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Fabio PUSTERLA – Le terre emerse

Creato il 24 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da Giovanni Nuscis su ottobre 24, 2011

E poi qualcuno va, tutto è più vuoto.
Se ci ritroveremo, sarà per non conoscerci,
diversi nei millenni, nella storia
faticosa di tutti; e intanto arretrano
i ghiacciai, s’inghiotte il mare
lo stretto, ed il passaggio
è già troppo profondo, impronunciabile,
sepolto nel passato il tuo viaggio. Se ci ritroveremo
non ci sarà memoria per me, insetto,
per te, fatto farfalla tropicale.
D’altra parte, lo sai, non ci vedremo
più. Nessun colombo verrà, nessuna pista
a ricucire lo strappo, la deriva
di morte.

*

Al castello

Dentro le case, al nocciolo dei giorni,
tira un vento impetuoso. Sulle pietre
lise della cucina scorre l’acqua, nella casa
scricchiola il legno, l’ora;
fuori, la notte, un uomo che non vedi
strascina il proprio sacco di fatica:
foglie secche. Ci osservano le cose, il loro immobile
resistere a quel vento. Alari, mensole.
Una scintilla pazza
imbocca la sua gola di camino
e poi scompare.

*

Le terre emerse

Là, dove nidificheranno molti uccelli.

Insisti nello scrutare a lungo il mare
diffidando del tuo sguardo disabile.

No, niente di maestoso, per fortuna.
Piuttosto una nuova calma, una diversa
geometria della spuma.

Si vorrebbe raggiungerle
proprio nei giorni peggiori, quando le onde
sembrano ghiaccio azzurro, il cielo pesa
più grigio, e unico scampo
rimane l’improbabile.

Se ci sono,
se brillano sotto il pelo
dell’acqua, inconosciute
eppure attese, fuori vista,
saranno lastre verdi di sasso,
lievemente inclinate.

L’emersione
si addebita alle forze
e alle frizioni che sconvolgono in assenza
di ogni altra possibilità.
Un lunghissimo periodo di mestizia
si può considerare inevitabile.

Avranno freddo anche loro, intirizzite,
e forse pioverà, ci sarà il vento.
dovremo accoglierle bene, riconoscerle,
scostare adagio il buio dai loro brividi,
convincerle dolcemente a rimanere.
La geografia e tutte le coordinate
cambieranno da sole, senza fretta;
ci vorrà un po’ di tempo per capire.

E poi non devi illuderti: vedremo
al massimo l’inizio,
la timida colonia dei molluschi, un po’ di bava
d’alga bagnata nelle scanalature,
la sosta di un gabbiano, un grido roco
che sembra senza senso o troppo fragile,
eppure si propaga si moltiplica.
I fiori, l’erba e le altre cose bellissime
verranno forse dopo, ma ci basta.

*

Arte della fuga

Resisti a tutto, fuggi. Fallo in nome
di niente. Lascia i nomi
ai nuovi costruttori di bandiere.
Dai, topolino: è ora.

Guarda: questo è un bosco, e questa
una lattina di carne. Questo è un fiume.
Dal ponte vedi una città bianchissima,
una polla di sangue raggrumato. E gli anni,
gli anni sui loro cavalli neri. La città
è fatta di calce e gesso, di silenzio.
Il passo è qui, la fuga un’altra strada.

*

A quelli che verranno

Allora voi, che volgerete
lo sguardo verso di noi dalle vette
dei vostri tempi splendidi, come chi scruta una valle
che non ricorda neppure di avere percorsa:
non ci vedrete, dietro lo schermo di nebbie.
Ma eravamo qui, a custodire la voce.
Non ogni giorno e non in ogni ora
del giorno; qualche volta, soltanto,
quando sembrava possibile
raccogliere un po’ di forza.
Ci chiudevamo la porta
dietro le spalle, abbandonando
le nostre case sontuose
e riprendevamo il cammino, senza meta.

*

Lettera da Nikolajevka

Sento urlare in tutti di dialetti, è un urlo solo
Nuto Revelli

Se c’è stata una colpa, credo,
dico di noi fuscelli,
è stata l’ignoranza. Il non potere,
il non voler capire. Trascinati
da un vento troppo forte, e ogni domanda
era domanda d’ansia: ci bastava
un urlo di risposta, un po’ di caldo.
Non solo allora, sempre, chi ne è uscito:
l’abitudine
a chinare la testa, o a rialzarla
solo in un moto d’ira rovinoso. Ma voi, adesso,
siete molto diversi? Te lo chiedo
davvero, te lo chiedo
sapendo già che non potrai rispondere,
che non vorrai rispondere temendo
di sbagliare, o di ferirmi
ancora. Ma è questa
l’unica nostra speranza, brucia e insiste
qui, sotto neve e fango, sola brace.
Altri capirono, forse, non noi: colpa e condanna,
ecco l’eredità. Questa manciata
di terra magra e povera, un passato
di fumo. Raccoglietelo nel palmo di una mano,
fate fiorire qualcosa di non guasto,
se può crescere ancora. Diffidate
d’ogni risposta. Con fiducia e sospetto
riscattateci. Capite anche per noi, se lo potete.

Fabio PUSTERLA – Le terre emerse

Fabio PUSTERLA
LE TERRE EMERSE
POESIE SCELTE 1985-2008
Einaudi, 2009


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