari di terra agricola a causa dell’erosione e dell’impoverimento dei suoli.
La parola d’ordine di un sistema che cerca di fare passare per produttivo, ciò che in realtà è un problema distributivo, è produrre sempre di più. E siamo all’assurdo che la terra è sottoposta a stress per produrre una quantità crescente di cereali, non per sfamare chi ha fame, ma per ingrassare gli animali da carne che assorbono il 40 per cento di tutti i cereali prodotti nel mondo. Insomma è la produzione fine a se stessa nella logica del Pil che deve crescere sempre e comunque con l’unico obiettivo di garantire sempre più profitti alle multinazionali commerciali, Cargill, prima fra tutte, che oltre ad essere un big del commercio di granaglie è anche un big del commercio di carne. Il risultato è che un miliardo di affamati convivono con un miliardo di obesi con doppia soddisfazione per il sistema che può invocare la fame per imporre sempre più tecnologia finalizzata ad accrescere produzione dicibo mal orientato, e può invocare la malattia per accrescere il consumo di farmaci orientati a problematiche create ad hoc.
Se davvero vogliamo nutrire il pianeta non è di più tecnologia che abbiamo bisogno, ma di un altro modo di distribuire le terre, di gestire le sovvenzioni all’agricoltura, di regolare gli accordi commerciali, di orientare l’intervento pubblico.In altre parole è di un’altra politica che abbiamo bisogno, non più piegata agli interessi dei profittatori, ma alle esigenze delle persone nel rispetto della natura.
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