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F1, Piercarlo Ghinzani: una storia di sport

Creato il 04 aprile 2014 da Simo785

A cura di Giulio Scaccia

Riproponiamo una intervista raccolta nel settembre 2012 come testimonianza importante della storia del Motorsport.

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 Campagnano di Roma, 14 settembre 2012. Incontriamo il mitico “Ghinza” in occasione della prova del Campionato Italiano di Formula 3 a Vallelunga dove è presente con la sua scuderia.  E’ l’occasione per farci raccontare qualcosa da un pilota ed oggi un manager che ha da sempre vissuto in maniera intensa il mondo dei motori.

Prendiamo spunto dalle recenti dichiarazioni di Giancarlo Minardi. Quando c’erano le piccole scuderie come Osella e Minardi, c’era la possibilità per i piloti italiani di debuttare in Formula 1; proprio Piercarlo Ghinzani ha debuttato con la Osella nel 1981. Quanto mancano nella massima formula i piccoli team italiani?

In Italia abbiamo una splendida realtà che è la Ferrari, ma è talmente splendida che assorbe tutto l’interesse degli italiani. C’è poco spazio per gli altri. In Inghilterra non esiste una realtà così forte come la Ferrari e questo ha permesso di far crescere diversi team. La Tyrrell, la Lotus, la Arorws, la Williams per citarne qualcuno. La Ferrari ha il dovere di vincere i mondiali, per la sua immagine, la sua storia, la sua struttura, ed ha bisogno di campioni, di piloti già rodati. Per questa necessità, è difficile che possa avere lo spazio per far crescere dei giovani piloti: perderebbe opportunità di vittoria. Deve per forza vincere, perché vincere comporta anche un rendimento finanziario importante e questi sono fattori che blindano la possibilità di appoggiarsi ad un pilota giovane. Altri team come Osella e Minardi, si sono buttati coraggiosamente in Formula 1, quando si poteva comprare un motore Cosworth e costruire con quattro tubi un telaio, con una gestione era artigianale. Un tempo si poteva anche fare. Oggi per stare in Formula1 ci vogliono budget e tecnologie per realizzare la macchina, ma questo in realtà non è che il costo minimo, Il vero costo è quello di sviluppo per mantenere il passo di quelli che stanno davanti. I budget sono enormi e considerando anche con la crisi attuale, pochi hanno a disposizione determinati budget ed i team privati piccoli si sono spenti. In automatico non ci sono più vetture a buon mercato o disponibili per dare spazio ai giovani. Oggi la Formula 1 fa provare nei test i giovani piloti e qualcuno si mette in evidenza. La Formula 1, per quei team che hanno il potenziale, dovrebbe fare la terza macchina, e tenerla magari solo per le corse europee da far guidare ad un giovane pilota.

Il budget oggi come allora la fa da padrone.

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Ti faccio un esempio. Oggi in Formula 3 c’è più investimento tecnologico rispetto ad allora in Formula 1. Oggi in Formula 3 c’è la telemetria. Vedi tutto. Il pilota può fare a meno di parlare. A quei tempi l’elettronica non esisteva: volante, contagiri, la pressione dell’olio, l’acqua, il cambio. Non c’era altro e ti dovevi arrangiare a guidare il più veloce possibile. Oggi hai piloti manca un secondo, apri la telemetria e gli dici dove lo perdi. Sovrapponi la telemetria di uno che va più forte e dici al pilota dove concentrarsi per recuperare. Una volta non c’era niente. Quando beccavi un secondo, non dormivi la notte per cercare di capire dove andare a recuperarlo. Lì dovevi svegliarti e lì contava essere collaudatore, capire la macchina, parlare con l’ingegnere. Oggi con la telemetria vedi tutto. Prima invece era molto basato sul rapporto tra pilota ed ingegnere. Oggi c’è una tecnologia spaventosa già in Formula 3. Oggi c’è l’aerodinamica, la galleria del vento, esagerazioni dal punto di vista finanziario. C’è poi una cosa importante: i cervelli. Già allora lo erano, oggi ancor di più. La Formula 1 non è materiale esistente sul mercato, è materiale evolutivo del mercato. Di conseguenza se vai in Formula 1, la competitività che non esiste, la devi inventare. Trovare efficienza aerodinamica, trovare cavalli senza aumentare la cilindrata, devi trovare coefficienti di aderenza a terra stando nel regolamento. Devi inventare e trovare il rendimento che non c’è .La Formula 1 di inizio stagione, dopo tre gare è già vecchia e quindi ci vogliono i cervelli, non solo il budget. Ci vuole il genio che ti trova il corpo macchina, l’alettone, quel qualcosa in più. E trovare i cervelli non è facile.

 

Parlando con Emanuele Pirro, mi ha ribadito l’importanza dell’esperienza con la Lancia che valorizzava il vivaio italiano. Anche lei ha corso con la Lancia Beta Montecarlo e con la Lancia “Barchetta”. Come mai anche questo supporto manca da parte delle case automobilistiche italiane?

Dipende dalle strategie. Allora la Fiat aveva il 50% del mercato in Italia, forse anche di più; oggi c’è stata una grande evoluzione e la Fiat guarda all’estero. Era l’unica casa che poteva mettere in piedi un programma ufficiale. Oggi anche lei è limitata. Ci sono stati cambiamenti e non è stato più possibile investire oppure non c’era una logica nell’investimento. Magari la casa torinese oggi ha altri orizzonti . Al comando di queste aziende poi ci debbono essere uomini che, come è stato Cesare Fiorio, credono nel potenziale nazionale e lo esaltano. Noi italiani non siamo molto nazionalisti. Siamo più esterofili. Purtroppo.

 

Ghinzani ed Osella. In una intervista apparsa su Autosprint un paio di anni fa, Enzo Osella ha detto: “Ghinzani era fortissimo”. Qualche ricordo e se c’è qualche rimpianto per la carriera in Formula 1.

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Ricordi con Osella ne ho tanti e bellissimi ed ho una grande stima di lui. Per me è stato un eroe come Minardi, perché entrambi hanno rischiato moltissimo e speso tantissimo per portare gli italiani in Formula 1 e per stare in Formula 1. Sono stati un po’ dei Don Chisciotte da un certo punto di vista. Però tanto di cappello. Magari avessimo tanti uomini così sul mercato. Delusioni in Formula 1 tante, perché in qualsiasi categoria in cui o corso prima della Formula 1 ho sempre vinto. Quando sono arrivato, purtroppo la differenza tra le prestazioni delle macchine era talmente elevate che era impossibile sopperire con la guida. Era impossibile sopperire con la guida. C’erano 3 4 secondi al giro. Era una Formula 1 un po’ matta. Ho il rammarico di aver sentito, di aver avuto la convinzione di aver il potenziale per poter diventare campione del mondo.  Quando ho vinto il campionato europeo di Formula 3 c’era con me Nelson Piquet. Quando ho vinto il campionato l’italiano c’erano Elio De Angelis e Michel Alboreto. In Formula 1 le strade erano obbligatorie. Come oggi del resto. O guidavi per quei due o tre team, oppure stavi sui team di serie b o serie c. Se sei in un team di serie c raccogli il valore di c. Purtroppo pur essendo bravo, il tuo potenziale poteva essere di un secondo al giro rispetto ad un altro pilota, ma non potevi sopperire a 2 o 3 secondi di differennza.

Il ricordo più bello?

Il quinto posto a Dallas nel 1984 con la Osella, in un Gran Premio particolare in cui si sgretolava l’asfalto. Lì resistenza, tenacia e coraggio hanno portato al risultato. Una grande delusione ero in lotta con Patrese a Monza nel 1985 per il terzo posto, era come stravincerlo ed all’ultimo giro sono rimasto senza benzina.

E’ morto Sid Watkins, il medico della Formula 1. C’è qualche ricordo, magari collegato all’incidente a Kyalamy nel1984?

Di questo medico mi ricordo quando sono rientrato da quell’incidente. Avevo la mano sinistra ustionata e c’erano tutti i nervi scoperti. La gara era a Zolder ed io volevo correre perché sapevo che, se avessi saltato la gara, c’era pronto qualche altro pilota con la 24 ore piena di soldi per prendere il mo sedile. Dissi ad Osella che stavo bene, che la mano andava benissimo, che ero in grado di guidare. Osella mi disse di andare a fare la visita medica per avere l’autorizzazione. Sid Watkins mi guardò negli occhi e mi disse: “Voi piloti siete proprio una razza strana….dammi la mano. Schiaccia, Stringi, stringi”. Io strinsi più forte che potevo. “Sì, hai ancora una buona presa, ti dò la licenza per correre”. Tirai un sospiri di sollievo. La Formula 1 è un animale strano: nel momento in cui zoppichi appena sei fuori. Mi ricordo che partii per il Gran Premio. A metà gara non ce la facevo più, sentivo il sangue che mi scendeva dall’avambraccio. Mi confrontai con Osella via radio e gli chiesi di fermarmi. “Vieni, fermati, hai già fatto fin troppo”, mi disse Enzo. Nei successivi quindici giorni di riposo riuscii poi sistemare la mano.

Un pensiero sulla Formula 1 di oggi, con uso del Kers ed il DRS

 

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Hanno fatto bene ad usarli, hanno reso la Formula 1 meno monotona. Il Kers poi è importante per l’evoluzione tecnica che poi viene riportata nella produzione di serie. Va benissimo ed ha una logica. Il DRS è comunque valido, perché rende più agevoli i sorpassi, e quindi più vivaci le gare.


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